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Intervista a Paolo Prosperini, la mente dei Minor Swing Quintet.
Bologna, novembre 2012
di Eugenio Sibona



In esclusiva per Jazzitalia, l'intervista al giovane chitarrista dei Minor Swing Quintet, Paolo Prosperini. Sebbene anagraficamente sia il più giovane del gruppo, è uno dei veterani della formazione, che l'ha vista crescere e consolidarsi. E allo stesso modo è cresciuto anche lui che, col tempo è diventato la vera e propria mente del gruppo, infatti è colui che scrive i testi. In attesa di partire per l'Europa alla ricerca di nuova ispirazione.

Appena finito il sound - check del concerto, incontriamo Paolo Prosperini, Come stai, sei carico?
E' una delle mie prime interviste e sono abbastanza emozionato.

Sei molto giovane, che studi hai fatto?
In realtà avevo cominciato a studiare Scienze Politiche, poi ho deciso di dedicarmi completamente alla musica.

Quindi, come ti sei formato?
Io sono completamente autodidatta. Ho cominciato a quindici anni, avvicinandomi al jazz e in particolare al gipsy, ascoltando Django Reinhardt. Poi per caso al Buskers Festival di Ferrara ho incontrato Tolda Biuring, che prima conoscevo solo di fama: un artista turco- olandese che tra l'altro ora vive proprio a Bologna. Da lì è nato un rapporto non solo di formazione ma anche di profonda amicizia che dura tutt'ora.

Come vedi oggi l'educazione musicale e del jazz ?
Per ora mi sembra che negli ambienti didattici si pensi a tutt'altro, probabilmente perché si pensa che il jazz non faccia parte della nostra cultura. Così i musicisti bravi sono costretti ad andarsene: penso, per esempio, ai Fratelli Grasso. Qui, purtroppo, ci si deve accontentare del livello esistente, e non si riesce a fare di più.

Come sono nati i Minor Swing Quintet ?
Sono dentro fin da giovanissimo, ormai sette anni fa, e sono stati la mia prima band. Prima suonavo solo con Laura, poi sono entrati anche gli altri.

Qual è l'età media del gruppo ?
Ventotto anni, io sono il più giovane.

Hai progetti futuri? Intendete fare nuovi album?
No. Io a Gennaio vado per qualche mese in Francia, per studiare e vivere l'esperienza locale. Attualmente siamo fermi al primo album, che però non era molto ortodosso, quanto a stile jazz, ma contaminato anche con altri generi. Ora stiamo maturando molto, però ancora non abbiamo pensato al prossimo disco.

Eravate al Bologna Jazz Festival anche l'anno scorso. Avete conosciuto Massimo Mutti ?
Sì, lo conoscevo bene, ed è stata una grandissima perdita, perché lui era un habitué qui al Take Five a vedere i nostri concerti. Mi ricordo le chiacchierate che abbiamo fatto con lui, perché era onnisciente riguardo al jazz, ed era sempre molto gentile. Conosco il figlio, Federico, che sta continuando il lavoro nel solco del padre, e qui al Bologna Jazz Festival ci si sente come in una grande famiglia.

Alcuni Festival, come Umbria Jazz e quelli di Milano, negli ultimi anni sono stati accusati di essere diventati un po' generalisti.
Sono relativamente d'accordo, perché se anche è vero, comunque non è un problema circoscritto solo al jazz, ma è uno specchio dell'intera società. Non si esplorano più orizzonti nuovi e si concentrano tutte le energie solo nel portare gente nuova agli eventi. Penso che ci sia uno sbaglio di mentalità a priori. Quindi, penso che per risolvere questa situazione di stallo, si debba dare più potere a gente assetata di novità.

Alcuni critici pensano che si sia un po' perso lo spirito sociale dell'artista, in nome dell'autoreferenzialità. Cosa ne pensi ?
Forse è vero, ma come per il discorso dei festival, anche questo è legato all'intera umanità che è così. Il jazz ne è un tassello, e così a suo modo la racconta.  Coi nuovi boppers stiamo allargando le nostre vedute. C'è uno sbilanciamento, perché qui in Italia ci sono grandi musicisti, penso anche a Jacopo Martini, però rimaniamo un paese di nicchia, forse anche per cause geografiche, quindi comunque si fa fatica a crescere.







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Data pubblicazione: 12/01/2013

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