Coraggio ed attitudine alla sfida. La vocalist Debora Lombardo con
il suo quartetto, Fabio Franceschetti alla chitarra,
Alex Carreri
al basso e Stefano Bertolotti alla batteria, affronta un disco di "standards"
andando a rivisitare alcuni classici tra i più celebri della storia del jazz, in
un'operazione da farebbe tremare i polsi anche agli artisti più consumati.
Per una cantante, poi, la sfida rasenta la temerarietà,
laddove è inevitabile dover fare i conti con il fantasma delle più grandi vocalist
del passato.
Domanda retorica: si possono ancora incidere delle nuove versioni di
"Lullaby of Birdland" dopo quella
di Sarah Vaughan, o di "They Can't Take That Away
From Me" dopo Ella Fitzgerald?
La vocalist riminese tenta la "missione impossibile" ed il risultato è
un disco piacevole e di buona fattura, ben suonato, con interpretazioni precise
e senza sbavature.
La sezione ritmica si mostra in ogni occasione brillante, con qualche
rimando allo stile raffinato dei mitici "Poll Winners" degli anni sessanta (Barney
Kessel, Ray Brown
e Shelly Manne), con una menzione particolare al lavoro di Fabio Franceschetti
alla chitarra, condito di assoli sempre puliti ed essenziali, privi di qualsiasi
inutile orpello.
Alex Carreri
al basso sottolinea con efficacia le atmosfere più misteriose, in particolare quelle
notturne di "‘Round Midnight" e "Sophisticated
Lady", mentre il sostegno di Stefano Bertolotti mantiene
l'eleganza e la misura indispensabili in un disco di standards.
In alcuni brani compaiono come ospiti la tromba di Gianni Satta
in "They Can't Take That Away From Me"
ed il pianoforte di
Mario Zara che accompagna la cantante in "Moody's
mood" e soprattutto "The Island",
forse l'interpretazione più convincente del disco.
Quanto a Debora Lombardo il discorso è più complesso. Non si discutono
le sue doti tecniche, la brillantezza, l'intonazione e la precisione della vocalist
riminese. Ma tanta bravura riesce solo in parte a centrare il risultato. Qualcuno
disse che, una volta acquisita la tecnica, bisogna arrivare al punto di dimenticarla
e – mentalmente – gettarla alle ortiche. Ecco il punto. Manca un pizzico di emozione
in più. Questo disco è ancora troppo "pensato" e, a tratti, si sente. C'è troppa
preoccupazione di essere "all'altezza", laddove invece le qualità tecniche non mancano
davvero. Ma il jazz è un'arte che rifugge la perfezione troppo intenzionale. Forse
sarebbe bastato lasciarsi andare un po' di più per ottenere un risultato meno "voluto"
ma più spontaneo.
La strada maestra ce la indica la cantante stessa nelle note di copertina:
".....non riordinare pensieri e certezze, ma vivere paure e sogni…"
Perfetto assunto per la prossima occasione. Aspettiamo fiduciosi.
Roberto Biasco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 02/11/2008
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