Soni Sfardati
Tri Soni
Improvvisatore Involontario (2011)
1. Beneamata improsatura
2. Musciaccà (Quinci)
3. Culur'i vitru
4. Tri soni
5. Scerra
6. A pittara
7. Assettiti
8. U cantu da lupa (Cassia)
9. Suli
Tutte le composizioni sono di Enrico Cassia e Antonio Quinci
tranne quelle indicate.
Enrico Cassia - Chitarra elettrica,
chitarra acustica
Antonio Quinci - batteria, percussioni
Ancora un disco del catalogo “Improvvisatore involontario”, un'etichetta sicuramente
coraggiosa nelle scelte di fondo, che ci fa conoscere Enrico Cassia e Antonio
Quinci, entrambi siciliani, impegnati in un duo abbastanza anomalo: chitarra più
batteria. Lascia un po' perplessi, innanzitutto, l'opzione, quasi ostentata,
di incidere il cd su due piani distinti con la sola comunicazione attraverso le
cuffie. Ognuno decide di lavorare secondo le sue esigenze e le sue convinzioni.
Non è detto che registrare fianco a fianco avrebbe prodotto un'altra musica, resa
“impura” dall' ”inquinamento”di sguardi o cenni d'intesa, sempre possibili quando
si suona in uno stesso ambiente. Poi viene portato avanti come garanzia di qualità
il fatto che non si sia proceduto a nessun editing. Anche qui, la tecnologia esiste.
Chi vuole usarla è padronissimo. Chi decide di non servirsene non deve per forza
guadagnare considerazione, in base ad un atteggiamento più ecologico, meno sofisticato
nei confronti della realizzazione artistica. Quello che conta, dopo le premesse
sul metodo di lavoro, come sempre, è, comunque, quello che è racchiuso in
questi trentun minuti di musica.
In effetti si ascolta una musica piena di spunti diversi e di riferimenti, ma
con una cifra stilistica abbastanza originale. Indubbiamente Cassia e Quinci sanno
il fatto loro. Il chitarrista privilegia lo strumento elettrico, rivelando un fraseggio
pesante e duro, in certe tracce, oppure si abbandona a sonorità più vicine alla
wave rock della west coast californiana (Grateful dead, Jefferson Airplane,
tanto per intenderci). Quando passa all'acustico, come in “U cantu da lupa”, si
raggiungono i momenti migliori dell'intero disco, perché lo sfilacciamento (la sfardatura)
parte da melodie e arpeggi con una loro personalità locale e al tempo stesso universale,
fino a costruire un qualcosa di unico all'interno dello stesso progetto.
Quinci è un percussionista sensibile e curioso. Trova modo di colpire, con effetti
musicali sorprendenti, strumenti propri e oggetti impropri, evidenziando una considerevole
abilità nell'anticipare o posticipare l'eloquio del partner.
Ed è proprio la complicità fra i due musicisti il punto di forza dell'incisione,
unita ad un atteggiamento “ruspante”, “domestico” o “regionale” nei confronti di
una musica composta e/o improvvisata, apparentemente lontana dalle atmosfere dell'isola,
dalle sue tradizioni. Invece tutti i titoli sono in dialetto (non è un caso, né
uno sfizio inutile) e certe sonorità, ad una analisi più attenta, risentono
delle radici etniche dei due protagonisti. Non siamo, però, in ambito world music,
né etno-jazz, sia ben chiaro. Siamo più prossimi ad un hard rock jazzato,
ad un jazz elettrico piuttosto violento, se possono servire le definizioni, con
qualche venatura (più di una) mediterranea.
Insomma, pur con qualche perplessità sulla filosofia dell'incisione e dell'improvvisazione
si deve rimarcare l'onestà intellettuale dei due musicisti, la loro grande complicità
e la capacità di dialogare su una certa gamma di sollecitazioni, di input contrastanti,
per dar vita ad un suono ben caratterizzato e a undici tracce di un certo spessore.
C'è della sostanza, in fin dei conti, nei “Soni sfardati”....
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 04/02/2012
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