Master Class di Jack De Johnette
Roma, Casa del Jazz, 14 dicembre 2006
di Paolo Amarisse
foto di Andrea Pacioni
Un incontro da favola...
Jack Dejohnette, il giorno dopo il concerto all'Auditorium di Roma con
Jerome Harris e Foday Musa Suso, si concede al pubblico, ai musicisti
e non, agli appassionati.
Alla Casa del Jazz,
ore 15, ritrova le energie per un seminario (cosiddetta Master Class) organizzato
dal SLMC.
L'attesa dura veramente poco. Solo un centinaio di persone per lui, quasi esclusivamente
giovanissimi e studenti. Batteria folta di piatti, piattini e tamburi.
Simpatico, inizia col consigliare di usare dei tappi per le orecchie quando
si studia, perchè le alte frequenze dei piatti, soprattutto nuovi o di ultima generazione,
possono seriamente danneggiare l'udito.
E poi, non si risparmia più.
Inizia
da solo prima con le mallets (bacchette con feltro), producendo insieme al microfono
dei giochi di suoni con i piatti. Continua sui tamburi, finisce con un assolo.
Prende le spazzole. Inizia la musica seria. Fornisce grande dimostrazione
di quanto siano belle, sonore e artistiche le poco amate (dai batteristi) spazzole.
Straordinario.
Stanco dei soliti (per lui) virtuosismi, chiama l'amico Jerome, che
lo ha seguito anche al seminario e, fornito in extremis di basso elettrico, iniziano
a suonare. Affrontano, iniziando da un funk-rock, diversi stili e diversi standard.
Il meglio lo danno sicuramente suonando jazz, in quattro, swing la batteria e walking
il basso, con assoli distribuiti tra l'uno e l'altro. Divertiti e divertenti come
adolescenti, incredibile. Tutto ciò per circa un'ora e mezza.
Si ferma un po' per concedersi alle domande dei partecipanti. Al solito improbabili,
a volte inopportune, spesso inutili...
Stanco di una mezzoretta di chiacchiere, Jack sa bene che l'unica è...suona',
quindi stop alle domande, si fa un pezzetto al pianoforte, e, più divertito che
fiero di sé, si riaccomoda alla batteria. Ultimo ospite, non identificato, altro
amico, al piano, col quale suonano standard.
E lì Jack, impugnate le bacchette, suona "da Dio", con gran
passione, con l'interplay che lo contraddistingue da molti, lanciandosi in bellissimi
accompagnamenti e assoli. Quella è indubbiamente la sua musica, senza troppe sperimentazioni
o modernità. Oserei definire sconvolgente la somiglianza a Elvin Jones,
da cui per anni si è contraddistinto per suonare moderno o raffinato. E' uscita
fuori tutta la sua vena afroamericana che ci piace di più: la rabbia, il pestare,
l'Africa, l'hard bop.
Due ore piene di Jack Dejohnette così, credo che non se l'aspettava
nessuno.
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Data pubblicazione: 22/01/2007
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