Roma Jazz Festival 2016 - 40 Anni –
Brad Mehldau & Joshua Redman:
Auditorium Parco della Musica - 8 novembre 2016
di Roberto Biasco
Apertura di grande richiamo per il Roma Jazz Festival, arrivato
al record della quarantesima edizione, che anche quest'anno può vantare un cartellone
di tutto rispetto, ove spiccano, tra gli altri, fino al 23 novembre, i nomi di illustri
di Richard Galliano,
di John Scofield,
di Enrico Rava
in trio, del giovanissimo Jacob Collier, del Quartetto di
Stefano
Di Battista e Nicky Nicolai con ospite speciale Erri De Luca, degli inediti
tandem di Stanley Jordan e Billy Cobham e quello di
Omar Sosa
e Ylian Canizares, senza dimenticare la New Talents Jazz Orchestra di
Daniele Tittarelli e Mario Corvini.
Il sodalizio tra
Brad Mehldau
e Joshua Redman, ormai più che ventennale, risale ai primi album registrati
dal sassofonista negli anni novanta, e si dipana poi in una lunga serie di collaborazioni
estemporanee culminate nell'incisione di "Highway Rider", forse l'opera più
ambiziosa del pianista, un doppio album dal respiro sinfonico, arrangiato per un'ampia
formazione orchestrale.
In verità sia Mehldau che Redman sono ormai frequentatori abituali dell'Auditorium
Parco della Musica in Roma, essendo saliti sul palco con cadenza quasi annuale,
spesso ciascuno con il proprio gruppo – li ricordiamo lo scorso anno protagonisti
in due serate consecutive – sia con la singolare formula del duo pianoforte – sax,
già ampiamente sperimentata, come brillantemente dimostrato nel nuovo album "Nearness",
pubblicato a settembre dalla Nonesuch, ma in realtà registrato dal vivo nel corso
del tour europeo del 2011.
Ancora una volta, presa coscienza dei limiti dell'"Opera d'Arte nell'epoca della
sua riproducibilità tecnica", dobbiamo ammettere che il disco appena uscito,
peraltro più che apprezzabile, giocoforza non può in alcun modo restituire l'emozione
che scaturisce dalla performance dal vivo, il "qui ed ora" in cui l'opera si crea.
Sono passati ormai cinque anni dall'incisione del disco, nel corso dei quali - superata
ormai da tempo l'abusata etichetta di "giovani leoni" - i due protagonisti hanno
raggiunto, con merito, lo status di "numeri uno" non solo come strumentisti, ma
più in generale come musicisti-guida nella scena internazionale. La definitiva maturazione
di entrambi è palpabile nell'affiatamento, umano prima ancora che artistico, che
sfoderano sul palco. Interplay di altissimo livello, con il sax di Joshua Redman
a condurre, variare, plasmare e piegare le linee melodiche, e
Brad Mehldau
a modulare incessantemente la pressione sonora, a partire dalle sottolineature di
un pianissimo appena accennato, fino alle improvvisazioni più audaci, nelle quali
i tasti del pianoforte sembrano quasi moltiplicarsi sotto le mani dell'artista,
come in una reazione a catena dagli esiti solo apparentemente imprevedibili, ma
in realtà sempre sorvegliati da una sensibilità ed una padronanza assoluta della
materia musicale.
Il concerto inizia, ed il cronista si trova immediatamente nella difficoltà oggettiva
di dover "raccontare una musica", laddove i luoghi comuni più consumati e
le consuete etichette non possono offrire appiglio alcuno di fronte alla creatività
allo stato puro offerta dai due protagonisti.
Inutile soffermarsi più di tanto sui singoli brani, ma al terzo pezzo in scaletta
il concerto decolla con una superba rivisitazione di "In Walked Bud" di Thelonious
Monk. Dopo una breve presentazione al microfono da parte di
Brad Mehldau
– in italiano! – il duo si produce in una stupefacente interpretazione di una magnifica
ballad "I Should Care" permeata del tenero soffiato del sax tenore di Joshua
Redman. Il concerto si snoda alternando composizioni originali dell'uno o dell'atro,
alcune peraltro ancora senza titolo, per circa un'ora e un quarto. Un tempo che
a qualcuno, a torto, potrebbe apparire relativamente breve, ma la densità e la profondità
espressiva di una performance di questo livello non può davvero misurarsi con le
lancette dell'orologio.
Ovviamente inevitabili i due bis consecutivi richiesti a gran voce da un pubblico
entusiasta. Prima un classico be-bop febbrile e scattante, una spericolata "chase"
condotta dal sax tenore e doppiata dal pianoforte; a seguire un secondo bis, sviluppato
in una sorta di "minor blues" dal sapore incantatorio giocato su tempo dispari.
Lasciando la sala e scendendo la scalinata dell'Auditorium qualche spettatore fischietta
ancora il tema di "In Walked Bud". Difficile separarsi da una serata davvero
memorabile.
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Data pubblicazione: 26/11/2016
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