Veneto Jazz 2011 Sting con l’Orchestra Filarmonica della Fenice
"Symphonicity Tour" Venezia, Piazza San Marco, 28 e 29 luglio 2011
di Alceste Ayroldi
Che Venezia sia bella, elegante culla culturale e crocevia di genti, è un fatto
ben noto, così come è nota la particolare bellezza di tutta la cinta cittadina e
del Veneto intero, nel quale si muove un sostrato ben radicato nell'arte, in tutte
le sue forme. Che la regione e la Serenissima siano capoluogo del jazz, non è a
tutti ben noto; soprattutto, perché si suole identificare l'estate jazzistica in
terra umbra, per un periodo di tempo piuttosto limitato e con progetti dalla non
sempre significativa consistenza. L'associazione Veneto Jazz, con Giuseppe Mormile
alla guida di uno staff efficiente e laborioso, ha dato vita ad una rassegna, partita
il 17 giugno e che si concluderà il 16 settembre, disseminata per ogni dove e coinvolgendo
contenitori indubbiamente affascinanti e zeppi di storia. Nulla è affidato al caso:
dall'assetto logistico a quello divulgativo, affidato anche ad un catalogo eccellente
che guida il jazzofilo, grazie anche ai testi sapientemente predisposti dal capoufficio
stampa Mara Bisinella. Un numero di eventi straordinario, parecchi gratuiti grazie
anche agli sponsor istituzionali: Fondazione Antonveneta e Enel che supportano l'iniziativa,
unitamente alle realtà territoriali e locali coinvolte. Jazz & Lunch, Jazz Aperitif,
Jazz & Dinner e pomeriggi letterari: insomma jazz ad ogni ora del giorno e della
notte, e per tutti i gusti.
Chi scrive può testimoniare di due delle oltre novanta giornate di musica e arte,
non senza rilevare come possa essere un'esperienza positiva quella di unire attività
differenti, che possono accomunare persone con obiettivi diversi e riuscire a diffondere
il verbo della musica afroamericana nelle sue differenti declinazioni.
Il Jazz &
Lunch del 28 luglio presso lo splendido Palazzo Grassi (senz'altro da vedere la
mostra "Il mondo vi appartiene", fino al 31 dicembre 2011)
ha visto in scena il duo Nina e Ves, al secolo: Elena "Nina" Carraro
(voce) e David Soto Chero (chitarra). Entrambi componenti del più largo ensemble Nina & Villa El
Salvador. La loro esperienza attraverso i cunicoli della musica latin è ben evidente,
e sfoggiano – per l'occasione – un repertorio di larga fruibilità, ma elegante e
non scontato: A dança da solidão di Paulinho da Viola, Berimbau di
Bud Powell,
Zanzibar di Edu Lobo, Eu sei que vou te amar di Jobim; oltre alle più "inflazionate"
e immarcescibili Masquenada, Besame Mucho, un arrangiamento frizzante
di La voglia, la pazzia di Toquinho, portata al successo planetario da
Ornella Vanoni, eseguita in italiano e portoghese (lingua con la quale Nina
dimostra eccellente dimestichezza). Bella anche la composizione originale Lento,
lento e Sina di Djavan (Soul Food To Go, per i
Manhattan
Transfer). David Soto Chero, chitarrista peruviano, dimostra grande
tecnica, perfetta estensione verso le linee di basso, sa sviluppare bene sia armonia
che melodia e palesa ottime conoscenze dell' arpegio e del picado.
La voce di Nina ammalia, sia quando sussurra che nei salti di registro, sempre ben
attenta a graduare il volume sonoro.
Il Jazz Aperitif ha come scena Campo dell'Erbaria
Rialto, antico centro di commerci cittadino, dove si è esibito il Malafede Project
(Federico Malaman al basso elettrico, Francesco Signorini alle tastiere,
Riccardo Bertuzzi alla chitarra e Ricky Quagliato alla batteria), che ha inondato
di roccioso groove, con sprazzi di acid- jazz, l'intera area, piena di giovani (e
meno giovani).
L'evento clou era l'attesissimo concerto di Sting con l'Orchestra Filarmonica
della Fenice. Stage naturale Piazza San Marco, la cui bellezza sarebbe pleonastico
descrivere. Colpisce sicuramente l'acustica, perfetta, anche con il corpo sonoro
pieno del pubblico intervenuto: diecimila persone che hanno riempito ogni interstizio
dell'area delimitata e quelle poche fiancate laterali, lasciate aperte per favorire
i fortunati (ed è dato ritenere, anche facoltosi) avventori che hanno beneficiato
dei tavolini dei bar più limitrofi, Caffe' Florian in testa (leggendario bar, la
cui nascita risale al 1720).
Il soundcheck è alla mercé di tutti, tenuti a debita distanza, ma senza alcun ostacolo
visivo. E Sting gigioneggia con il pubblico, ringraziando per ogni applauso e lanciando
anche un paio di inchini. Unico ingresso e grande coda, manco a dirlo, smaltita
con serena velocità dall'iperattivo personale di sala. Gordon Matthew Thomas Sumner,
alias Sting, è puntuale come un cronometro, alla stregua dell'orchestra che prende
possesso delle allocazioni rapidamente, e alle 21,40 l'ex Police fa ingresso sul
palco, liberando subito le note di Every Little Thing She Does Is Magic, che infiammano
il pubblico e danno inizio alla tappa veneta del Symphonicity Tour. Nessun respiro,
così sul finire degli applausi (scroscianti, è ovvio), già intona Englishman In
New York, con al fianco Alessandro Fantini al clarinetto, eccellente e concentrato
all'inverosimile. L'Orchestra Filarmonica della Fenice (cinquanta elementi) ha una
direttore d'eccezione: la bravissima e affascinante Sara Hicks, nata a Tokyo, cresciuta
ad Honolulu, ma sedente negli Stati Uniti dove dirige un bel numero di orchestre,
scelta da Sting per il suo tour. La Hicks non perde un colpo, anche per il movimento
scenico, balla, ondeggia sinuosamente: è teatrale quanto basta e sa il fatto suo,
come non mai. In crescendo, come i brani che si susseguono: Roxanne, incandescente,
che riscalda le mani anche al gruppo del cinquantanovenne (il 2 ottobre svolterà
le sessanta primavere) cantante britannico. Il fidatissimo fuori classe Dominic
Miller alle chitarre, Rani Krija alle percussioni d'ogni genere e specie,
Ira Coleman al basso e contrabbasso, che si fa sentire per walkin' perfetto
e per le linee melodiche cucite a meraviglia. Vera sorpresa è Jo Lawry, corista
e voce solista, jazz singer australiana (anche lei, però, residente negli States),
più volte menzionata da DownBeat, dalla perfetta modulazione e dalla più che ragguardevole
estensione vocale. Russians tocca il cuore, anche perché la voce di Sting suona
sempre più alta, indelebile; poi I Hung My Head, Why I Should I Cry For You, dedicata
al padre, Whenever I Say Your Name, dove duetta fittamente con la Lawry su un tappeto
di blues. Dopo Fields Of Gold, la "sopresa": "Abbiamo un ospite, è un cantautore,
leader di una rock band, ed è anche mio figlio: Joe Sumner". Il giovane virgulto
ha un piglio alla Bryan Adams e la sua Two Sisters è a cavallo tra il repertorio
del cantante canadese e quello dello Springsteen più vacuo. Dal figlio di tale padre
ci si aspettava qualcosa di più, ed anche il pubblico accetta la gig piuttosto
supinamente.
Ripresa di Sting con Next To You, con il figlio nel coro e con la chitarra a dare
la ritmica; poi Shape Of My Heart, This Cowboy Song con un accenno di western dance
da parte dell'ex Police, e Moon Over Bourbon Street, che "parla di un vampiro" dice
Sting, indossando un paltò ad acta. The End Of The Game, la splendida
King Of Pain, sono il preludio a Every Breath You Take, che lacera i cuori e spella le
mani del pubblico, resa ancor più gradevole dall'incedere della Sinfonica. Sting
va via, ma tale fuga ha vita breve, perché i diecimila di Piazza San Marco lo richiamano
a gran voce e lui non si fa pregare. E' Desert Rose il primo bis, piacevolmente
straniata da un accentuato melange di colori arabi e la voce del musicista inglese
si fa sempre più alta, potente e con inflessioni orientali vibranti. She's Too Good
For Me è l'apripista per Fragile, dove Sting intreccia la chitarra con quella dell'impeccabile
Dominic Miller, esegeta delle sei corde, per una versione emozionante, nota
dopo nota. Il tempo di scomparire dietro le quinte ed il ritorno è presto fatto
e con un cadeau come ce ne sono pochi: Message in a Bottle, cameristica tanto
quanto basta per irrorarla di una nuova linfa e per far sussultare una piazza che,
a Venezia, rappresentava il mondo intero.