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Guido Michelone
Miles Davis. Il sound del futuro
Editore Barbera Siena 2011, pagine 160, euro 13,90.
Nel ventennale della scomparsa, il personaggio Miles Davis torna a brillare
nel firmamento jazzistico. Non che si sia mai offuscato: fioccano copiosi i tributi
a questo o quel periodo di attività e gli studi critici dedicati alla sua arte.
Recentemente Minimum Fax ha ripubblicato in edizione de luxe, con un'intervista
inedita, L'autobiografia scritta in collaborazione con Quincy Troupe (un
gioiellino letterario, più che i ricordi di un jazzista), mentre Gianfranco Nissola
in Miles Davis. Principe delle tenebre (Edizioni ETS, Pisa) approfondisce
da appassionato gli aspetti biografici del nostro, legandoli puntualmente ai risvolti
sulla sua arte. In questo quadro denso di avvenimenti s'inserisce il nuovo lavoro
di Guido Michelone che tenta una operazione di rilettura del personaggio a partire
da alcune costanti della sua carriera.
Un primo aspetto fondamentale va sicuramente
riferito al Miles innovatore: dal be bop degli anni Quaranta fino al rap-jazz del 1991, con un visionario disco uscito postumo.
Assorbiti i fondamentali episodi del jazz-rock e del free-funk questo avvicinamento
finale al rap testimonia la vitalità artistica di Davis, perseguita fino all'ultimo.
Alla ricerca del sound del futuro, come sintetizza efficacemente Michelone
che dedica spazio critico anche agli inediti usciti dalla metà degli anni Novanta
ad oggi. Un secondo approccio per inquadrare Miles viene dal suo poliedrico approccio
all'arte; a buon diritto definibile multimediale. Dalle arti figurative, alle colonne
sonore per cinema e teatro, alla carriera di attore, si possono stabilire illuminanti
parallelismi. Sul Miles pittore-musicista Michelone scrive: La tecnica non è
affatto peregrina: Miles, come nella musica, controlla, pulisce, leviga, toglie,
inserendo pause e silenzi, pensando e costruendo una struttura, mediante griglie
cromatiche e ritmi geometrici, talvolta con acuto rigore…
Un performer totale,
capace di passare dal registro alto alla cultura popolare senza smarrire la propria
cifra individuale.
Franco Bergoglio per Jazzitalia
25/03/2010 | Hal McKusick si racconta. Il jazz degli anni '40-'50 visti da un protagonista forse non così noto, ma presente e determinante come pochi. "Pochi altosassofonisti viventi hanno vissuto e suonato tanto jazz quanto Hal Mckusick. Il suo primo impiego retribuito risale al 1939 all'età di 15 anni. Poi, a partire dal 1943, ha suonato in diverse tra le più interessanti orchestre dell'epoca: Les Brown, Woody Herman, Boyd Reaburn, Claude Thornill e Elliot Lawrence. Ha suonato praticamente con tutti i grandi jazzisti tra i quali Art Farmer, Al Cohn, Bill Evans, Eddie Costa, Paul Chambers, Connie Kay, Barry Galbraith e John Coltrane." (Marc Myers) |
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Data pubblicazione: 18/08/2011
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