Bologna Jazz Festival 2012 15 - 25 novembre 2012
di Eugenio Sibona
Con Ciavarella un concerto per una grande famiglia Bologna, 15 novembre 2012
Si apre il Bologna Jazz Festival
2012 con Teo Ciavarella:
bolognese d'adozione, si è laureato al DAMS e ora dirige l'Alma Jazz Orchestra.
Inoltre, ha collaborato con jazzisti come
Paolo Fresu
e Antonello
Salis, nonché alcuni tra i più importanti musicisti italiani (Lucio Dalla,
Renzo
Arbore e Paolo Conte).
Palcoscenico di questa sera è il Take Five, dove l'anno scorso il pianista originario
del Gargano è venuto a suonare assieme a
Ellade Bandini,
Giuseppe Bassi
e Barend Middelhoff, con una modalità molto particolare, ormai rarissima nelle registrazioni:
con l'App Sottofondo, senza amplificazioni, che permette di ottenere un suono pulito
e naturale. In seguito, il gestore del locale ha realizzato l'ultimo disco di Ciavarella,
Live at Take Five, con i brani registrati durante la serata.
Quest'anno c'è una novità. Infatti, per la prima volta assieme a lui ci sono due
giovani talenti: al contrabbasso Stefano Senni
e alla batteria Marco Frattini. Il piano la fa da padrone, entrando
in un'atmosfera quasi mistica. Il clima è intimo, quasi familiare. La scaletta è
varia: si comincia con brani del compianto
Bruno Martino,
poi viene eseguita Panarea, ispirata al Mediterraneo e alla batteria di Frattini.
Sembra di sentire le onde del Mediterraneo spruzzare note ai ritmi di una taranta.
Dopo, invece, è la volta di Arianna, scritta per il contrabbasso.
La famiglia si allarga e vengono invitati due amici: si comincia con Ugo De Veredicis,
che presta la sua voce a un classico del jazz, Giorgia On My Mind. Ciavarella
è in vena di scherzi, e ironizza sul lotto, perché i decibel danno i numeri. E i
numeri Veredicis li ha, perché dimostra che, persino senza microfono, se c'è il
silenzio giusto, una voce brillante può raggiungere chiunque. In seguito, è il turno
di una voce ancora più delicata, quella di Anthony Sinibaldi, che interpreta
Chet Baker.
E' anche tempo di dediche: a un'ospite del locale Ciavarella fa gli auguri di compleanno
e omaggia gli amici di Jazzitalia con un brano tratto dall'album che ha realizzato
qui: I Can't Get Started. E così finisce. Chissà se con un altro disco.
"I can remember" Massimo Mutti, col trio di
Chick Corea
Bologna, 16 novembre 2012
Al Teatro Europauditorium di Bologna va in scena uno dei più prestigiosi appuntamenti
della settima edizione del Bologna Jazz Festival. La serata si apre con un ricordo
del suo compianto direttore Massimo Mutti, scomparso proprio a pochi mesi
dall'inizio della rassegna. Per fortuna, il figlio Federico,che ne continua
l'opera, è riuscito a portare in esclusiva nazionale un affezionato Trio del Festival.
Il pianista Chick
Corea, che era già venuto nel 2007, porta la sua lunga esperienza
di sperimentatore di jazz fusion, che dagli anni Settanta lo ha portato a collaborare
con grandi artisti come Miles Davis e a vincere diciannove Grammy Award.
Con lui ci sono il contrabbassista Christian McBride, che avevamo visto l'anno
scorso a Vignola, e il batterista
Brian Blade, già collaboratore di musicisti come
Brad Mehldau,
Wayne Shorter e Bob Dylan.
Si tratta della prima tappa del loro tour e, infatti, l'intesa è ancora in fase
di rodaggio: spesso ci si abbandona ad esecuzioni singole, rispetto a prestazioni
corali. Corea a volte si ferma e passeggia per il palco per avvicinarsi meglio a
Blade, per godersi lo spettacolo. Il batterista forse è fin troppo scatenato, però
tiene il tempo in modo eccezionale, infatti "bacchetta" gli spettatori, come se
gli volesse dare il tempo. E il pubblico gradisce, con calorosi applausi. Il trio
alterna composizioni proprie a brani di Walton, Shorter o Henderson, col quale hanno
suonato tutti e tre. È anche la volta di una rarità, uno dei primi pezzi di Thelonius
Monk, Work, che non molti suonano.
Corea è un acuto osservatore: non ha bisogno di parlare tanto coi suoi partner o
col pubblico. Gli basta qualche attimo di silenzio, di reciproci sguardi. E poi
una gestualità eloquente: il pianista è di origini italiane, e si vede. Alza le
braccia, sembra voler dire: <<Ci siamo>>. E infatti, giunto il momento dell'immancabile
Spain, la folla non si trattiene più e, spontaneamente, comincia a cantare
i celeberrimi versi: <<I can remember the rain in December…>>. Fino all'ovazione
finale.
A lezione di jazz con i Minor Swing Quintet Bologna, 17 novembre 2012
Al Take Five è ospite, per il secondo anno consecutivo al Bologna Jazz Festival,
un prodotto autentico del vivaio bolognese: i Minor Swing Quintet, capitanati
da Laura Masi alla chitarra. Assieme a lei l'altro chitarrista, il giovane
Paolo Prosperini, Alessandro Cosentino (violino), Francesco Angelini
(pianoforte), e Tommy Ruggero (batteria). Attivi da ben sette anni, recentemente
sono riusciti a produrre il loro primo fortunato album, Mapo salato, il cui
nome deriva da un frutto molto aspro e la cui creazione è un po' misteriosa: infatti
è un ibrido tra il mandarino e il pompelmo. Ma per questi cinque artisti, nati tutti
negli anni Ottanta, ricorda quando hanno dovuto mangiarlo nelle mense scolastiche,
dando quindi vita a particolari momenti di convivio.
La serata è un'occasione per presentare i brani del loro disco, come Tatango,
Drunken Sara, Minor Swing. Il pubblico viene coinvolto e applaude al
ritmo della musica, soprattutto con Samba Sabar, che fa riferimento ai ritmi
tipici, rispettivamente, di Brasile e Senegal. Ma il clima è troppo familiare per
limitarsi a questo: Ruggero vuole di più e sa come ottenerlo, così improvvisa una
lezione sulla tecnica da tamburo del Flam e chiede schiocchi delle dita a
due e quattro tempi. Oltre che batterista, è anche un buon maestro, perché il pubblico
capisce, entra in sintonia con il gruppo e gli dà la base musicale. E il neoinsegnante
loda i suoi nuovi alunni: <<Siete il pubblico che va più a tempo>>.
Dopo qualche intermezzo in cui si omaggiano gli standard jazz, si arriva alla conclusione,
con l'enigmatica Hungaria, <<dedicata a una terra che nessuno conosce>>.
Il vantaggio di stare in locali più piccoli ma intimi rispetto ai teatri, è che
la migliore visuale beneficia gestualità o azioni particolari, così i Minor trovano
anche il modo per fare una gag: nel bel mezzo di una melodia briosa, i cinque
musicisti s'interrompono improvvisamente con pose statuarie, clownesche, con quegli
sguardi da boemi che ricordano le tipiche danze gitane delle tribù manouche che
hanno ispirato
Django Reinhardt,
il padre spirituale del quintetto. Questa sorpresa incanta il pubblico. Non vola
una mosca, non si sente un respiro: ogni spettatore sta riascoltando mentalmente
le musiche che l'hanno colpito ed è in attesa di riempire questo vortice silenzioso
che avvolge tutta la platea. Si rimane così per un lunghissimo minuto, in cui ognuno
si è sentito preso da quest'atmosfera, ognuno è bloccato, finché il gruppo riprende
freneticamente. Magari si potesse davvero fermare il tempo e vivere per sempre serate
così.
Spensieratezza ed energia con Omer Avital, il jazzista
errante Bologna, 23 novembre 2012
Per la prima volta alla Cantina Bentivoglio è ospite il contrabbassista Omer
Avital, considerato da fan, critici e musicisti internazionali come uno
dei più grandi innovatori tra gli artisti della sua generazione. Da giovane aveva
scelto la chitarra, per poi mutuarne le tecniche al basso, potendo così suonare
con una dolcezza tale che gli permette di ondeggiare tra il flamenco e il blues,
passando per il jazz con lo stile di Oscar Pettiford. Cresciuto in Israele, Avital
in seguito è andato a New York, in cerca di un luogo più fertile per la ricerca
di nuovi spunti. Qui non si è limitato ad affinare la tecnica, ma ha imparato a
sfidare le regole del jazz e, con i gruppi che ha formato (Omer Avital Quintet and
Ensemble, Yes! Trio, Third World Love, Yemen Blues, The New Jerusalem Orchestra),
ha cercato sempre di allontanarsi dagli schematismi delle regole, per trasmettere
un senso di gioia e libertà che ogni volta contagia il pubblico. La sua ultima formazione,
caratterizzata da un sound "kletzmer", definito dal giornale Der Sonntag
"ebreo-arabo etno post-bop", è Omer Avital & His Band Of The East.
La compongonoGreg Tardy (sax), Nadav Remez (chitarra), Jason Lindner (tastiere) e Daniel Freedman (piano).
In anteprima il gruppo ha suonato dei brani che presto saranno registrati in un
nuovo disco. Lindner è frizzante, mentre Remez, comunque bravo, a tratti pare un
po' meccanico. Pare quasi in contemplazione, un po' intimidito dal più esperto Tardy,
che invece è tecnicamente fluido e fisicamente tarantolato: così, nella prima parte
della serata, il vero protagonista è lui. Sembra di vedere un domatore di serpenti,
che addomestica la preda con il suo strumento e le fa fare quello che vuole. Si
crea così un clima generale di divertimento a ritmi sempre più frenetici, che è
proprio la filosofia generale del gruppo. Le prime melodie, in stile yemenita –
ebraico, vogliono farci immaginare la comunità ebraica dove Avital ha vissuto: ci
vuole descrivere la vita dell'ebreo errante, che raccoglie quanto di meglio si trova
in ogni luogo. E, infatti, lo stile non è mai monotono, ma vediamo una varietà di
suoni che si sovrappongono e amalgamano tra di loro.
Successivamente, il musicista israeliano racconta la sua maturità, il suo divenire
adulto, con brani più personali, dedicati alla sua famiglia. Lui, però, rimane dietro
a tutti, nascosto anche scenograficamente, come se volesse solo reggere i fili,
dirigere nell'ombra. Ma, finalmente, con Givataim, dedicata alla sua città
natale, si prende tutta la scena. C'è solo lui, gli altri musicisti gli fanno spazio
e lui dà il meglio di sé. Accenna anche qualche passo di ballo, si ride e si scherza,
dando alla serata un tono di spontaneità e spensieratezza.
Il Teatro Europauditorium portato nella 4° dimensione con
John Mclaughlin Bologna, 25 novembre 2012
Nell'ultimo appuntamento del Bologna Jazz Festival, il Teatro EuropAuditorium è
stato ipnotizzato dallo spirito esotico di The 4th Dimension, la formazione
più recente di John Mclaughlin, storico innovatore della fusion elettrica:
inserito fra i "100 migliori chitarristi di tutti i tempi" dalla rivista Rolling
Stone, a partire dagli anni Settanta ha guidato la Mahavishnu Orchestra e ha collaborato
con musicisti del calibro di
Bill Evans,
Paco De Lucia, Carlos Santana e Miles Davis (con il quale ha registrato In A
Silent Way e Bitches Brew). Stasera, con McLaughlin, Gary Husband alle
tastiere, il bassista Etienne M'Bappe e il batterista Ranjiit Barot.
Il quartetto ha presentato il suo ultimo disco "Now Here This", che vuole
rappresentare la storia e la sintesi della carriera del chitarrista britannico.
A settant'anni il chitarrista britannico è ancora energico: gli piace stare col
pubblico, non si limita come altri a poche parole di circostanza, ma ci tiene a
esprimere il suo apprezzamento, in un discreto italiano. Non usa molto effetti speciali,
gli basta un solo esemplare di quello strumento per cui è diventato famoso, la chitarra,
e in Trancefusion' impiega le sue caratteristiche tipiche, correndo rapido
sul manico. Melodia e lirismo si fondono, invece, nel blues di Echos From Ten,
tipico esempio di jazz modale. Husband, molto istintivo e quasi violento, alterna
terzine e rullate con evidente sensibilità ritmica. In The Fine Linesfida Barot, cheraccoglie il guanto: più morbido, ma canonico, viene
guidato da McLaughlin che, come un direttore d'orchestra, gli dà il tempo per uno
scat formidabile. Di guanti è esperto anche Mbappe: le sue mani, avvolte nella seta,
si muovono agilmente sul suo basso, tra bizzarre improvvisazioni e attacchi irruenti,
con ritmi e suoni da tempesta, da cavalleria: i quattro cavalieri sfornano cambi
d'accento e quartine a raffica in duelli musicali entusiasmanti, sempre però nel
segno della nobiltà musicale.