Wayne Shorter Quartet
Roma, Auditorium Parco della Musica – 22 Marzo 2009
di Roberto Biasco
Wayne Shorter: tenor and soprano sax
Danilo Perez:
piano
John
Patitucci: bass
Brian Blade: drums
Il quartetto di
Wayne Shorter si è spesso esibito negli ultimi anni in Italia, e le
occasioni per ascoltare quella che è forse la formazione jazz più importante del
momento, non sono certo mancate.
Ogni esibizione si trasforma in un evento unico ed irripetibile; non a caso
la Sala S.Cecilia, la più grande dell'Auditorium, era gremita in ogni ordine di
posti.
Wayne Shorter formò questo quartetto "acustico" circa otto anni fa,
coinvolgendo il pianista
Danilo Perez,
John
Patitucci al contrabbasso e
Brian Blade alla batteria.
La qualità della musica prodotta è ben testimoniata
nei due dischi dal vivo pubblicati dall'etichetta Verve negli ultimi anni: "Footprins
Live" e "Beyond The Sound Barrier", oltre che nello splendido "Alegria"
inciso in studio con una formazione orchestrale atipica, caratterizzata dalla
presenza di oboe e violoncello. Ma l'ascolto su disco non può restituire che una
immagine parziale della performance dal vivo, perché il concerto in questo caso
specifico non è solo "musica" ma veicolo di emozioni più profonde.
Wayne Shorter è uomo di forte spiritualità, devoto alla religione
Buddista, che, in qualche modo lo ha sorretto tra le avversità di una vita non facile,
spesso toccata da avvenimenti tragici: la lunga malattia e la morte della figlia
Iska, la perdita della moglie in un incidente aereo, la lunga lotta contro la dipendenza
dall'alcool.
Fraterno amico e devoto discepolo di
John Coltrane,
al di là delle differenze stilistiche maturate negli anni, ha voluto trasferire
nel suo quartetto di oggi l'approccio "spirituale" del grande quartetto di Coltrane
degli anni sessanta. Un approccio alla musica come materia viva, all'interno della
quale il fattore determinante è l'interscambio emotivo tra i musicisti sul palco
e tra questi ed il pubblico. Una concezione "armolodica" - con le parole
di
Ornette Coleman - in cui l'"armonia" interiore tra i suonatori
è premessa indispensabile per poter realizzare l'"armonia" della musica,
e diventa un tutt'uno con essa.
Il concerto del quartetto inizia piano, quasi sommessamente, i musicisti
si prendono tutto il tempo necessario per entrare nella parte, la musica, pur affascinante,
appare all'inizio obliqua, difficile da decifrare, a tratti spigolosa. I punti di
riferimento melodici sono ridotti all'essenziale, anche i pezzi più famosi appaiono
irriconoscibili, quasi non avessero un vero e proprio tema conduttore. I brani -
lunghissimi - vengono eseguiti senza soluzione di continuità, saldandosi gli uni
agli altri. Ma pian piano, lentamente, come una marea che sale la "Musica" con la
"M" maiuscola prende il sopravvento.
Shorter lavora,oggi, per sottrazione, accenna il tema, sottolinea gli
accenti, interviene liricamente, con parsimonia ma con straordinaria efficacia,
come un direttore d'orchestra che dà il "la" ai musicisti. Ma, rispetto alle ultime
esibizioni, questa volta si dona generosamente anche come strumentista, ricordandoci,
semmai qualcuno lo avesse dimenticato, di essere ancora il sassofonista più originale
del jazz moderno.
Brian Blade ricorda nell'irruenza il grande Elvin Jones, e
come lui appare più come un "percussionista" che un "batterista" nel senso più tradizionale
del termine. In alcuni momenti diventa lui il solista principale, sparando colpi
secchi, potenti, grappoli di rullate senza tregua, quasi a trasmettere una sensazione
di sinistra inquietudine.
Shorter si posiziona sul palco vicino al pianoforte di
Danilo Perez,
che, muovendosi in perfetta sintonia con il leader, ne filtra gli umori e tira le
fila di tutta la formazione, mentre Patitucci, ex "enfant prodige" del basso elettrico
ed oggi virtuoso assoluto dello strumento acustico, mostra l'autorevolezza definitiva
del musicista ormai entrato nel pieno della maturità.
Il risultato è una musica che definire semplicemente "jazz" può essere
riduttivo o, forse esagero, addirittura offensivo. Si tratta di grande musica improvvisata
e basta. Una magia che non può ripetersi facilmente, richiede un livello di rapporto
umano, oltre che artistico, che raramente si riesce a raggiungere.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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COMMENTI | Inserito il 29/6/2009 alle 15.03.13 da "Letydan" Commento: Shorter è avanti anni luce rispetto agli altri. I suoi concerti sono la prima essenza dell'improvvisazione. Musica evocativa, vista e vissuta come evento collettivo con pochissimi appigli melodici destinati a sparire nel tempo. Dovrebbero suonare tutti così, ma ne son tutti capaci? :). E' lui il più grande. Saluti,
Dan | |
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Data pubblicazione: 03/05/2009
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