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INDICE LEZIONI

Dipingere con la voce
L'atomo è prevalentemente uno spazio vuoto
di Sandra Evangelisti
evasama@tin.it

LEZIONE 3: PARTE TEORICA

"Gli atomi e le loro particelle costitutive possiedono una massa, una proprietà di tutta la materia. La misura della massa di un corpo è la misura della quantità di materia contenuta in quel corpo" (1).

Se, tuttavia, si pensa che la massa di un atomo è concentrata per la maggior parte nel suo nucleo e che questo rappresenta soltanto una parte infinitesima del volume totale dell'atomo se ne deduce che un atomo è costituito prevalentemente da vuoto
(2).

Premesso che l'atomo rappresenta l'unità fondamentale della materia ne consegue che, non soltanto l'atomo, ma tutta la materia è costituita in prevalenza da nulla, da spazio vuoto.

Tale scoperta fu fatta da un certo signor Ernest Rutherford (premio Nobel per la chimica 1908) il quale bombardando una lamina d'oro con delle particelle Alfa
(3), constatò che queste l'attraversavano indisturbate (4).

Ma prima di parlare dell'esperimento di Rutherford è il caso di tornare un attimo indietro e riesaminare, seppur brevemente, le tappe che gli hanno permesso di giungere alle conclusioni cui è giunto.

Negli ultimi anni del XIX secolo la scoperta della radioattività rivelò una serie di proprietà della materia fino ad allora ignorate.

Nel
1896 il fisico francese Antoine-Henri Becquerel (1852-1908) scoprì che "alcune sostanze come, ad esempio, i sali di uranio, emettevano radiazioni penetranti di origine sconosciuta" (5).

Si racconta che una sera del
1896 Becquerel dimenticò alcune lastre fotografiche all'interno di un cassetto "questa dimenticanza segnò la nascita dell'era atomica".
"Nonostante l'oscurità e il foglio metallico che le ricopriva, le lastre si annerirono; chiunque le avrebbe buttate via ma Becquerel, meravigliato dallo strano fenomeno, cercò di trovarne le cause e finì per scoprire nel cassetto la presenza di sali di uranio che lui stesso vi aveva riposto alcuni giorni prima.
Becquerel riucì a risolvere il problema supponendo che dall'uranio dovevano essersi sprigionati raggi molto penetranti che erano riusciti a impressionare le lastre fotografiche dopo aver attraversato il foglio metallico di protezione.
Dopo la scoperta di Becquerel parecchi ricercatori si dedicarono allo studio di questi raggi penetranti per cercare di scoprirne la natura e l'origine
"
(6).

Ricordiamo, in particolare, le ricerche condotte in Francia dagli scienziati Marie e Pierre Curie e in Nuova Zelanda dal fisico britannico Ernest Rutehrford, che portarono all'indentificazione di tre diversi tipi di radiazione a cui fu dato il nome di raggi Alfa, Beta e Gamma
(7).

Successivamente si dimostrò che la particella Alfa era un nucleo di elio costituito da due protoni e da due neutroni, ma all'epoca dell'esperimento di Rutherford si sapeva soltanto che tale radiazione era di tipo corpuscolare e aveva carica doppia rispetto a quella dei raggi Beta identificati nel
1899 dagli scienziati Giesel e Meyer.

Fu, del resto, lo stesso Rutherford a mettere in evidenza questi particolari e a indicare questo tipo di radiazioni con la lettera Alfa, attribuendo, invece, la lettera Beta al tipo di radiazione scoperta da Giesel e Meyer e Gamma a quella scoperta da Becquerel-Curie-Villard
(8).

Ma ritorniamo a Rutherford e al suo esperimento.

"Non ho la possibilità di vedere gli atomi - pensò Rutherford - poiché sono troppo piccoli; però potrei trovare un mezzo capace ugualmente di dare una risposta agli interrogativi riguardanti la costituzione interna dell'edificio atomico"

Con questo obiettivo, Rutherford scelse di usare delle particelle Alfa come proiettili e di lanciarle contro una lamina d'oro. Essendo l'oro un materiale, per sua natura, abbastanza compatto avrebbe sicuramente respinto o deviato la traiettoria delle particelle Alfa. Le particelle Alfa, invece, attraversarono la lamina d'oro senza subire alcuna deviazione
(9).

Rutherford dedusse che la materia, anche nelle sue forme più consistenti, come, appunto, la lamina d'oro da lui usata come bersaglio, doveva essere estremamente porosa. L'atomo sembrava, infatti, essere costituito prevalentemente da spazi vuoti.
Ed era stato grazie alla presenza di questi spazi vuoti che le particelle Alfa erano potute passare indisturbate attraverso la lamina d'oro.

Tuttavia, in rare occasioni, accadeva che una particella Alfa nell'attraversare la lamina d'oro venisse deviata dalla sua traiettoria originale.
In alcuni punti della materia doveva, dunque, essere presente una forza capace di respingere le particelle Alfa
(10).

Da una serie di calcoli Rutherford constatò che "soltanto un proiettile su 8000" veniva deviato dalla sua traiettoria o addirittura fatto rimbalzare indietro.

"Gli atomi, dunque, non sono completamente vuoti, altrimenti tutte le particelle Alfa, nessuna esclusa, avrebbero attraversato la lamina. Gli atomi dovevano, invece, contenere nel loro interno qualche cosa, una specie di nocciolo così duro e solido da respingere indietro i proiettili".

Tuttavia tale "nocciolo" o nucleo come lo definì lo stesso Rutherford doveva essere di dimensioni estremamente piccole rispetto a quelle dell'atomo. Dopo una serie di calcoli egli dedusse che "il diametro del nucleo poteva essere anche cinquantamila volte più piccolo di quello dell'atomo che lo contiene".

"Ma allora che cosa c'è tra il nucleo e l'involucro atomico esterno? NULLA: il vuoto".

Inoltre, sempre come conseguenza di tale esperimento, si scoprì che l'atomo possedeva una carica elettrica positiva.

Sappiano che cariche elettriche aventi lo stesso segno si respingono mentre cariche elettriche aventi segno opposto si attraggono
(11).

La deviazione delle particelle Alfa era dovuta, dunque, alla forza repulsiva che si veniva a stabilire tra la carica positiva del nucleo e la doppia carica positiva delle particelle Alfa
(12).

Con il tempo si è dimostrato, inoltre, che il nucleo stesso non è compatto ma che al suo interno esistono un numero considerevole di particelle subatomiche. Nella lezione di oggi ci limiteremo a considerarne soltanto due: i protoni ed i neutroni!
A tale proposito ritorniamo al signor Rutherford e vediamo in che modo, dopo la scoperta del nucleo si evolsero le sue ricerche.

Rutherford notò che, occasionalmente, in conseguenza della collisione con una particella Alfa, il nucleo di un atomo poteva subire delle modifiche.
Questo lo portò a ipotizzare che un nucleo atomico doveva essere costituito da particelle ancora più piccole. Egli diede a queste particelle il nome di protoni
(13).

Tuttavia, pesando con precisione i vari elementi si è potuto osservare che, fatta eccezione per l'atomo di idrogeno, le masse degli atomi pesano all'incirca il doppio del peso calcolato in base al numero dei loro protoni.
Considerando che il contributo degli elettroni alla massa di un atomo è praticamente nullo, a cosa era dovuta questa massa aggiuntiva?
L'unica spiegazione plausibile era che all'interno degli atomi ci fossero altre particelle la cui massa doveva essere simile a quella dei protoni ma a differenza di questi non dovevano possedere alcuna carica elettrica.

Fu il fisico inglese James Chadwick (1891-1974) a dimostrare nel
1932 l'esistenza di queste particelle a cui diede il nome di "neutroni" in quanto elettricamente neutre (14).

Sempre ad eccezione dell'atomo di idrogeno tutti gli atomi posseggono all'interno del loro nucleo uno o più neutroni. Ogni neutrone possiede la stessa massa di un protone per cui, nel calcolare la massa complessiva di un atomo, si somma sia il numero dei protoni che quello dei neutroni presenti all'interno del suo nucleo.
Gli elettroni essendo, come già abbiamo detto, di massa trascurabile non vengono inclusi in questo calcolo
(15).

Il nucleo di un atomo è, dunque, costituito da protoni e da neutroni. A differenza di ogni protone che possiede un'unica carica elettrica positiva il neutrone ne è privo. Esso è, cioè, elettricamente neutro
(16).

Passiamo adesso dal nucleo dell'atomo, "all'involucro dell'atomo, quella parte, cioè, dove sono di casa gli elettroni"
(17).

Nel
1897 il fisico britannico J.J.Thomson (1856-1940), premio Nobel nel 1906, "dopo una lunga serie di esperimenti realizzò di aver scoperto una particella: l'elettrone" (18).

"Il fisico inglese Joseph John Thomson ha annunciato ieri che l'atomo non è la più piccola unità di materia. E che questo è costituito a sua volta da particelle. La prima, l'elettrone, è stata appena individuata da lui. Ma la comunità scientifica è scettica".

"Thomson ha esposto ieri la sua scoperta alla più importante accademia scientifica, la Royal Society di Londra, suscitando però molto scetticismo tra i colleghi, alcuni dei quali si sono sentiti addirittura offesi".

"Ma Thomson è convinto di avere ragione e lo ha dimostrato"
(19).

L'atomo non poteva essere, dunque, più considerato come una sfera tonda e solida, così come era stato fatto fino a quel momento, ma come costituito da particelle più piccole
(20).

Poiché si sapeva che gli atomi erano elettricamente neutri la scoperta della presenza di una carica negativa all'interno dell'atomo presupponeva anche la presenza di una carica positiva che neutralizzasse la prima
(21).

Fu lo stesso Thomson a proporre un nuovo modello di atomo che tenesse conto di queste nuove scoperte.

Anch'egli come i suoi predecessori raffigurava l'atomo come una sfera. Tuttavia tale sfera non veniva più considerata come una particella indivisibile ma come un involucro all'interno del quale si trovava distribuita, in modo più o meno uniforme, la carica positiva e dove "disseminati nella materia positiva come l'uva di un panettone" si trovavano gli elettroni
(22).

Il modello di Thomson continuava, tuttavia, a lasciare parecchi dubbi.

Dopo una serie di esperimenti mirati a risolvere tali interrogativi, E. Rutherford, nel
1911, propose un ulteriore modello di atomo (23).

Egli paragonò l'atomo ad un minuscolo sistema planetario con al centro un nucleo, carico positivamente, in cui si trovava concentrata quasi tutta la massa dell'atomo.
Gli elettroni, che hanno carica elettrica negativa si muovono intorno al nucleo seguendo orbite ellittiche
(24).

Tuttavia, anche il modello atomico di Rutherford, lasciava diversi problemi insoluti
(25).

Oggi sappiamo che, gli elettroni non si muovono intorno al nucleo nel modo in cui fu suggerito da Rutherford. Graficamente essi vengono rappresentati come una nuvola carica negativamente a sottolineare il fatto che essi non occupano "un luogo ben definito, in un istante ben definito, seguendo una ben precisa traiettoria "
(26) ma che, data la rapidità con cui essi si muovono intorno al nucleo, ne è praticamente impossibile determinare la posizione in un dato momento.

"La particolare regione dello spazio in cui un elettrone trascorre almeno il 90% del tempo viene detta orbitale di tale elettrone"
(27).

Gli elettroni sono legati al nucleo da una forza di tipo elettromagnetico. Minore è la distanza di un elettrone dal nucleo, maggiore sarà la forza che ad esso lo lega. Gli elettroni situati in orbitali più esterni hanno, dunque, un energia maggiore e sono quelli più attivi nelle reazioni chimiche tra gli atomi
(28).

Quindi l'atomo è costituito prevalentemente da spazio vuoto, ma che cos'è il vuoto?

Democrito, come abbiamo già detto, definiva il pieno e il vuoto come i principi costitutivi di ogni cosa.

Dalla loro relazione si originano tutte le cose: l'essere veniva da lui definito come il pieno e il non essere come il vuoto.

Il vuoto svolgeva, dunque, la funzione di puro contenitore all'interno del quale si muovono gli atomi che "aggregandosi" danno origine alle cose mentre "disaggregandosi" ne determinano la fine.

Sarà la fisica moderna a produrre un cambiamento radicale all'interno di questa concezione modificando quello che era il concetto classico di vuoto.

Nelle "teorie quantistiche dei campi", ad esempio, il campo diventa "un mezzo continuo presente ovunque nello spazio" mentre le particelle vengono considerate come delle temporanee concentrazioni di energia inseparabili dallo spazio che le circonda.

Come disse Albert Einstein: "noi possiamo perciò considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è estremamente intenso. In questo nuovo tipo di fisica non c'è luogo insieme per campo e materia poiché il campo è la sola realtà".

In base a tale teoria viene, così, ad essere annullata la distinzione classica tra particelle solide e spazio circostante. In altre parole tra particelle materiali e vuoto.

Il vuoto, cioè, perde la sua connotazione di "non-essere" per diventare una quantità dinamica all'interno della quale "un numero illimitato di particelle vengono generate e scompaiono in un processo senza fine".

Secondo W. Thirring: "il campo esiste sempre e dappertutto, non può mai essere eliminato. Esso è il veicolo di tutti i fenomeni materiali. E' il vuoto dal quale le particelle vengono create. L'esistere e il dissolversi delle particelle sono semplicemente forme di moto del campo".

Trasferito su più ampia scala, questa concezione della fisica moderna tende a considerare gli oggetti materiali come entità che non possono essere separate dal loro ambiente. Allo stesso modo le leggi inerenti alle proprietà della materia hanno valore soltanto se considerate "nei termini della loro interazione con il resto del mondo".

Tale visione della materia, tra l'altro, non si limita soltanto al nostro mondo ma "si estende all'universo in generale, alle stelle e alle galassie lontane"
(29).

Questo considerare i fenomeni fisici come "manifestazioni effimere di una entità fondamentale soggiacente" è anche il fondamento su cui si basa la concezione orientale del mondo.

Anche per i mistici orientali, infatti, questa "entità fondamentale soggiacente" rappresenta la sola realtà: tutto il resto è considerato transitorio e illusorio.

Essa "trascende tutte le forme e sfugge a tutte le descrizioni e specificazioni", essa perciò viene, generalmente, identificata con il vuoto.

Anche in questo caso, tuttavia, vuoto non significa non-essere.

Tale vuoto, infatti, contiene in sé un potenziale creativo infinito. Così come il campo quantico, da esso si originano tutte le cose che ad esso, infine, ritornano.

Si tratta di un "vuoto vivente, pulsante in ritmi senza fine di creazione e distruzione".

Così come le particelle subatomiche, anche "le manifestazioni fenomeniche del vuoto mistico" sono dinamiche e transitorie "entrano nell'esistenza e svaniscono in una incessante danza di movimento e di energia"
(30).

Anche in oriente il vuoto ha, dunque, una connotazione dinamica: si può quasi affermare che il vuoto spaziale non esista in quanto "è regolato dal vuoto temporale che lo rende dinamico, ossia, instabile e impermanente"
(31).

Vuoto e pieno sono, dunque, semplicemente due differenti aspetti della stessa realtà che "si trasformano perennemente l'uno nell'altro" (32) .

MA RITORNIAMO AL NOSTRO LAVORO SULLA VOCE!

LEZIONE 3: PARTE PRATICA

Oggi voglio parlare del metro musicale.

Così come se vogliamo costruire un tavolo utilizziamo, come unità di misura, il metro, per "comporre" un brano musicale noi facciamo uso del metro musicale.
Se noi prendiamo un metro possiamo vedere come questo sia suddiviso in dm, cm, mm.
Se osserviamo ad esempio i centimetri vediamo che la distanza tra una lineetta ed un'altra è sempre uguale!

Anche il metro musicale è costituito da una serie infinita di pulsazioni o movimenti che si susseguono in modo uguale e costante nel tempo.

Riprendiamo l'esempio del metro: se io voglio comperare del nastro della lunghezza, per esempio, di un centimetro calcolerò lo spazio che va da 0 a 1 cm.

Se, invece, il nastro che voglio comprare deve essere lungo 2 cm., allora io calcolerò lo spazio che va da 0 a 2 cm.

Quindi deduciamo che il cm non è il trattino su cui è scritto 1 cm., ma lo spazio che intercorre tra il trattino su cui è scritto 0 e quello su cui è scritto 1 cm.

Analogamente nel metro musicale la pulsazione non coincide con il battito del metronomo
(33) ma si protrae per tutto il tempo che intercorre tra un battito e quello successivo.

Tuttavia, pensate come sarebbe noioso a sentirsi se queste pulsazioni si ripetessero all'infinito e in modo sempre uguale.
Per questo motivo è abitudine dei musicisti dividere le pulsazioni in gruppi regolari generalmente di 2 di 3 o di 4, mediante gli accenti o, nella musica scritta, mediante le stanghette.

Nell'ambito della musica scritta lo spazio che intercorre tra due stanghette viene comunemente definito battuta o misura. Vi voglio ricordare, tuttavia, che la musica è essenzialmente un fenomeno sonoro per cui ciò che ci deve interessare di tutto questo discorso è la disposizione degli accenti all'interno di ogni gruppo di pulsazioni!
Mi spiego: imparando a leggere la "carta scritta" io posso individuare molto rapidamente, grazie alle stanghette, il numero di pulsazioni contenuto all'interno di una battuta. Ma per comunicarlo a livello sonoro devo imparare a evidenziare al meglio la disposizione degli accenti.

Facciamo insieme il seguente esercizio:

Esercizio 5:
cominciamo con il decidere di quante battute deve essere costituito il nostro brano.

Decidiamo per 4:
abbiamo detto che la trascrizione grafica delle battute viene resa mediante delle linee verticali dette stanghette.
Le stanghette si susseguono parallele tra loro e a distanze regolari.
In prossimità di ogni stanghetta e quindi ad inizio di ogni battuta cade l'accento forte.
Scriviamo, quindi, le nostre quattro battute nel seguente modo:

NB: per indicare che il brano è finito, si usa mettere, alla fine del brano, una doppia stanghetta conclusiva.

Decidiamo, inoltre, che all'interno di ogni battuta ci devono essere due pulsazioni.
Per indicare le nostre pulsazioni usiamo come simbolo grafico delle freccette.
Mettiamo, quindi, a inizio del brano una frazione al cui numeratore scriviamo: 2, ad indicare appunto il numero di pulsazioni presente in ogni battuta, mentre, al denominatore mettiamo il simbolo grafico che abbiamo deciso di utilizzare per indicare la pulsazione.
Nel nostro caso la freccetta.

Se decideremo, invece, che all'interno di ogni battuta ci devono essere 4 pulsazioni, allora disegneremo all'interno di ogni battuta 4 freccette, mentre al numeratore della nostra frazione scriveremo il numero 4.

Nel caso in cui le pulsazioni sono 3, le freccette all'interno di ogni battuta saranno 3 e al numeratore scriveremo il numero 3.

Adesso proviamo a "eseguire" il nostro esercizio, facendo corrispondere ad ogni pulsazione un battito delle mani.

Ci sono diversi modi di segnare la pulsazione
(34).

Invece del battito delle mani si può, ad esempio, battere un piede per terra, oppure un dito sul tavolo, oppure far schioccare le dita.
Ognuno userà quello che più gli è comodo.

Ciò che è importante ricordare, qualunque metodo si decida di utilizzare, è che tra una pulsazione e quella successiva deve passare sempre lo stesso lasso di tempo.

Una volta stabilita la durata del tempo pronunziamo in corrispondenza di ogni pulsazione la sillaba TA.

Vi ricordo che la pulsazione non è la freccia ma lo spazio che intercorre tra una freccia e la successiva per cui il nostro TA deve durare per tutto il tempo che intercorre tra una freccia e quella successiva anche quando la freccia successiva si trovi all'inizio della battuta seguente.

Inseriamo a questo punto un parametro molto importante in musica: l'intensità.

L
'intensità è quel parametro che coincide con il volume del suono.
Un suono può, dunque, essere suonato in modo più forte o più debole.

Quindi, ritornando al nostro esercizio, è, dunque, importante che il primo TA di ogni gruppo venga pronunziato in modo più forte degli altri. Venga cioè accentato.

ATTENZIONE: vi ricordo che l'accento va "pensato" e non "eseguito" questo perché nel momento in cui noi ci sforziamo di "riprodurre volontariamente" l'accento noi cerchiamo nella nostra bocca la sensazione di un movimento!
Mentre, invece, la pressione che noi mettiamo per accentuare una nota è talmente esigua da risultare quasi impercettibile. Cercando, quindi, di percepire all'interno della nostra bocca la sensazione dell'accento, noi mettiamo quell'energia di troppo che rende innaturale, ad un orecchio esterno, la nota da noi accentata.

Gli accenti non vanno, dunque, eseguiti ma semplicemente pensati.
Il nostro lavoro, cioè, si deve limitare a identificare la disposizione degli accenti: a tutto il resto penserà il "cervello".

TORNIAMO ADESSO AL NOSTRO ACCORDO E…

Esercizio 6:
…lavorando con il pianoforte, cerchiamo di applicare quanto detto fino a questo momento, proviamo, cioè, a cantare su un numero definito di battute costringendoci a costruire le nostre frasi all'interno di un tempo determinato.

Per esempio, cantiamo una frase musicale costruita su una durata di quattro battute:
pur rimanendo circoscritta nello spazio di 4 battute, la nostra frase deve avere un inizio, un apice e una chiusura.

Tale esercizio è molto utile non solo per abituarci a cantare in un numero stabilito di battute quanto per allenare la nostra capacità di ascoltare le battute senza contarle.

Nella costruzione delle nostre frasi cercheremo di rendere quanto più ci è possibile gli accenti forti di ogni battuta e di dare maggiore espressività al tutto cercando di "plasmare" i nostri suoni attraverso le dinamiche. Iniziamo cioè a dipingere le nostre frasi!

NOTE:
(1) "Il termine peso, talvolta, viene usato al posto del termine massa, ma i due concetti non sono identici. Il peso è la misura dell'attrazione gravitazionale esercitata dalla terra su una certa massa. Su un altro pianeta, la medesima quantità di massa avrà peso diverso. Tuttavia, limitandosi alla terra, spesso il termine peso viene usato come una misura della massa". William K. Purves, David Sadova, Gordon H. Orians, H. Craig Heller, Biologia: la cellula, Bologna: Zanichelli, 2001 (1998), p. 22.
(2) Paul G. Hewitt, Fisica per concetti, Bologna: Zanichelli, 2001 (1987), p. 243.
(3) "Le particelle alfa sono formate da nuclei di elio che hanno perso i loro due elettroni. Esse hanno dunque carica positiva uguale a 2, e peso atomico circa uguale a 4". Giulio Peruzzi, "Niels Bohr: dall'alba della fisica atomica alla big science" I grandi della scienza, Milano: Le Scienze, n. 23 (novembre 2001), p. 32.
(4) Gerhard Staguhn, Breve storia dell'atomo, Milano: Adriano Salani Editore, 2002 (2000), pp. 29-30.
(5) "L'atomo", http://www.geocities.com/CapeCanaveral/Lab/2155/atomo.html
(6) Pio Passalacqua (a cura di), "Breve Storia della Fisica delle particelle", http://space.tin.it/scienza/llpassal/breve1.html
(7) "L'atomo", op. cit.
(8) Pio Passalacqua (a cura di), op. cit.
(9) Paolo Mattiello, Luca Tedaldi, "Rutherford e il suo modello a "planetario", http://www.quipo.it/atosi/numero2/modelli/ruth.htm
(10) Gerhard Staguhn, op. cit., pp. 29-31.
(11) Paolo Mattiello, Luca Tedaldi, op. cit.
(12) Gerhard Staguhn, op. cit., pp. 31-32.
(13) Ibid., p. 36.
(14) Ibid., pp. 35-38.
(15) William K. Purves, David Sadova, Gordon H. Orians, H. Craig Heller, op. cit., p. 24.
(16) E. P. Solomon, L. R. Berg, D. W. Martin, C. Villee, Biologia, Napoli: EdiSes, 1997 (1996), p. 30.
(17) Gerhard Staguhn, op. cit., p. 50.
(18) "Che cos'è l'atomo", http://www.bioenergyresearch.com/ita/atomo.htm
(19) "Scoperto l'elettrone", http://utenti.lycos.it/xintilla/Articoli/scoperta_elettrone.htm
(20) "Le teorie atomiche", http://www.bdp.it/~trends10/targeon/vanna/atomic.htm
(21) "Teoria quantistica e fisica atomica", http://www.matematicamente.it/fisica/energia_discreta_atomo.htm
(22) "J.J. Thomson, il panettone", http://www.quipo.it/atosi/numero2/modelli/thom.htm
(23) "Che cos'è l'atomo", op. cit.
(24) Paolo Mattiello, Luca Tedaldi, op. cit.
(25) "Che cos'è l'atomo", op. cit.
(26) D. Halliday, R. Resnick, J. Walker, Fondamenti di fisica, Milano: Casa Editrice Ambrosiana, 1998, p. 908.
(27) William K. Purves, David Sadova, Gordon H. Orians, H. Craig Heller, op. cit., p. 25.
(28) Gerhard Staguhn, op. cit., p. 53.
(29) Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Milano: Adelphi Edizioni, 1982 (1975), pp. 239-244.
(30) Ibid., pp. 244-249.
(31) Giangiorgio Pasqualotto, Estetica del vuoto: Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia: Marsilio Editori, 2004 (1992), pp. 13-14.
(32) Fritjof Capra, op. cit., pp. 244-249.
(33) IL METRONOMO "è un apparecchio che regola l'andamento di una composizione musicale. Consiste in una cassetta contenente un apparecchio che mette in movimento un pendolo verticale, sul quale scorre un piccolo contropeso. L'accelerazione o il rallentamento delle oscillazioni si ottengono abbassando o innalzando il contropeso in corrispondenza a una serie di numeri che vanno da 40 a 208. Questi numeri rappresentano le oscillazioni che il pendolo compie in un minuto primo" (es: MM = 60, significa: 60 pulsazioni al minuto, ovvero che in ogni minuto ci sono 60 pulsazioni; MM = 70, significa: 70 pulsazioni al minuto, ovvero che in ogni minuto ci sono 70 pulsazioni). "Il metronomo fu brevettato a Parigi nel 1816 dall'austriaco Teodoro Maelzel". Flora Gallo, Elementi fondamentali di teoria della musica, Napoli: Edizioni S. Simeoli, 1973, p. 24.
(34) Stefano Melino (a cura di), "A drum in my table!", http://melino.pcupdate.easyspace.com/drum.html e, in particolare le pagine dedicate al solfeggio ritmico:
"solfeggio ritmico", http://melino.pcupdate.easyspace.com/solfeggio2.html e "Cosa ti serve"
http://melino.pcupdate.easyspace.com/strumento.html







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Data pubblicazione: 28/04/2004

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