Il Jazz a Torino
di Gian Carlo Roncaglia
Inizi carbonari,
concerti da leggenda
Raccontar di Jazz, una musica nata nel Deep South statunitense e di là diffusasi nei quattro angoli del globo, rammentando le sue vicende collocate nella Detroit italiana, la Torino dell'auto è, assieme, cosa difficilmente comprensibile (a prima vista) e cosa piena di interesse per chi prova a farlo ritenendo di offrire a chi legge motivi di non superficiale interesse.
Perché non è certo Torino ad essere un punto focale per la musica, in Italia: lasciando in un canto Napoli, che per troppi ancora simboleggia l'unico motivo di interesse melodico-italiano, le città che costituiscono i fulcri del music business sono, da sempre, Milano con la sua industria discografica (e in parte anche televisiva, negli ultimi anni) e Roma, dove è sito il centro nevralgico radiotelevisivo nazionale.
Come è possibile, allora, che proprio a Torino – e qui iniziamo il racconto delle vicende jazzistiche pedemontane – nel febbraio
1935, in epoca di fascismo imperante e di preparativi per la guerra di aggressione abissina che doveva "portare la civiltà romana ai selvaggi neri d'Africa" (…) arrivasse un musicista nero di pelle con la sua orchestra anch'essa costituita da musicisti neri
(pardòn, "negri", si diceva e si sarebbe detto ancora per anni e anni con lo stesso significato dispregiativo del nigger americano) per due concerti in uno dei migliori teatri cittadini? Era Louis Armstrong, il nero suonatore di tromba, era arrivato sulle rive del Po per iniziativa di uno studioso del jazz torinese,
Alfredo Antonino che, all'epoca, possedeva una collezione di oltre trecento dischi (naturalmente a 78 giri) e intratteneva da tempo una fitta corrispondenza con il francese
Hugues Panassié, uno dei primi studiosi al mondo della strana musica giunta d'oltreoceano che alcuni suoi protagonisti stavano portando nel vecchio continente come esotica novità.
Gli accordi iniziali prevedevano un solo concerto, ma il clamoroso successo decretato dal pubblico nel quale erano presenti, spellandosi clamorosamente le mani, non pochi gerarchi fascisti in divisa, costrinse ad un raddoppio dell'esibizione soprattutto per soddisfare chi non aveva potuto assistere al primo. Poi Louis ripartì per l'America inviando però ad Antonino, dal transatlantico che lo riportava a casa, una affettuosissima lettera per ringraziare della "accoglienza riservatagli da Torino, la più affettuosa dell'intera tournée europea…"
Fu l'inizio.
A casa di Antonino i frequentatori-carbonari (dal regime fascista il jazz era stato definito "musica demogiudoplutomassonica") aumentavano via via e c'era anche chi imbracciava un suo strumento così da dar vita a veri e propri gruppi musicali, come il trombonista-pianista
Riccardo "Dick" Mazzanti, il sassofonista Emilio Siccardi, il fisarmonicista-vibrafonista
Renato Germonio, il trombettista
Sergio Farinelli ed altri ancora, che riuscirono addirittura a trovare una sede acconcia nella taverna di una villa cittadina di proprietà di un industriale della calza,
Sobrero, il cui nome significò per anni un esempio di mecenatismo senza paragoni.
Per il vero, le jam session serali alla "Taverna Sobrero" chiedevano la presenza all'esterno di "pali" scelti a turno fra i musicisti, che dovevano segnalare il passaggio delle ronde militari. In questo caso le note di " The Sheik of Araby" (uno dei pezzi più suonati) sfumavano velocemente in quelle di "Giovinezza", uno degli inni più suonati del regime…
Poi arrivò la guerra. I jazzisti torinesi, tutti attorno alla ventina, erano soggetti ad essere chiamati alle armi, ma per iniziativa di
Germonio riuscirono ad imboscarsi nella banda militare presidiaria e attendere la fine che, quando giunse, li vide tutti sulla breccia. Una caratteristica particolare, però, si mise in luce nel jazz torinese. Mentre ovunque, nel resto del paese, nascevano gruppi di amatori tutti dedicati a riproporre il jazz delle origini – quello di New Orleans – a Torino, con la sigla "Jazz at the Kansas City" ci si indirizzò alle musiche vigorosamente swinganti nate nella focosa città del Midwest americano dove, come a Chicago, era il gangsterismo ad imperare, costituendo il ribollente humus per musiche che nei locali pubblici fossero il giusto condimento a quella assai particolare "American Way of Life".
La vita ricominciò, e tutti dedicarono la loro opera alla ricostruzione. Anche i jazzisti torinesi, a loro modo, dettero un contributo sfilando per la città a bordo di un camion suonando la loro musica per raccogliere fondi.
Ma per il jazz stavano per maturare, sulle rive del Po, momenti entusiasmanti e non pochi nuovi arrivi di interessanti giovani che rimpinguavano la non numerosissima congrega di appassionati che si erano incontrati nell'anteguerra.
Fu anche e soprattutto questo il vero inizio dell'epopea jazzistica torinese.
La lettera di Louis Armstrong
Giancarlo Roncaglia ha portato alla nostra attenzione la lettera che Armstrong scrisse ad Alfredo Antonino dopo i trionfali concerti torinesi. È un documento prezioso, di cui proponiamo la trascrizione integrale anche dell'originale inglese, che rispecchia vividamente la parlata del grande Satchmo.
My address in Chicago (USA) is 29-35 South Parkway. "Yea, man" 'Am going home, "Gate" (sopra e attorno l'intestazione della carta da lettere).
Steamer Champlain, Jan 24th,
1935
Dear pal Alfredo,
I imagine this will be a big surprise to you when you receive this letter written by me out here in the middle of this Atlantic Ocean.
Yes –this means that I have at last decided to return home in dear ol' Chicago Illinois, USA.
Canetti (my manager) and I had a little disagreement (quarrel), and since we couldn't patch things up I thought is best to return to America. As I have stayed over in Europe long enough anyway.
So I'l say that Torino Italy was the last place that I played my trumpet, and had my biggest success in All Europe. And I'm tellin' you Pal, I am a real happy man to think about it. And I must thank you again for making it possible.
I may be able to do something real nice for you some day, you never can tell, maybe you'l come to America some time. Eh? (sottolineato due volte) I hope so. Just look me up if you do.
And you must say hello to all the "Hot" Fans in Torino.
My darling wife Alpha sends best regards to you and all the fans. She's thrilled highly over my success in good ol' Torino – "yea, man".
Pal, you must answer this letter right away, as I'l be home by the time you get this letter. Again, thanks a million Zillion times for making it possible for my success in Torino.
Good bye, "Gate". I am, SWINGINGLY yours,
Louis "Satchmo" Armstrong
Traduzione:
Il mio indirizzo a Chicago è 29-35 South Parkway. "Yea, man". Vado a casa, "Gate" (il nomignolo dato ad Antonino).
Transatlantico Champlain, 24 gennaio
1935,
Caro Alfredo, amico mio,
immagino che sarai molto sorpreso di ricevere questa lettera che ho scritto qui, nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico. Già – ciò vuol dire che finalmente ho deciso di tornarmene a casa, nella vecchia Chicago, Illinois, Stati Uniti.
Canetti (il mio impresario) ed io abbiamo avuto un disaccordo (abbiamo litigato) e siccome le cose non si potevano aggiustare ho pensato che la cosa migliore da fare fosse tornarmene in America. Anche perché comunque ero rimasto in Europa già abbastanza.
E ti dico che Torino, Italia, è stato l'ultimo posto in cui ho suonato la tromba in Europa, e anche quello in cui ho avuto il maggior successo. Amico mio, credimi, il solo pensiero mi riempie di felicità, e devo ringraziarti ancora per averlo reso possibile.
Chissà, magari un giorno riuscirò io a fare qualcosa di bello per te, forse verrai in America prima o poi. Eh? Lo spero. Se verrai, non avrai che da chiamarmi.
E salutami tutti i jazzofili torinesi. La mia diletta moglie Alpha manda i suoi saluti a te e a tutti i fans: è al settimo cielo per il mio successo nella "buona vecchia Torino" - "yea, man".
Addio, "Gate". Tuo, con swing,
Louis "Satchmo" Armstrong
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
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Data ultima modifica: 05/01/2008
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