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Heimweh
Ragh Potato
Improvvisatore Involontario (2011)
1. Kobi Bràiant
2. Nenti
3. Ragh Potato
4. Anàgoli De Ché
5. Coratella
6. Heimweh
Alberto Popolla - clarinetto e clarinetto
basso
Alessandro Salerno - chitarra baritono classica
Francesco Lo Cascio - vibrafono e percussioni
Mario Paliano - batteria e percussioni
In una recente intervista pubblicata su Musica jazz,
Sonny Rollins
afferma: "Improvvisare? Ci dà la più assoluta di tutte le libertà". E' a
questa filosofia che, forse, si ispira il gruppo di musicisti e di altri operatori
culturali che si raccolgono sotto la sigla di "Improvvisatore involontario",
fino a costituire un vero e proprio marchio di qualità, operante in Italia e all'estero
da più di sei anni.
L'anima del progetto è Francesco Cusa, percussionista siciliano, noto,
fra l'altro, per aver fatto parte dell'associazione bolognese "Bassesfere". Nell'ultimo
anno sono stati pubblicati undici dischi dell'etichetta discografica facente capo
al management del collettivo. Fra questi uno dei più significativi è certamente
"Ragh Potato" del quartetto denominato "Heimweh" (Nostalgia), un omaggio
al cinema del grande regista russo Andrei Tarkovsky. La musica che si ascolta nel
cd contiene molti motivi di interesse. Innanzitutto occorre sgombrare il campo da
un equivoco: produrre musica improvvisata non è la maniera più semplice per elaborare
una proposta convincente, anzi è semmai il contrario, poiché si configura come una
strada irta di asprezze e difficoltà. Presuppone, infatti, la capacità dei musicisti
di leggere nella propria storia personale per esprimere un contenuto che sia in
linea con le esperienze, il vissuto, la cultura, le conoscenze dei compagni di viaggio.
Qui la "miscela" o la "soluzione" funzionano egregiamente. Si fondono agevolmente
il suono irregolare, sfrangiato, frantumato e ricomposto dei clarinetti di Alberto
Popolla con il discorso appuntito o scuro, serpeggiante e iterativo, in certi
momenti, del vibrafono di
Francesco
Lo Cascio. Da parte sua Alessandro Salerno adopera la chitarra
per punteggiare nervosamente e ritmicamente il sound complessivo del gruppo con
strappate o brevi frasi di sicuro effetto coloristico. Mario Paliano batte
sulle sue percussioni privilegiando gli angoli, i bordi di casse e tamburi o utilizzando
altri strumenti per creare l'impressione di un rumore voluto, musicalmente prezioso,
in sintonia con quanto sta succedendo attorno a lui.
Quasi tutti i brani, sorprendentemente, hanno una struttura abbastanza analoga.
Si alternano momenti in cui i musicisti suonano apparentemente in contrasto, uno
contro l'altro, ad altri in cui, trovata un'intesa, seguono un'idea ritmica o a
suo modo melodica e proseguono trovando, nell'improvvisazione, ruoli più canonici
di strumenti solistici e accompagnatori, alternativamente. Quello che conta, inoltre,
è comunque l'aspetto timbrico. E tutti ci mettono del loro per connotare e costruire
un'impronta timbrica personale e, conseguentemente, di gruppo.
Fra i brani si fanno raccomandare in particolare "Kobi Braiant". Tutti
cominciano con l'intuizione di un tema che stanno elaborando all'istante. C'è forte
tensione ritmica. Quando prende in mano la situazione Lo Cascio si calmano le acque
e si ha una parentesi meditativa, che si apre subito dopo in un intermezzo free
bop. La palla torna appannaggio di Popolla che determina una parentesi più destrutturata
con lo scontro di piste sfalsate fra i vari partners. Poi il clarinetto si
impadronisce dello scheletro di un motivo e ci lavora sopra con gli altri che ne
seguono la rotta. Il vibrafono continua, ancora, con effetti eco e momenti di rara
suggestione. Rientrano gli altri tre a riportare nel caos, in senso positivo, la
traccia e si va verso atmosfere decisamente in stile post free.
"Ragh Potato" ha un inizio rumoristico, ricco di attese, con voci scomposte e frammentarie.
Ad un certo punto parte in assolo Popolla in sordina, viene fuori un motivo ripetuto
tante volte con il vibrafono protagonista e la chitarra alla sottolineatura ritmica.
Quando entra la batteria il brano prende una forma più riconoscibile e si procede
con un certo swing "di ultima generazione" e rimandi al jazz d'avanguardia afroamericano.
Il tutto è attraversato e caratterizzato dal suono sporco, raddoppiato o moltiplicato
del clarinetto, impegnato ad armonizzare il brano.
In conclusione "Ragh Potato" ci fa apprezzare un quartetto di musicisti di valore,
con una più o meno lunga carriera in questo ambito, e, come scrive Eugenio Colombo
"l'improvvisazione è solo una tecnica; in questo caso al servizio di grande musica".
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 05/02/2012
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