Quattro chiacchiere con...The Smitherson giugno 2013
di Alceste Ayroldi
Andrea Candela - pianoforte Mike Lovito - tromba Frank La Capra - contrabbasso, Giovanni Scasciamacchia - batteria Guest:
Guido Di Leone
Il motivo per cui avete scelto questo nome è chiaro, ma il suo significato volete
spiegarcelo?
Si sa, per certo, che questo era il soprannome con cui gli amici chiamavano il proprietario
del club dove è iniziata la nostra avventura musicale. A lui stava molto a cuore
questo pseudonimo al punto di chiamare il suo locale "Smitherson Café".
Chi è il deus ex machina di questo gruppo? Chi ha fatto da collante?
L'ideatore del progetto è stato il batterista (Giovanni Scasciamacchia),
il quale nelle varie session ha colto l'entusiasmo e la passione degli altri musicisti.
D'altra parte anche noi avvertivamo questa sensazione di coesione e si era creato
un forte affiatamento che ci ha portato poi a far confluire l'esperienza in un disco.
Come vi siete incontrati e come avete cooptato
Guido Di Leone?
Ci siamo incontrati appunto nello Smitherson Cafè di Policoro durante le jam session
e per alcuni live. Dopo diverse prove abbiamo deciso di inserire un elemento che
completasse il progetto. Il batterista ha chiamato
Guido Di Leone,
nostra vecchia conoscenza, in veste di special guest che ha accettato con tale entusiasmo
da contribuire all'album finanche con brani di sua composizione.
Il jazz non dà molti denari: come vi siete approcciati a questo genere e cosa
vi spinge a continuare?
Ci siamo letteralmente innamorati di questa connotazione musicale: il jazz permette
al musicista di esprimersi pienamente, di esternare tutte le proprie emozioni senza
limiti e in una moltitudine di modalità e stili differenti. Quando subentrano certi
fattori, il denaro passa immediatamente in secondo piano. E' un genere che non smetteremmo
mai di suonare e che ci fa sentire sempre vivi e comunicativi sul palco, così come
in studio.
"Palma", titolo dell'album e della main track: cosa narra? A cosa si ispira?
Il trombettista (Mike Lovito) ha scritto e dedicato questo brano ad una persona
per lui molto speciale. E' un brano ‘nero' che esprime la rabbia e la tenacia della
gente umile del sud, costretta a lavorare nei campi per sopravvivere. Ognuno di
noi, in virtù dell'amicizia che ci lega e motivati da questa spinta polemica, ci
ha messo del proprio. Infatti il brano è un fast bop con un'energia intrinseca che
sfocia poi in una improvvisazione collettiva. Ne abbiamo percepito così tanto l'importanza
e la forza, da darne il nome all'album e mettere il brano in apertura.
Sette brani originali e due standards: un grande classico come "Easy Living"
di Ralph Rainger del 1937 e "Careful" di Jim Hall,
con un intento più moderno. Perché proprio queste due scelte?
Sono scelte che ha fatto
Guido Di Leone.
Aveva pronto un arrangiamento molto interessante per "Careful" che ci ha subito
affascinato. Oltretutto è uno dei chitarristi che lo ha più influenzato e che, con
l'afflato di modernità che lo avvolge, si sposava bene con la sonorità degli altri
brani del nostro album. Mancava poi una vera e propria ballad nel senso classico
del termine, appunto, e ci ha dunque proposto "Easy Living" che, ciliegina sulla
torta, ha dato un senso di completezza al tutto.
E' il vostro primo lavoro discografico insieme. Avete concepito i brani per questo
progetto o erano già nei vostri rispettivi cassetti?
Ognuno di noi ha avuto le più disparate esperienze musicali, specie in ambito jazz.
Ed è naturale che nel tempo ciascuno avesse riposto nel fatidico cassetto dei progetti
personali, delle composizioni, arrangiamenti ecc. Quando abbiamo deciso di entrare
in studio abbiamo aggiunto a brani già composti in precedenza, nuove tracce per
l'occasione, mettendoci ognuno del proprio. Un osmosi tra il bagaglio musicale che
ci accompagna e l'entusiasmo per una situazione nuova che nasceva.
In "Look Out" di Andrea Candela, si avverte una certa nostalgia per lo swing
anni Trenta. Secondo voi in un momento storico nel quale si vuole a tutti costi
superare il jazz classico, tradizionale, è giunto il momento di fare un passo indietro?
Andrea, come tutti noi del resto, ha molto rispetto per il jazz classico. Ricordare
da dove si è venuti, rammentare a sé e agli altri le radici, la tradizione, è un
passaggio obbligato, senza il quale si fa un'operazione demistificatoria del jazz.
Rinnegarne le origini, significa rifiutare a priori la vera natura del jazz e questo
non va bene. Perciò nonostante gli spunti moderni che il disco offre, Andrea, in
accordo con tutti noi, ha deciso di dare anche un'impronta più classicheggiante.
"Ricordi" e "Viaggio" sono brani a firma di Giovanni Scasciamacchia. China
hardbop, ma con una particolare attenzione alla melodia, tipicamente italiana. Per
un compositore italiano, anche jazzista, non è possibile prescindere dal tenere
la linea melodica in evidenza? E' necessario essere sempre autentici, spontanei nello scrivere. Se nella mente
si ha qualcosa che anche in maniera folcloristica, come suggerisce la domanda, ricorda
le proprie origini geografiche non bisogna vergognarsene. Significa avere una latitudine
umana che ha bisogno di sfociare nella propria espressione artistica, musicale in
tal caso. Quindi seppur si stia parlando di un linguaggio afroamericano degli anni
'40-'50 è giusto mantenere un rapporto costante con le proprie influenze e testimoniarle
nella propria opera.
Anche il vostro progetto è ben saldo nel passato ma tradotto in una dialettica
più contemporanea. Pensate che questo sia l'unico ‘jazz' che possa fregiarsi di
tale nome?
Assolutamente no, sarebbe riduttivo. Il jazz è una forma d'arte così vasta e variegata
che ogni artista può colorarlo con la propria tavolozza di esperienze. Ogni disco
non è mai uguale all'altro così come ogni artista si esprime a modo proprio. Il
nostro album cerca di fare proprio questo, gettando un ponte in tal senso fra la
tradizione afroamericana e alcune influenze della musica italiana, tra vecchio e
nuovo, per quanto nulla sia mai davvero troppo ‘vecchio' da non poter essere suonato.
Chi è o chi sono i vostri punti di riferimento musicali? Freddie Hubbard, Bill Evans, Joe Pass, Philly Joe Jones su tutti.L'ascolto, poi, è importante estenderlo a tutti i grandi del jazz, quelli di
ieri come quelli di oggi. Una sorta di ascolto omnicomprensivo, esperienza collettiva
laddove non esiste maestro che non possa insegnare qualcosa.
Il combo è formato da giovani che ci mettono un grande impegno. Oggi in Italia
è sufficiente la solerzia ed una forte motivazione per suonare?
Purtroppo come si può intuire l'impegno non basta. Ci vuole davvero molta passione,
anche se spesso non ci si sente incentivati. E' molto facile mollare tutto, retrocedere.
Bisogna davvero tener duro e l'abnegazione tipica di chi suona jazz con tutto sé
stesso aiuta molto a superare le avversità di un genere considerato, ahimè, di nicchia
in un periodo di forte crisi.
Tre richieste da effettuare alle istituzioni pubbliche...
La prima: maggiore attenzione all'arte e alla cultura in tutte le sue forme.
La seconda: Divulgare il jazz nei media, soprattutto tv e radio. Non è vero che
non piace, è solo un obsoleto pregiudizio.
La terza: Sarebbe bello se i politici fossero tutti degli artisti, affinché tutti
possano vivere ‘swingando'
Una domanda che è la giusta chiosa: qual è il futuro dei The Smitherson? E quali
i prossimi impegni?
Il futuro è il presente. Ora viviamo questo bel momento e lo trasmettiamo con gioia
al pubblico. Abbiamo molte date, soprattutto nel sud Italia e speriamo si possa
continuare su questa strada. Si auspica poi di rientrare in studio mettendo in campo
le esperienze maturate nel presente.