Brad Mehldau Trio
Roma - Auditorium Parco della Musica – 21 aprile 2015
di Roberto Biasco
Brad Mehldau
- Piano
Larry Granadier - Contrabbasso
Jeff Ballard - Batteria
Ogni qualvolta si fa il nome di
Brad Mehldau
compaiono inevitabilmente i due "convitati di pietra" che rispondono alle ingombranti
figure di Bill
Evans e
Keith Jarrett,
soprattutto quando si argomenta intorno alle potenzialità del classico "Piano
Jazz Trio". Partendo dal presupposto che i suddetti personaggi hanno condotto
questa formula vicina al limite virtuale della perfezione, sorge spontanea la questione
se esista ancora spazio per superare tale limite.
La domanda, retorica, ovviamente non può avere risposta;
bisogna però ammettere che
Brad Mehldau,
impegnato negli ultimi anni in svariati progetti, anche orchestrali, ha dato finora
il meglio di sé proprio con il classico trio, come dimostrato brillantemente dalla
lunga serie di album incisi dal vivo al Village Vanguard negli anni Novanta con
la prima formazione, che vedeva Jorge Rossy alla batteria, sostituito ormai da una
decina d'anni da Jeff Ballard, ed il fido Larry Grenadier al contrabbasso.
Il drive spumeggiante di Ballard, senza nulla togliere all'eleganza di Rossy, sembra
aver fornito una maggior spinta al trio, stimolando ulteriormente quel dialogo "inter
pares" che, da
Bill Evans in poi, resta il marchio di qualità per questo tipo di formazione.
L'apertura del concerto non lascia dubbi in proposito, un lungo brano modale sviluppato
su un ostinato della mano sinistra, permette a Grenadier di sfoggiare un magnifico
assolo di contrabbasso.
Si prosegue con un asimmetrico "Blues for
Charlie
Haden", doveroso e commosso omaggio al grande contrabbassista compagno
di numerose e significative collaborazioni.
L'atmosfera del concerto decolla emotivamente con una sentita interpretazione di
"Bossa Brasileira" a firma di Chico Buarque, ad ulteriore conferma della
maestria del trio nella rivisitazione dei classici della musica brasiliana e di
questo autore in particolare (ricordiamo anche "O Que Serà", incisa al Village
Vanguard nel 2006). Brani originali si alternano
a rivisitazioni di standard, privilegiando questa volta la tradizione jazzistica,
tralasciando per il momento gli standard "pop-rock" contemporanei che spesso compaiono
nel repertorio del gruppo.
Ecco allora una velocissima "Crazeology" perfettamente calibrata nella atmosfere
be bop alla Bud Powell
e coronata da un superbo assolo di Grenadier, incastonata in una sequenza di composizioni
originali, spesso sviluppate in lunghi brani su tempi intermedi, all'interno delle
quali il trio riesce a creare un flusso sonoro ipnotico ed incantatorio, un vortice
acustico che trascina ed ammalia l'ascoltatore. Stupisce in alcuni brani una inaspettata
economia di mezzi espressivi da parte del pianista, che, a dispetto di capacità
tecniche superlative, non va mai oltre i limiti, preferendo toni smorzati ed atmosfere
allusive.
"Deva", a firma di Jeff Ballard, dimostra come quest'ultimo, attraverso un
uso sapiente delle spazzole, delle bacchette ed anche delle mani, tenda a far "cantare"
la batteria memore degli insegnamenti del passato. Il blues di Sidney Bechet in
perfetto stile New Orleans, risolto in un lungo ed introspettivo solo finale di
pianoforte dovrebbe chiudere in bellezza il concerto. Inevitabili a questo punto
i due bis reclamati a gran voce dal pubblico. "And I Love Her" dei Beatles,
bellissima ed inaspettata, è il giusto coronamento di una serata davvero speciale.
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16/05/2010 | Angelique Kidjo all'Auditorium Parco della Musica: "Ciò che canta è solare fusione fra la cultura del Benin, suo paese d'origine, ed il blues, il jazz, il funk e, soprattutto, la Makossa: un'ibridazione certo non nuova ma innovativa per temi e poetica, un mondo di suoni ed immagini dai contorni onirici, dalle evoluzioni potenti d'una voce ben definita e dinamica, di ampia estensione, ricca di coloriture flessibili nella varietas delle esecuzioni..." (Fabrizio Ciccarelli) |
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Data pubblicazione: 10/05/2015
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