Hiromi
Herbie Hancock – Wayne Shorter – Dave Holland – Brian Blade
Perugia, 18 luglio 2004 – Arena Santa Giuliana
di Antonio Terzo
click per le altre foto di Paolo Acquati
L'attesissimo ultimo concerto-evento di Umbria Jazz 2004 all'arena Santa Giuliana, il super-quartet con
Hancock, Shorter, Holland e Blade, è preceduto dalla performance della pianista e tastierista giapponese di Boston Hiromi (Uehara) – accompagnata da
Tony Grey al basso e Martin Valihora alla batteria – la quale già nell'edizione invernale del 2002 aveva calcato le assi del Teatro Mancinelli in quel di Orvieto. Un funky-pop con improvvisazioni ammantate di blues, a volta anche ripetitive, che il pubblico, trepidante per la materializzazione su quello stesso palco delle quattro leggende del jazz, segue poco attento e a tratti rumoreggiando. Avvio rapsodico per
Brain, "rappresentazione della battaglia fra le emozioni e la mente", come spiega la stessa autrice, quindi
Wind song, in cui immagina di interpretare il suono del vento attraverso un jazz trasognato con parecchie sortite fusion create dal basso e dalla tastiera elettronica posta sopra il piano della bandleader. Forti le influenze del Corea più "elektrico", ma qui l'eloquente fantasia del pianista americano manca del tutto, sebbene il fraseggio scandito e tecnicamente strutturato della nipponica, le mani ossute a cavalcare la tastiera, adesso convinca di più. Dedicata a Jack Johnson e Bruce Lee
Kung-Fu World Champion, in cui, dopo una intro synth-elettronica dagli echi vagamente
orientaleggianti, il basso si fa voce solista suonando la sezione più acuta del
manico, e dove l'artista d'origine orientale si distingue per l'accelerazione
propulsiva delle sue linee espositive, sorrette dalle variazioni ritmiche del
pezzo e dal valido apporto sincronico dei musicisti.
Dopo un breve intervallo tecnico, finalmente l'attesa della gremita platea viene appagata dalle surreali filigrane pianistiche dell'ormai brizzolato Herbie Hancock, che ordiscono la trama su cui Dave Holland innesta il suo pedale, pian piano recepito e sorretto da Brian Blade, mentre Wayne Shorter vi alita sopra suggestivi singulti: così prende forma una musica quasi "musiva", le cui tessere sono incastrate l'una all'altra dalle calde ed esperte tinteggiature di ciascuno dei quattro jazzisti.
Un continuo assolo il drumming di
Blade, scansioni fluttuanti e sincopate, più pungente e lineare l'intervento di
Holland. Visitor from Somewhere, Visitor from Nowhere
o Pathways,
Sonrisa,
Aung Sang Suu Kyi: uno dopo l'altro il quartetto esegue brani editi dall'eclettica coppia Hancock-Shorter (dall'album
1+1) o siglati dall'estro compositivo del contrabbassista inglese – l'unico bianco in pedana – che avvolgono tutta l'arena. Un monologo introduttivo di
Holland con pizzicato sottile ed elastico e timbro preciso e sempre corposo anche nei frangenti più rapidi dei suoi passaggi, poi l'inserimento di
Hancock (unghia dell'anulare sinistro incerottata) con agitate dissonanze, il tenorismo nervoso del monumentale
Shorter, poche acidule note che tuttavia indicano immediate il percorso evolutivo del suo disegno musicale, anche ai compagni. Ipnotico l'ostinato che il contrabbasso ripete incessante sotto il periodare scarno di Shorter e le fibrose sonorità di Blade. È la volta di Hancock, anche lui asciutto ed essenziale, si limita a block chords che percuotono l'anima e l'armonia del pezzo: articola sui tasti una melodia intensa ed interiore che accompagna rantolando un sommesso lamento, poi il suo intervento si fa ancora più fantasioso, sempre misuratissimo ed elegante il suo tocco. Shorter alterna il soprano al tenore e sul tempo composto staccato da Hancock definisce un tratto melodico che accompagnerà tutta l'improvvisazione del pianista, per un magistrale esempio di estemporaneità esecutiva che mai scade nella tentazione di certe soluzioni esibizionistiche, pur alla sua portata, proprie invece di certo apatico ed inespressivo saxplaying moderno. Equilibrato incipit solistico di Blade, Shorter al tenore per brevi accenni appena di
Footprints, e ancora alla prismatica empatia fra gli elementi del gruppo corrisponde il denso pathos che essi
riescono ad infondere negli ascoltatori, i quali a fine esecuzione rilasciano un
lungo partecipe applauso.
Dichiarando "un privilegio essere sul palco con tali musicisti che hanno fatto… ciò che hanno fatto!",
Hancock presenta gli amici, quindi introduce
Prometheus unbound, composizione di Holland che, dopo ancora un inizio piuttosto free, si
trasfigura in motivo lirico, fra gli accordi leggeri di Hancock ed i fiati
trasparenti di Shorter, mentre il contrabbasso con il suo registro profondo
intreccia tale leggerezza alla struttura del brano. Jazz allo stato puro quello
che esce dal solo di Hancock, lancinante la voce di Shorter al soprano, rapisce
l'uditorio e lo trascina e avviluppa nelle spire dei suoi impressionistici
cromatismi sonori.
Acclamati da un pubblico in visibilio, i quattro alfieri del jazz contemporaneo concedono un encore che fa accorrere i presenti ai piedi del palco per dondolare al ritmo di
Cantalupe Island: e mentre il solo di
Hancock esprime una coerenza senza uguali, Shorter appare quasi svogliato nel seguire la curva melodica del pezzo, abbandonandosi ad una varietà di artifici fonici che attesta comunque la sua indiscussa padronanza tecnica ed il suo incredibile stile espressivo. Ed anche se il concerto per qualcuno ha avuto tratti oscuri e non sempre intelligibili, ognuno ha lasciato il luogo dell'esibizione con la palpabile sensazione di aver assistito a qualcosa di superiore, di aver ascoltato una sorta di epifania musicale, sublime ed equilibrata sintesi fra passato, presente e forse anche futuro.
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Sabato 17 luglio 2004
Villafranca
(VR) - Castello Scaligero
Poltronissime € 40,00
Poltrone Numerate € 35,00
Poltrone non numerate € 28,00
di Vito Mancino e
Nicola Lott
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Martedì 20 luglio 2004
Ravello -
Giardini di Villa Rufolo
Poltronissime
numerate € 50,00
Poltrone numerate € 40,00
Posti non numerati € 20,00
di Olga Chieffi
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27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
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Data ultima modifica: 05/01/2008
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