Jazzitalia - Io C'ero: 'Jazz in The Air' del Marilena Paradisi Quartet
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"Jazz in The Air"
Marilena Paradisi Quartet

Alexanderplatz Jazz Club di Roma - 21 Marzo 2010 ore 22
di Fabrizio Ciccarelli

Marilena Paradisi - voice
Gregory Burk - piano
Francesco Ponticelli - double bass
Adam Pache - drums

La scelta del progetto "Jazz in the air" proposto da Marilena Paradisi è quella di sviluppare linee melodiche secondo un'idea che privilegi l'ambito espressivo del quartetto: una formula classica per una musicista approdata ad un momento determinante e soprattutto maturo della propria carriera. L'omaggio al jazz d'autore viene rivisitato in modo originale e secondo arrangiamenti personali e di moderno sentire, un'attenta rilettura di standards (finalmente in Italia!), scelta questa che, inspiegabilmente, è pressoché ignorata nel panorama contemporaneo delle blue notes.



U
n breve cenno sui musicisti che accompagnano la vocalist romana in questo interessante disegno: Gregory Burk è un pianista di grande talento, formatosi accanto a maestri come Yuseef Lateef, George Russell, Steve Swallow, John Tchicai, Bob Moses, Kenny Wheeler. Già allievo di Paul Bley, ne sembra mutuare la pensosità esecutiva evidenziando una singolare "spiritualità" nel modo di comunicare le proprie potenzialità espressive, dando luminosa forma strumentale ad una facilità nell'esposizione e nella tecnica solistica. Francesco Ponticelli rappresenta quanto di più interessante la scuola italiana del "double bass" abbia prodotto negli ultimi tempi: a 27 anni può vantare attività con Enrico Rava, Roberto Gatto, Paolo Fresu, Ruswell Rudd, Bill Smith.  Strumentista attento e di interessante capacità comunicativa, appare abile nel disegnare nuances improntate a dimensioni di grande respiro dal lato stilistico. Adam Pache è uno dei più promettenti batteristi australiani; allievo di Carl Allen, Gregory Hutchinson e Rodney Green, ha suonato, fra gli altri, con Clark Terry, Christian Mcbride e Steve Grossman. Performer di gran carattere, esalta i caratteri dello strumento allo scopo di servirsene come mezzo affine alla propria sensibilità; il suo è un drumming distinto da un movimento molto attento e caldo, fine nell'atteggiamento on stage sia nell'incedere esuberante sia nell'accompagnare in atmosfere più meditative.

Il repertorio prescelto è di grande raffinatezza e talora di complessa scrittura musicale: Wayne Shorter, McCoy Tyner, Joe Henderson, Miles Davis, i nomi che avvertiamo più vicini all'anima di Marilena Paradisi, autori dal tocco descrittivo fortemente cromatico, articolato, arioso, sui quali lei ha lavorato nella ricerca delle radici stilistiche secondo uno studio critico improntato a grande passione.

Prende dunque vita una performance raffinata e fedele ad una concezione del sound rigorosa nello stile e distesa nel pathos generato da una tecnica squisita nell'intensa partecipazione, e fin dalla prima song proposta, "After hours" di Rozzo Gordon, sinuosa in ogni equilibrio possibile, completa nel suo viaggio intorno alle sfumature di un pentagramma rivisitato secondo una forte istintività ed un percorso emozionale dalla controllata coloritura impressionistica. Allo stesso modo nella davisiana "All Blues", in "So Many Stars" di Sergio Mendez, nella divertita "Telephone Song" di Roberto Menescal, e, soprattutto, in "Confirmation" di Charlie Parker, ove espande la propria capacità di variazione timbrica e coniuga la propria personalità stilistica con un "meditare" al di fuori delle convenzioni, disponibile alla maggior mobilità possibile della propria voce.

Marilena Paradisi tesse suggestivi ricami su orizzonti dalle tinte vibranti, come in "You Must Believe in Spring" di Michel Legrand, in "Slow Hot Wind" di Henry Mancini e, soprattutto, nella splendida "Blues On The Corner" di McCoy Tyner, nella quale la consapevolezza dei propri mezzi diviene occasione per inarcare le sembianze di soluzioni armoniche coltraniane, nelle quali fluiscono andamenti arabizzanti e venature orientali, le stesse oggetto di studio da anni da parte della singer. L'ampio vibrato, modellato quasi sul rigoroso esempio che ne diede Sarah Vaughan, per intenderci, è in perfetto equilibrio col suo fraseggio istintivo, segnato da una vitalità tutta contemporanea; la padronanza della tecnica scat nella sua versione più matura fornisce inesauribile energia nelle rielaborazioni modali con le quali si allontana dall'armonia convenzionale.

E' una stagione creativa, questa, davvero intensa per la Paradisi: un inquieto e produttivo inseguire un sound caratterizzato da disegni ritmici che riflettano l'universalismo che anima la sua visione del mondo e che attinga a fonti etniche anche non afroamericane: il tentativo è arduo, senza dubbio, ma la vocalist dà la sensazione di essere riuscita a conciliare con naturale prontezza il pathos con la raffinatezza esecutiva.

Complimenti, ora non possiamo che aspettare un album con questo quartetto...







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Data pubblicazione: 12/04/2010

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