Lorenzo Erra
è un pianista dal tocco raffinato ed elegante, di solida formazione classica, che
non nasconde le sue frequentazioni nell'ambito della musica colta oltre che nel
jazz. Si è infatti diplomato in pianoforte prima ed in composizione, poi presso
i conservatori di Brescia e di Como, ed ha successivamente collaborato con musicisti
ed orchestre jazz dell'area milanese.
"Real Life" è un
disco all'insegna del classico trio jazz – pianoforte, contrabbasso e batteria –
che, inevitabilmente, rimanda alla lezione di maestri come
Bill Evans
e Keith Jarrett,
anche se, ad onor del vero,
Lorenzo Erra
cerca in tutti i modi di evitare i luoghi comuni e di superare il linguaggio specifico
del jazz, inteso nel senso più tradizionalmente "boppistico" o "postbop" per approdare
ad una dimensione musicale più ampia, nella quale far risaltare anche e soprattutto
la sua cifra di compositore.
Erra
è infatti l'autore di tutti i brani dell'album, con la sola eccezione di "Undici"
firmato dal batterista
Giò Rossi. Il lavoro è accreditato "alla pari" a nome di tutti
e tre i musicisti, ma occorre precisarlo, al di la dell'innegabile interplay
tra gli attori in campo, è ancora una volta il pianoforte a farla da padrone.
Si tratta di un disco di atmosfere raffinate, che richiede un ascolto
attento e rilassato; non mancano suggestioni moderatamente "rockeggianti" come nel
brano di apertura "Eccoci qui"
ed in "Illusioni", dagli accenti
delicatamente "funky", mentre in "Montecarlo"
e soprattutto in "Sad but hopeful"
– con la splendida introduzione del contrabbasso di Marco Conti – certamente
tra i pezzi più riusciti dell'album, il trio si cimenta nelle raffinate atmosfere
del jazz in ¾.
Il risultato finale non manca davvero di omogeneità ed eleganza, ma affiora
in alcuni brani un filo di patinata ricercatezza laddove, invece, una maggiore incisività
espressiva avrebbe certo aiutato a "catturare" emotivamente l'ascoltatore.
Il sound di
Lorenzo Erra
nel bel disco "gemello" del contrabbassista Marcello Testa (An Ordinary
Week – Ultra-Sound 2008), sempre in trio,
ma con accompagnatori diversi, respirava un'atmosfera più spiccatamente jazzistica:
la situazione del classico trio "evansiano" era però filtrata da una freschezza
interpretativa e da una brillantezza di risultati più convincente.
E' indubbio che da musicisti di questo livello è lecito e doveroso pretendere
qualcosa di più, un sentire emotivamente più "vero", un po' più di "vita reale",
appunto.
Non mancherà occasione.
Roberto Biasco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 15/03/2009
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