Jack DeJohnette & The Ripple Effect
Roma, 27/10/2009 - Auditorium Parco della Musica
di Dario Gentili
foto di Daniele Molajoli
Jack DeJohnette
batteria
Marlui Miranda voce, strumenti indiani
John Surman fiati
Jerome Harris basso
Ben Surman samples, elettronica
Di una cosa si può esser certi: è praticamente impossibile assistere per
due volte allo stesso concerto se questo ha per protagonista
Jack DeJohnette,
tale è la varietà e la diversità di progetti musicali di cui è l'ispiratore e il
leader. Stavolta il grande batterista americano è tornato a suonare all'Auditorium
di Roma con la formazione The Ripple Effect, composta da due dei più assidui
complici della sua inquieta creatività, John Surman e Jerome Harris,
dalla cantante e vocalist brasiliana Marlui Miranda e dal live-electronics
del figlio di John, Ben Surman.
In realtà, The Ripple Effect ha al suo attivo
già una registrazione (Hybrids, 2005),
ma il concerto romano ha presentato un buon numero di nuove composizioni, tanto
da far presumere che il gruppo possa presto ritornare in sala di registrazione.
The Ripple Effect appartiene a quella tipologia di progetti di DeJohnette
che travalicano i confini del jazz (se di confini a proposito del jazz si può parlare)
per sperimentare nuove sonorità e musicalità: come suggerisce esplicitamente il
titolo del cd, è la via dell'"ibridazione" a essere perseguita. Il mondo è vario
e diversi sono gli stili musicali che esprime – e sembra proprio che The Ripple
Effect non ne voglia tralasciare nessuno: dai ritmi africani a quelli orientali,
dalla musica amazzonica al reggae, dalla canzone europea al funky e al rap. E varie
sono anche le lingue del mondo: Miranda canta, infatti, in brasiliano, in africano,
in francese e in inglese.
La formula della contaminazione tra jazz e musica etnica con l'ausilio
dell'elettronica non è certo nuova, e nuovo non è nemmeno il tentativo di proporre
una musica che, senza sacrificare la qualità e la ricerca, sia in grado di raggiungere
il grande pubblico: è dalla fusion degli anni Settanta che DeJohnette percorre questa
strada parallelamente alla sua produzione in ambito più strettamente jazzistico.
La proposta musicale di Ripple Effect riesce allora a inserirsi perfettamente su
questa linea, anche grazie al contributo determinante della versatilità di Harris
e della sensibilità e dell'esperienza consolidata di Surman nell'utilizzo dell'elettronica
e nella valorizzazione della cosiddetta musica popolare e folk.
C'è da dire, tuttavia, che dedicare ogni singolo brano a un diverso stile
e a una diversa ispirazione musicale può essere eccessivo e le esecuzioni ne sono
risultate fin troppo complesse; certo, l'interplay del gruppo è stato impeccabile,
ma resta un po' l'impressione che, alla fine, il senso del progetto abbia prevalso
sulla comunicatività. Non è un caso forse che i momenti che hanno strappato gli
applausi più sentiti siano stati gli assoli e i duetti di DeJohnette con Surman
e Harris. Va detto anche, però, che non ci si può che unire al canto di pace indiano
intonato in conclusione del concerto, dedicato allo spirito di cambiamento che oggi
sta attraversando gli Stati Uniti.
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16/05/2010 | Angelique Kidjo all'Auditorium Parco della Musica: "Ciò che canta è solare fusione fra la cultura del Benin, suo paese d'origine, ed il blues, il jazz, il funk e, soprattutto, la Makossa: un'ibridazione certo non nuova ma innovativa per temi e poetica, un mondo di suoni ed immagini dai contorni onirici, dalle evoluzioni potenti d'una voce ben definita e dinamica, di ampia estensione, ricca di coloriture flessibili nella varietas delle esecuzioni..." (Fabrizio Ciccarelli) |
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Data pubblicazione: 27/12/2009
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