"La storia è l'esperienza dello storico. Essa non è fatta da altri se non
dallo storico, e scrivere storia è l'unica maniera di farla". M. Oakeshott
(**).
Ho intenzione di iniziare questa lezione con il pormi alcune domande.
In primo luogo, ad esempio, mi chiedo se quello che abbiamo riscontrato
durante il Newport Jazz Festival del '58 sia
un caso di disodia legato ad un momento particolare della vita artistica di
Anita O'Day oppure se tale condizione di fonastenia affonda le
sue radici più indietro nel tempo.
Mi
chiedo, inoltre, quali ripercussioni una tale disodia possa avere avuto, negli
anni successivi, sulla produzione artistica di Anita
O'Day.
Proviamo a fare una piccola indagine…
Prima, però, di procedere a ritroso nella vita artistica di
Anita O'Day per rintracciare, se possibile, le origini di questa
fonastenia, vorrei fare una precisazione.
Concordo in pieno con Franco Fussi quando sottolinea la differenza tra
"ascolto funzionale" e "ascolto estetico"
(1).
Le due cose non si escludono a vicenda ma si completano.
Essere in grado di affinare la propria abilità ad entrambe queste modalità
di ascolto è un obbiettivo che, a mio avviso, dovrebbe porsi chiunque si appresti
a lavorare con "le voci".
E non mi riferisco soltanto alle figure del foniatra, del logopedista
o dell'insegnate di canto ma anche a quella del musicologo o di uno "storico della
voce".
La presenza di un limite fisico, ad esempio, o la semplice convinzione
di averne uno che, come vedremo in seguito, è appunto quanto è accaduto ad
Anita O'Day, dovrebbe essere considerato un fattore da non trascurare
ai fini di una migliore comprensione sia del percorso "stilistico" intrapreso da
un/una cantante quanto anche della genesi di "nuove forme di sonorità" che potrebbero,
in qualche modo, aver contribuito al nascere di nuovi "stili vocali" o di "nuove
correnti" all'interno di un genere già consolidato.
La stessa
Anita O'Day, ad esempio, sottolinea che l'assenza di vibrato che
aveva costituito un fattore determinante nel procurarle l'appellativo di "vo-cool"
era stata la conseguenza di un suo limite fisico e non il frutto di una "meditata
ricerca stilistica" come, invece, diversi critici ritengono.
Ma di questo ne parleremo in modo più dettagliato fra breve.
Per un insegnante di canto jazz o di un qualunque altro stile vocale che
faccia uso di "suoni sporchi" l'affinare entrambe queste modalità di ascolto costituisce
addirittura una necessità.
Riconoscere quando determinate sonorità sono dovute ad alterazioni di
natura organica o quando, invece, sono la conseguenza di un semplice "malfunzionamento"
del "vocal tract" è, infatti, di fondamentale importanza al fine di stabilire quali
tra queste sonorità possono essere "riprodotte" e quali, invece, no.
È un errore molto diffuso, infatti, quello di imitare "acriticamente"
le sonorità usate dai propri idoli con conseguenze spesso "disastrose" sia da un
punto di vista "funzionale" che "estetico".
Impariamo, dunque, ad "Ascoltare" le voci che amiamo, a cercare di comprendere
l'eziologia dei suoni che le caratterizzano invece di limitarci ad imitarle "acriticamente".
Impariamo ad "usare" quanto la "scienza" ha messo a nostra disposizione
senza il timore di intaccare le nostre "inclinazioni artistiche".
Non è vero che la scienza uccide l'arte, anzi… la scienza può sostenere
l'arte e, addirittura, arricchirla.
Inoltre il fatto che io sappia che dietro un tramonto esistano delle leggi
rigorosissime che ne consentono il verificarsi, non mi impedisce di emozionarmi
ogni qualvolta ne veda uno anzi, per quanto mi riguarda, all'emozione che nasce
dalla mera contemplazione estetica si aggiunge anche quella che nasce dalla consapevolezza
non solo della "complessità di questo fenomeno" quanto anche della capacità della
mente umana di "misurarne le leggi".
La stessa cosa può accadere quando "contempliamo" un'opera d'arte o quando,
addirittura, ne "produciamo" una.
Ma ritorniamo all'ascolto funzionale e all'ascolto estetico e vediamo la
definizione che ne dà lo stesso Franco Fussi.
Per ascolto funzionale Fussi intende "l'abilità nel confrontare
le modalità esecutive con le modalità fisiologiche di emissione". L'ascolto
funzionale, minimizzando gusto e preferenze personali, si limita a cercare le "corrispondenze
tra ciò che si ascolta e gli eventi fisiologici che ne sono alla base".
"Un ascolto estetico ha invece a che fare quasi esclusivamente col gusto personale,
che comprende variabili come la musicalità e la predisposizione psicologica a prediligere
certi tipi di qualità vocale piuttosto che altri"
(2).
Ritorniamo, adesso, ad
Anita O'Day e ascoltiamo la seguente versione di "Tea
for Two".
Siamo sempre nel 1958… ma questa volta siamo
in aprile… il brano è stato registrato al Mc Kelly Restaurant di Chicago.
Tea for Two
(Vincent Youmans/Irving Caesar)
27 aprile 1958
ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999
La voce della O'Day "suona" in alcuni punti un po' velata ma, paragonandola
alla versione di "Tea for Two" che
abbiamo ascoltato nella lezione precedente, risulta essere indubbiamente più timbrata.
Purtroppo non sono in
possesso di altri brani registrati in questa data.
Continuiamo, dunque,
procedendo a ritroso…
Siamo ancora nel '58 e
sempre in aprile, precisamente il 3, soltanto 24 giorni prima dell'incisione che
abbiamo ascoltato precedentemente… questa volta, però, non abbiamo una
situazione di trio ma la O'Day canta accompagnata da un'orchestra, precisamente
quella di Marty Paich.
Ma a proposito di
orchestre.
All'interno delle grandi
orchestre, "il ruolo delle cantanti era quello più
chiaramente definito".
La cantante doveva
semplicemente eseguire la sua parte all'interno di un tutto già pianificato.
"La cantante doveva soprattutto
essere sexy, dolce". L'aspetto, o per essere più precisi ‘la bella presenza'
aveva "la stessa importanza della sua abilità nel
canto" in quanto "assicurava il legame visivo ed
emotivo fra il pubblico e l'orchestra". Venivano definite i "canarini della banda", e venivano considerate sempre
"come quell'elemento diverso e nuovo in grado di
risaltare su uno sfondo di uniformi tutte maschili".
"Le vocaliste prendevano uno
stipendio inferiore agli altri membri dell'orchestra e mancavano di una
qualsiasi protezione sindacale. La prima associazione di cantanti di grande
orchestra apparve solo nel 1948, ma più per la pressione della American Guild of Variety
Artists che per la volontà di lotta delle
interessate" (3).
Così quando Anita
O'Day, durante la sua prima tournée, si presentò ad un concerto "con la stessa uniforme dei suoi compagni" l'evento non
passò di certo inosservato. Per di più "Anita parlava
con un gergo duro, aveva una voce acida e un senso dello humor tagliente".
Tuttavia "il suo viso strano, i suoi grandi occhi, una
certa trascuratezza, fecero davvero un grande effetto".
"La sua voce e la sua presenza
erano modeste" ma ella seppe introdurre un nuovo modo di cantare definito
dai più "insolente". Tale insolenza non era altro, tuttavia, che una nuova forma
di "sensualità" fino a quel momento "sconosciuta ai
‘canarini'".
Nonostante "tutti questi elementi contrari alle aspettative
generali", nonostante Anita
O'Day dimostrasse apertamente di rifiutare "il ruolo di canarino dell'orchestra", nonostante questa
sua personalità così "insolentemente" trasgressiva, nonostante fosse priva di
una "grande tecnica vocale" ella riuscirà, comunque,
ad imporsi al grande pubblico "con la sola forza del suo
fraseggio e del suo humor ironico ed elegante".
Ella, tuttavia, riuscirà ad
affermarsi grazie anche alla sua capacità di improvvisare come poche sue
"compagne bianche" sapevano fare. "Il suo scat, infatti,
aveva connotazioni ritmiche peculiari che la differenziavano dalle sue compagne
bianche dell'epoca". A tale proposito va sottolineato che "Anita
O'Day fu 'scoperta' da Gene Krupa,
batterista di Benny Goodman, che l'aveva ascoltata
cantare dodici chorus di seguito, tutti diversi, su ‘Lady Be Good'"
(4). Ma ritorniamo al nostro brano. Il brano è "Take The 'A' Train" ed è eseguito in un tempo
medium-fast.
Take The
'A' Train (Billy Strayhorn) 3 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day
Sings The Winners, VERVE: 1990
…la voce, nel primo chorus, sembra piuttosto buona… con
qualche suono velato disseminato qua e là. Sentiamo, tuttavia, la tendenza a
cantare con una modalità di voce piuttosto "pressata" cosa che non avevamo
accusato nel brano ascoltato precedentemente.
Forse la presenza
dell'orchestra?
L'esigenza di marcare gli accenti?
Carenze a livello della tecnica vocale?
O
forse un tale comportamento vocale potrebbe essere considerato, semplicemente,
come il risultato di una personale ricerca stilistica non affidata al caso ma,
"intuitivamente quanto caparbiamente coltivata"?
(5)… ma vediamo cosa succede dopo… ascoltiamola con attenzione
soprattutto nello SCAT e nel finale!
Take The
'A' Train
In questo caso la disodia è più
accentuata ed è evidente soprattutto nelle note più acute e nei passaggi dai
suoni più intensi a quelli emessi a volumi medio-bassi.
Prima di passare al brano
successivo vorrei, tuttavia, riportare quanto scrive Marco Podda in un suo articolo sulla patologia vocale
nel canto moderno dove tra le "cause di surmenage e
malmenage vocale" elenca "frequenti episodi di utilizzo prolungato e abusi vocali;
prassie con modelli fonatori estrememente ipercinetici; uso prolungato di
attacchi estremamente aspri (per es. come nella tecnica scat del jazz)"
(6). A questo punto mi chiedo
se questo atteggiamento da parte della O'Day a cantare con "voce pressata",
indipendentemente dalle cause che lo hanno determinato, non potrebbe essere
considerato all'origine di quella leggera disodia che avevamo riscontrato nella
voce della O'Day durante l'interpretazione del brano ascoltato
precedentemente. Forse! Tuttavia è ancora presto per
darci una risposta! Andiamo, dunque, avanti nella nostra indagine.
Anche
nel brano che segue, sempre medium-fast, la O'Day fa uso di una modalità di voce
piuttosto pressata.
Interlude (A Night In Tunisia) (J. "Dizzy"
Gillespie/F.Paparelli/R. Leveen) 3 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990
Lo stesso dicasi per il brano
successivo.
Four (Miles
Davis/B.Loughborough) 3 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990
Ascoltiamola, adesso, in questa
ballad…
Early
Autumn (Woody Herman/J.Mercer/R.Burns) 3 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day
Sings The Winners, VERVE: 1990
Ascoltiamo l'inciso.
Early
Autumn
La voce sembra essere
piuttosto stanca… ma è interessante osservare come, pur con questo suo timbro
talvolta rauco, talvolta velato, con "quel sound ‘sottile, di cartapecora'
(secondo la definizione di Witney Balliett)"
(7), la O'Day riesca a fare del brano che abbiamo appena
ascoltato ma, oserei dire di qualunque altra "ballad", un'interpretazione così
delicata e, allo stesso tempo, così carica di intensità…
Come la O'Day riesca "ad affermarsi a dispetto e in virtù d'una voce eterodossa,
fisicamente modesta, priva di qualità esplicite" (8).
Questo, del resto, è quello
che intendo quando dico che nel jazz la "bella voce", almeno secondo i cliché
classici di valutazione, è veramente l'ultima cosa da prendere in
considerazione… ma ci sono svariati modi di cantare il jazz… e questo è
semplicemente uno dei tanti!
Ma vediamo cosa dice la
stessa Anita
O'Day, a proposito della sua voce, nell'autobiografia ‘High Times Hard Times' (9).
"Ho sempre avuto una voce da
niente. Il collo più piccolo del mondo" (10).
Volendo, inoltre, spiegare
il perché del suo fraseggio secco e staccato e della sua incapacità di tenere a
lungo nota e vibrato la O'Day, sempre nell'autobiografia ‘High Times Hard
Times', "chiarisce che un medico distratto,
asportandole, da bambina, le tonsille, le tagliò via anche l'ugola: ‘E così là
in fondo non riesco a produrre alcun suono, perché non c'è niente che lo faccia
vibrare. È questo il motivo per cui ho preso a cantare in crome e semicrome
piuttosto che in semiminime. Invece di cantare «laaaaaa», canto
«la-la-la-la-la-la-la-», per tenere la nota in movimento. La necessità spiega il mio
stile" (11).
Per cui, a quanto dice la
stessa O'Day, l'assenza dell'uso del vibrato che caratterizza il suo modo di
cantare non è stata tanto la conseguenza di una propria scelta stilistica quanto
una necessità dettata dal proprio corpo (12).
Will Friedwald, però, non
concorda con questa tesi. "Anita
O'Day sostiene che un intervento sbagliato fatto da un medico
distratto" l'abbia costretta a cantare usando frasi brevi, staccate e prive
di vibrato che le hanno fatto guadagnare l'appellativo di ‘vo-cool'. "Ma il suo racconto, nel migliore dei casi, mi suona
apocrifo" (13).
Ed infatti l'assenza di
vibrato rappresenta uno degli aspetti più distintivi dei coolsters (così come venivano chiamati gli esponenti
del cool jazz) (14), di cui la O'Day viene
considerata membro a tutti gli effetti (15).
Ma andiamo adesso "oltre la
voce" e osserviamo come, attraverso queste sue sonorità, la O'Day riesca a
raccontarsi in un modo così semplice e accattivante aprendoci le porte della sua
interiorità e consentendoci di accedervi senza interporre ostacoli di nessun
genere.
E non sono l'unica persona a
pensarla in questo modo.
Vediamo, ad esempio, cosa
dice, a tale proposito, Will Friedwald nel suo
libro Jazz Singing: America's Great Voices From Bessie
Smith To Bebop and Beyond.
"Nel 1946 'The Holliwood Note'
dedicò un breve spazio alla vita di Anita
O'Day. In esso si diceva: 'Anita è completamente vera. Dice tutto
ciò che pensa, indossa tutto quello che le piace, si comporta nel modo che più
le aggrada'. Un simile commento su Anita
O'Day è stato fatto dozzine di volte, da chiunque l'abbia
intervistata, da chiunque abbia mai avuto modo di parlare con lei. La stessa
cosa accadeva quando cantava. Come Jules Feiffer una
volta disse, tutti noi vorremmo lasciarci andare di più alla nostra creatività,
ma nelle nostre teste ci sono editori e critici che si intromettono
continuamente. In Anita
O'Day non esistevano tali barriere ad ostacolare la sua
espressività" (16).
Analizziamo adesso alcuni
brani incisi il 2 aprile sempre del '58, cioè soltanto il giorno prima. Siamo ancora in una situazione di orchestra, questa
volta quella di Russ Garcia: ascoltiamola in
quest'altra ballad.
My Funny Valentine (R. Rodgers/L. Hart) 2 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day
Sings The Winners, VERVE: 1990
La voce sta indubbiamente
meglio… ascoltiamo, soprattutto, i suoni da lei emessi nel finale del secondo
chorus…
My Funny Valentine
è molto raro, almeno analizzando le registrazioni che ho
avuto modo di ascoltare fino ad ora, che la O'Day emetta dei suoni così a piena
voce! Riascoltando il brano con un po' più di senso critico è possibile,
tuttavia, individuare alcuni difetti a livello dell'emissione vocale che, pur
non intaccando, in alcun modo, la bellezza della sua interpretazione, anzi
arricchendola, sia da un punto di vista estetico che comunicativo, potrebbero
essere considerati come una possibile causa della maggiore presenza di "sintomi
fonastenici" che abbiamo avuto modo di riscontrare nella voce della O'Day
durante le incisioni del giorno successivo.
Nel caso di "My Funny
Valentine", tuttavia, sempre a mio avviso, tali "deficit" tecnici
vengono accettati, se non addirittura ricercati, in favore di un'esigenza
stilistica che predilige un suono fermo, non vibrato, sommesso, preferibilmente
"velato", a sonorità piene e ben timbrate (17). Le stesse note emesse nella parte finale del brano, cui
accennavo precedentemente, come avremo modo di vedere, rappresentano, nella
"storia delle sonorità" utilizzate da Anita
O'Day, una rarità... le ritroveremo, infatti, soltanto in pochissime
occasioni.
Ma su quali basi faccio un
tale tipo di affermazioni? Prima di cercare di
dare una risposta a quest'ultimo interrogativo è, però, necessario riascoltare
alcuni passaggi dell'interpretazione di "Fly Me To The
Moon" registrata al Newport Jazz Festival del '58 che abbiamo già
avuto modo di sentire nella lezione precedente.
Fly Me To The Moon (Bart
Howard) 7 luglio 1958 ALBUM: Tea for Two, MOON RECORDS: 1990;
Fly
Me To The Moon 1 Fly
Me To The Moon 2 Fly
Me To The Moon 3
Ascoltando con attenzione
possiamo rilevare che nella versione di "Fly Me To The
Moon" registrata nel '58, "il grado globale
di alterazione della voce cantata o di disodia", rispetto alla versione di
"My Funny
Valentine" registrata nell'aprile dello stesso anno, è indubbiamente
maggiore. Così come è maggiore "il grado di astenia
vocale (voce astenica)" percepibile. La voce, infatti, è palesemente più
stanca… i suoni velati più accentuati e frequenti. In altre parole maggiore e,
soprattutto, più costante è "il grado di fuga d'aria
glottica udibile (voce soffiata o breathiness)" (18).
Quella che dai foniatri viene definita voce ‘soffiata'
"suggerisce una riduzione della continenza glottica con
tipi e gradi diversi di insufficienza adduttoria (mancata realizzazione di
contatto glottico completo)" (19).
Da qui la fuga d'aria
glottica che è possibile percepire in quantità differente a seconda, appunto,
del "tipo e grado di insufficienza adduttoria"
(20).
Le cause che determinano la
presenza di suoni soffiati possono essere di natura disfunzionale od organica.
La voce soffiata può, tuttavia, anche essere prodotta volontariamente
(21).
È importante, infatti, saper "differenziare ciò che può dipendere da una vera patologia
vocale da ciò che deriva invece dal tipo di emissione adottata che è spesso
legata allo stile e alla didattica appresa" (22).
Quindi, mentre nella
versione di "Fly Me To The Moon" la voce così marcatamente
velata può, a mio avviso, essere considerata come la conseguenza di uno stato
generale di fonastenia (23), in "My Funny Valentine" il
"sapore" dei suoni soffiati è leggermente diverso.
In questo caso, a
mio avviso, la "voce soffiata" è la conseguenza di una scorretta gestione della
tensione delle corde vocali anziché di un affaticamento vocale generale come nel
caso di "Fly Me
To The Moon". Ma
per il momento dobbiamo rimandare ogni tentativo di spiegazione ad una lezione
successiva in quanto la comprensione della differenza tra una voce "astenica" e
un suono soffiato emesso volontariamente o, comunque, sporadicamente è possibile
soltanto se si conosce, almeno per sommi capi, l'anatomia e la fisiologia della
laringe. Argomento, quest'ultimo, che mi propongo di affrontare nella prossima
lezione.
Ritorniamo, quindi, ad Anita
O'Day.
Nella versione del luglio
'58
sono evidenti, anche, problemi sia di rifornimento che di gestione respiratoria.
In conseguenza di tale deficit si accusa la necessità da parte di Anita
O'Day di dover forzare la voce ovvero di dover "impegnare la muscolatura laringea estrinseca (‘stringere la
gola')" "per poter ottenere la pressione sufficiente
a guidare l'espirazione e a potenziare l'intensità" (24) della voce soprattutto in alcuni passaggi particolarmente
critici.
Ancora una volta, però, mi
viene da pensare che questa "incoordinazione pneumofonica" potrebbe essere, in
"Fly Me To The
Moon" determinata più da uno stato di stanchezza fisica generale che,
semplicemente, da una errata gestione delle "prassie fono-articolatorie" o della
"coordinazione pneumo-fonatoria" cosa che, invece, mi sembra di rilevare in
"My Funny
Valentine" dove la tipologia di emissione adottata sembra più in
linea con i canoni estetici della O'Day e dove, inoltre, la presenza di sonorità
decisamente più "timbrate" ci induce a pensare che quelle "clinicamente
scorrette" siano, come dicevo all'inizio, se non ricercate quanto meno
accettate. A questo punto mi chiedo, questa
"accettazione" da parte della O'Day, di un certo tipo di sonorità, è stata
motivata da esigenze stilistiche (25) oppure è stata una
semplice conseguenza del fatto che la O'Day attribuisse tali "deficit vocali" ad
un errato intervento alle tonsille da lei subito quando ancora bambina? È possibile che questa sua
convinzione le abbia impedito di riconoscere ed eventualmente superare tali
"deficit tecnici"? In altre
parole, se Anita
O'Day, non avesse avuto la convinzione che un certo tipo di sonorità
le derivassero da un limite fisico anziché da una scorretta gestione della
tecnica vocale, il "corso degli eventi" avrebbe potuto prendere una piega
diversa? Non possiamo
saperlo! Ad ogni modo è
andata così! Bisogna,
tuttavia, riconoscere che, per quanto, in un certo qual modo, una simile
convinzione possa aver svolto un ruolo non indifferente "nell'alterare" la salute vocale di Anita
O'Day, non possiamo certo dire che essa abbia in qualche modo
ostacolato la sua "arte"… anzi!
Tuttavia per
quanto sia vero che la storia non si fa con i "se" dobbiamo riconoscere come il
suo percorso possa, talvolta, essere influenzato da fatti accidentali che
inducono a prendere delle decisioni che spesso modificano, anche in modo
decisivo, il "normale procedere degli eventi". Oppure dobbiamo dare ragione a chi sostiene che
"nulla accade per caso"? E che, quindi, quegli "eventi accidentali" sono
molto meno soggetti alle leggi del caso di quello che pensiamo?
Personalmente considero l'argomento di particolare
interesse in quanto concordo con coloro che ritengono che la scrittura della
storia non debba essere intesa soltanto come lo scrivere "sugli eventi del
passato" ma, soprattutto, come una "rilettura del passato" allo scopo di
ricavarne insegnamenti per il presente. "Il
presente" dice Adriano Zamperini "respira attraverso la sua storia".
Comprendere la giustezza o meno di una "scelta" e
fino a che punto si possa sostenere che il "libero arbitrio" sia semplicemente
un'illusione potrebbe essere di fondamentale importanza per il consolidarsi di
un' "etica sociale della responsabilità".
Essendo, però,
l'argomento di non semplice trattazione ritengo che, per il momento, dobbiamo
abbandonarlo con la speranza di poterlo riprendere in seguito (26).
Ritorniamo, quindi, ad Anita
O'Day.
Nel brano che segue sentiamo che, in diversi punti, è
presente un po' di raucedine mentre in altri la voce risulta essere un tantino
affaticata anche se, nel complesso, non riscontriamo alterazioni particolarmente
evidenti.
La raucedine o voce rauca (roughness) rientra in quella
categoria di suoni che la foniatria ha etichettato come "voce sporca" e che risultano caratterizzati da comparsa
di "rumore tra le armoniche" (27). Se la
presenza di rumore è costante ed è riscontrabile alle alte frequenze (oltre i
2500 Hz) allora parliamo di "voce soffiata". Quando la presenza del rumore
costante è alle basse frequenze (sotto i 2500 Hz) allora parliamo di "raucedine" (28). Anche per quanto riguarda
questo argomento rimando ad una lezione successiva per una spiegazione più
approfondita.
What's Your Story, Morning Glory (M.L.Williams/J.Lawrence/P.Webster) 2 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day
Sings The Winners, VERVE: 1990
Ascoltiamo adesso
quest'altro brano. La data e la situazione sono le stesse dei due brani
ascoltati precedentemente ma l'effetto è indubbiamente diverso. A questo punto bisogna tener presente che quando si
analizzano più brani eseguiti in uno stesso concerto o incisi in una stessa
seduta di registrazione è importante valutare l'ordine di esecuzione dei
brani.
È chiaro che nei brani
eseguiti/registrati per ultimo, la voce risulterà più stanca soprattutto se chi
canta non possiede una buona tecnica o se si canta in "cattività" (29). Ascoltiamo, dunque, il
brano.
Sing,
Sing, Sing (With A Swing) (Louis Prima) 2 aprile 1958 ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990
La voce, in questo brano, a
differenza dei due precedenti, è quasi perfetta… Anche se è sempre percepibile l'atteggiamento da parte
della O'Day ad usare una modalità di voce piuttosto pressata.
Ancora una volta mi chiedo
se i sintomi fonastenici così "palesi" che abbiamo riscontrato nella voce della
O'Day durante il Newport Jazz Festival del luglio '58 non siano la
conseguenza di una tecnica poco curata ed in particolare di questo suo
atteggiamento a cantare con una modalità di voce piuttosto pressata.
Ma continuiamo il nostro
viaggio a ritroso… e lasciamo che sia stesso la voce della O'Day a confutare o a
confermare questa mia ipotesi! Ascoltiamo adesso
parte di questo "Old Devil Moon" e parte del brano successivo.
Siamo nel '57 e precisamente il 31 gennaio, negli
Universal Studios di Chicago, con piano, chitarra, basso e batteria.
Old Devil
Moon (Arthur Lane/Yip Harburg) 31 gennaio 1957 ALBUM: Ultimate
Anita O'Day, VERVE: 1999
Love Me
or Leave Me (Walter Donaldson/Gus
Kahn) 31 gennaio 1957 ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999
Anche in questa occasione
possiamo individuare nella voce di Anita
O'Day la presenza di sintomi fonastenici piuttosto marcati. Quindi lo stato di disodia così
accentuato che abbiamo riscontrato nel concerto del '58 non costituisce un
episodio isolato all'interno del percorso artistico della O'Day!
Andiamo adesso ancora un po' più in dietro nel
tempo…Retrocediamo di circa un mese.
Sweet
Georgia Brown (Kenneth Casey/Maceo
Pinkard) 20 dicembre 1956 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Questa volta siamo negli
studi della Capitol, a Hollywood, con l'orchestra di Buddy Bregman… a parte quella voce leggermente velata e
quel po' di raucedine che, come abbiamo visto, eccetto che in rarissimi momenti,
caratterizzano il modo di cantare di Anita
O'Day, possiamo dire che, in questa particolare occasione, la voce
della O'Day non presenti alterazioni di particolare rilievo… anche se,
ascoltando con un po' più di attenzione, possiamo prendere atto di come la O'Day
sopperisca ad evidenti carenze di natura tecnica con uno sforzo vocale non
indifferente.
Secondo quanto sostiene il
Le Huche: "la prima cosa che
si fa inconsciamente quando la voce non ‘suona bene' per qualsiasi ragione è di
forzarla affinché ‘esca' ugualmente. Tale sforzo vocale si traduce forse
all'inizio con un accrescimento momentaneo di efficacia, ma al prezzo di uno
sforzo ‘smisurato' che sfocia in una progressiva diminuzione di rendimento (cioè
del rapporto efficacia/dispendio d'energia)" (30).
In altre parole "questo stato conduce ben presto ad una riduzione della
produzione vocale. Sotto l'effetto di fattori favorenti il soggetto può essere
condotto a continuare ad accrescere il proprio sforzo, proporzionalmente
all'abbassamento del rendimento vocale. Meno facilmente si produce la propria
voce, più egli si sforza… e più si sforza, meno diventa facile produrre la voce.
È il classico circolo vizioso di sforzo vocale" (31).
Tale comportamento di sforzo
vocale "finisce per divenire un'abitudine e conduce a
distorsioni durature del meccanismo della produzione vocale che alterano in
particolare la meccanica della voce ‘proiettata'" (32), determinando "un cambiamento
delle qualità timbriche (voce aspra, tesa, pressata)" nonché "alterazioni delle dinamiche di frequenza (voce calante o
crescente) e nelle
caratteristiche del vibrato (stretto, ‘caprino',
per rigidità del collo-mandibola, o ampio, ‘ballante' per tecniche di eccessivo
affondo)" (33).
A questo punto rimando
l'attenzione del lettore ad un'altra interpretazione di ‘Sweet Georgia Brown' di
cui su internet è disponibile un breve filmato tratto dal lungometraggio Jazz On A Summer's Day (Newport Jazz Festival
del '58) (34).
Tale filmato ci dà la
possibilità di osservare quanto riportiamo qui di seguito.
Un tale comportamento di
sforzo vocale si traduce, inoltre, a livello posturale, in una "perdita della verticalizzazione (flessione della porzione
toracica della colonna vertebrale)".
"Per compensazione, il soggetto
tende a verticalizzare la testa flettendo il collo e spostando quindi il mento
in avanti" (35).
Ne consegue una "iperlordosi cervicale" che "altera lo stato delle curvature fisiologiche a livello
cervicale" favorendo "la presenza di contratture ai
muscoli del collo" (36).
"Un tale tipo di tensione non
tarda a diffondersi alla muscolatura del viso" (37) determinando la "presenza di
discinesie al viso ed un eccesso della mimica facciale" (38).
L'infossamento toracico e la
protrusione del mento provocano uno stiramento della muscolatura che collega il
mascellare inferiore al laringe (muscoli sovraioidei) e il laringe al manubrio
sternale (muscoli sottoioidei)" (39).
Le tensioni possono,
inoltre, diffondersi anche agli arti superiori causando generalmente "un innalzamento o una antero- e postero- rotazione delle
spalle" (40)… "e quindi alla globalità del corpo" (41).
"Esiste una interazione profonda
tra modalità/necessità performative e postura: prima di tutto le cavità di
risonanza ricevono un forte condizionamento da alterazioni posturali che
limitino la realizzazione di una corretta proiezione vocale (richiedendo
compensazioni non ergonomiche per recuperare il "focus" vocale).
In secondo luogo, gli squilibri
posturali possono limitare la gestione della laringe (ad esempio la sua
posizione nel collo, così come l'equilibrio di utilizzo dei muscoli laringei
intrinseci) favorendo un ipertono fonatorio di compenso, con alterazioni del
vibrato e difficoltà nelle transizioni tra i
registri vocali.
I disordini posturali
influiscono poi negativamente anche sulla respirazione costo-diaframmatica,
specie per l'equilibrio dinamico tra appoggio e sostegno del fiato, ma anche in
termini di controllo della durata fonatoria" (42).
"L'alterazione vocale è
estremamente variabile a seconda dei casi, dei momenti, dei tipi d'atto vocale
in corso" (43).
"Essa può esistere senza alcuna
problematica della mucosa delle pliche vocali" (44).
Sia i suoni velati che la
raucedine che caratterizzano la voce della O'Day non necessariamente, quindi,
implicano la presenza di alterazioni di natura organica.
A proposito di raucedine,
"nel 1887, Frankel stabilì la nozione
di ‘mogifonia' che egli descrisse come una ‘raucedine senza lesione visibile'.
Si tratta di un'alterazione del timbro della voce in soggetti in cui,
stranamente, l'esame laringoscopico non rileva alcuna lesione. In quest'epoca
era difficile comprendere come la voce potesse essere alterata malgrado
l'integrità dell'organo vocale. Flateau e Gitzman, nel 1906", tuttavia,
spiegarono come la voce potesse andare incontro a delle alterazioni anche
semplicemente in conseguenza di "'un‘affaticabilità
anormale dell'organo vocale', da cui il nome di fonastenia che diedero
all'affezione.
Nel 1935 Tarneaud dimostrò che la disorganizzazione del gesto fonatorio è
suscettibile di provocare un'alterazione vocale. Questa disorganizzazione
risulta soprattutto, per Tarneaud, da ciò che egli chiama una ‘disorganizzazione
pneumofonica' cioè un difetto di coordinazione fra il comportamento del soffio
da una parte, e quello del vibratore (laringe) dall'altra.
Egli mostra inoltre che tale
‘disfunzione' può sfociare, tramite il meccanismo dello sforzo vocale, ad una
lesione organica del laringe" (45).
Un tale "comportamento da sforzo" comporterà infatti "un incremento delle forze di contatto del bordo libero
delle corde vocali" con "fenomeni di attrito
intercordale" (46).
"In tal modo una turba puramente
funzionale all'inizio può provocare un'alterazione della mucosa laringea, quale
un nodulo, un polipo, ecc." (47).
Tuttavia Le Huche aggiunge che "nei
cantanti di musica leggera l'esigenza di qualità è in questo caso meno
rilevante. La voce qualche volta non ha una grande importanza; ciò che conta
sono la ricchezza e la forza del contatto con il pubblico. La tecnica vocale
spesso è molto deficitaria, gli errori di tecnica sono spesso enormi. Il
comportamento di sforzo è spesso notevole. Alcune lesioni o anomalie scatenano a
volte delle particolarità timbriche che rappresentano, addirittura, un vantaggio
per il cantante (48). Ascoltiamo qualche
altro brano registrato nella medesima situazione…
Stompin' at the
Savoy (Benny Goodman/Edgar Sampson/Chick Webb/Andy
Razaf) 20 dicembre 1956 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Stompin' at the Savoy 1 Stompin' at the Savoy 1
La voce della O'Day risulta
essere sempre piuttosto affaticata. Ascoltiamola
ancora in un altro brano… lascio a voi ogni commento che sono sicura siete
oramai in grado di fare da soli…
I
Never Had a Canche (Irving Berlin) 20 dicembre 1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Ascoltiamo ancora un altro
brano. Stessa situazione ma il giorno precedente…
Stars Fell on Alabama (Frank Perkins/Mitchell
Parish) 19 dicembre 1956 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
"Alternate take" (49):
Stars Fell on Alabama (Frank Perkins/Mitchell
Parish) 19 dicembre 1956 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Ancora il giorno prima, 18
dicembre '56… la voce sembra buona… eccetto che in
qualche passaggio… ma, anche in questo caso, le
"irregolarità" sembrano più dovute ad una cattiva tecnica (errata gestione delle
risonanze, delle tensioni muscolari e della meccanica respiratoria) che alla
presenza di una qualche forma di patologia.
Don't Be
That Way (Benny Goodman/Edgar
Sampson/Mitchell Parish) 18 dicembre 1956 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Ascoltiamo qualche altro
brano…
Let's Face the Music and Dance (Irving Berlin) 18 dicembre 1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
I
Used to Be Color Blind (Irving Berlin) 18 dicembre 1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Siamo sempre nel '56…
questa volta il 23 febbraio…La vediamo ancora una volta a Los Angeles con
l'orchestra di Buddy Bregman….
The Getaway and the Chase (Biff Jones/Charles Meyer) 23 febbraio 1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
La voce è buona… ma molto
"pressata" come tutte le volte in cui abbiamo trovato la O'Day in "gran forma"! Sentiamo, ad esempio, quanta "energia in eccesso" la O'Day mette nelle note
conclusive del brano.
Ascoltiamo adesso quest'altro
brano…
We Laughed at Love (composer unknown) 23 febbraio
1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
We
Laughed at Love 1 We
Laughed at Love 2
È possibile osservare l'assenza
di particolari virtuosismi vocali… il tutto è calmo, rilassato, cool appunto!
A tale proposito mi viene in
mente quanto puntualizzato da Gian Carlo Roncaglia a
proposito del cool jazz. "Si è equivocato per anni sul
termine, cool, trasformandolo in ‘freddo', con la traduzione dell'inglese
‘cold'; nel gergo americano, fra l'altro, ‘to keep cool' significa,
letteralmente, ‘rimanere calmi'" (50).
"Essere cool" non significa,
quindi, tendere al cerebrale o al totale distacco emotivo dal brano che si sta
suonando o cantando, come molti, invece, sostengono (51).
Ma a proposito di
emozioni…
"Ognuno sa che, se la voce può
esprimere l'emozione, l'emozione può a volte turbare la voce".
Tuttavia per quanto sia "vero che l'anamnesi rivela sovente l'esistenza di fattori
psicologici all'origine della disfonia, la tendenza (frequente) di cercare
l'unica spiegazione di ogni disfonia in un problema di ordine psicologico,
rischia di portare a dispersioni.
A volte è la turba vocale che
provoca delle problematiche psicologiche" (52).
Ma l'emozione non è solo un
ostacolo… l'emozione può diventare anche un veicolo attraverso il quale si può
trasmettere, comunicare…
Nel brano che abbiamo appena
ascoltato, ad esempio, la O'Day, attraverso le sue timbriche calde e rilassate,
mi comunica, facendomi rivivere in prima persona, quel piacere che si prova
negli attimi magici in cui si canta. Quando si dimenticano tutti i problemi e si
prova un senso di dolcezza e di "temporanea" serenità.
Quei momenti fantastici in
cui, attraverso la propria voce, si entra in contatto con la propria intimità e
quella di coloro che ci "Ascoltano".
La voce così come gli occhi
è una delle così dette porte di accesso a quello che di più vero esiste in noi…
con la voce, con gli occhi… ma con il corpo nel suo complesso non si può
mentire!
La grandezza di un artista,
dunque, non sta, a mio avviso, nel possedere una bella voce così come,
purtroppo, molti pensano ma nella capacità di usare la propria voce, come un
tramite che permetta a chi ascolta di entrare "in contatto" con quello che
l'artista è nel momento in cui produce l'opera… con la sua verità di quel
momento!
In linea con quanto dice E. Fromm, la vera arte non sta nell'avere, nel
possedere… ma nel lasciare che il proprio essere si manifesti così come è in
quel momento specifico (53). Questo è quello che
io "sento" quando ascolto questa versione di "We Laughed at
Love"…
… oltre,
chiaramente, alla ‘raucedine' e ai ‘suoni velati'… ma andiamo avanti!
(54).
I'm Not Lonely (composer unknown) 23 febbraio
1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
I'm Not
Lonely 1 I'm Not
Lonely 2
Anche in questo caso è evidente
l'assenza di tecnica. La stessa cosa la riscontriamo nel brano
seguente.
Your Picture's Hanging Crooked on the Wall (composer unknown) 23 febbraio 1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
La registrazione che segue è
stata fatta, invece, il 12 febbraio sempre del '56. In questo caso la
O'Day canta con l'orchestra di Gene Krupa al Fine
Sound di New York City. Il brano è "Let Me Off Uptown" dove vediamo la O'Day
cimentarsi in "divertenti e briosi dialoghi con l'altra
vedette dell'orchestra, il trombettista di colore Roy
Edlridge", testimonianza "d'un già felice
connubio tra jazz e umorismo" che costituisce, da sempre, una caratteristica
stilistica della cantante (55).
Let Me Off Uptown (Earl Bostic/Redd Evans) 12
febbraio 1956 ALBUM: Ultimate
Anita O'Day, VERVE: 1999
Let Me
Off Uptown 1 Let Me
Off Uptown 2
La voce, tuttavia, non sembra
essere per niente a posto... si accusa una fatica fisica generale. Stessa cosa
si può dire per Roy Eldridge (tromba e voce).
Ma a
proposito di swing… sentite come sia Roy Eldridge
che la O'Day "swingano" anche quando parlano… è il caso di dire che cantano come
parlano.
Io credo che uno dei motivi per cui il jazz sia nato in
America è proprio perché la lingua americana si presta a questo genere musicale.
Si potrebbe dire che è di per sé "swingante"!
A questo punto sarebbe
interessante capire che tipo di relazione passa tra un particolare genere
musicale e l'idioma della popolazione al cui interno tale genere musicale si è
originato. In particolare in rapporto alle inflessioni
tipiche di questo idioma o all'intonazione intesa come "modulazione della voce nella pronuncia di una parola"
(56). In
altre parole la relazione che intercorre tra "l'idioma" di una determinata
popolazione e il suo modo di pensare gli "accenti" della musica. Cercare di capire, inoltre, se
un particolare genere musicale possa andare incontro a delle variazioni anche in
relazione al mutare della cadenza (intesa qui come inflessione della voce
parlata) dei diversi musicisti che lo "suonano/cantano"... "pensano"!
Ascoltiamola adesso in questa versione di "The Rock'n Roll Waltz". Il brano è stato
registrato il 4 gennaio del '56 sempre con l'orchestra di Benny Bregman.
The Rock'n' Roll Waltz (Shorty Allen/Dick Ware) 4 gennaio
1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
The
Rock'n' Roll Waltz 1 The
Rock'n' Roll Waltz 1
La voce sembra essere più che
buona… oserei dire quasi irriconoscibile!
Eppure dietro questa apparente
"potenza vocale" si cela uno di quelli che ritengo essere tra i più pericolosi
difetti della voce cantata. I foniatri la definiscono "ipercinesia fonatoria o senso di qualità pressata della
voce".
Il termine "voce pressata", tuttavia, non ci è nuovo,
lo abbiamo già usato in diverse occasioni… ogni qual volta abbiamo incontrato
un'Anita
O'Day un po' più in energia!
L'ipercinesia fonatoria, così
come la voce soffiata e la raucedine, "rientra nelle
alterazioni della qualità vocale a carico prevalentemente della
sorgente laringea". Nel'ipercinesia fonatoria,
infatti, si riscontra un aumento delle resistenze glottiche per incremento del
tono muscolare sia a livello dei muscoli intrinseci che di quelli estrinseci
della laringe (oltre che di quelli del collo e delle spalle), con "decisivo aumento del tempo di contatto glottico e
interessamento delle false corde" (57).
Personalmente, ritengo che questo comportamento di
"ipercinesia fonatoria" sia da ritenersi una delle cause principali che hanno
determinato il manifestarsi dei sintomi fonastenici che, in modo più o meno
accentuato, abbiamo riscontrato, in più di un'occasione, nelle voce di Anita
O'Day ed in particolar modo durante il Newport Jazz Festival del
1958.
È inutile puntualizzare che
anche altri fattori vi hanno contribuito: la vita sregolata, l'alcool, la droga,
lo stress che comporta il "mestiere del cantante", ad esempio, non avranno di
certo attraversato la vita della O'Day senza lasciare tracce sul suo corpo e,
quindi, sulle sue "corde vocali". Di questo, tuttavia, ne parleremo in modo più
dettagliato nella III parte della lezione dedicata ad Anita
O'Day.
Prima di procedere ritengo, però, necessario citare
ancora Franco Fussi in particolare quando scrive che
"L'atteggiamento fonatorio ipercinetico, di ‘spinta' tra
le corde che genera fonastenia, è comune" a quei cantanti "che, salendo la gamma tonale, non adeguano opportunamente
le cavità di risonanza per realizzare quello che i Maestri chiamano il ‘giro'
della voce, o che rinforzano il suono per incremento dell'attività muscolare
alla sorgente, in altre parole ‘spingono' o forzano la voce. Il suono viene così
descritto come pressato, teso, duro schiacciato. Questo atteggiamento è comune
soprattutto" in quei cantanti "che equivocano il
concetto di portata vocale con l'aumento delle forze muscolari in gioco e che
non hanno ancora individuato gli atteggiamenti adeguati dei risuonatori per
ottenere suoni del registro pieno con consonanza di testa: sono quei cantanti
che hanno imparato a cantar sempre forte, si lusingano anche del bel colore, ma
poi nel passare ai pianissimi e alle mezze voci ‘stringono' il suono o lo
‘sbiancano' perché non riescono a mantenere le ‘posizioni' in maschera"
(58).
Ma, come nel caso della voce soffiata o della
raucedine, per poter comprendere a fondo l'eziologia di questa tipologia di
suono è necessario prima di tutto studiare l'anatomia e la fisiologia della
laringe per cui, per il momento, ci limitiamo a riconoscere acusticamente il
fenomeno rimandandone lo studio più approfondito ad uno stadio successivo.
Torniamo, adesso, al nostro brano. Oltre all'ipercinesia fonatoria
notiamo anche delle difficoltà da parte della O'Day nella gestione delle
modalità di rifornimento d'aria in particolare in relazione alle pause
inspiratorie. Ma anche per quanto riguarda questo
argomento ne rimando una trattazione più approfondita ad un momento
successivo.
Continuiamo, dunque, il nostro lavoro di "ear training"
della voce... ascoltiamo il seguente brano.
I'm With
You (composer unknown) 4 gennaio 1956 ALBUM: Pick
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
Passiamo adesso al 1955, i due brani che seguono sono stati
registrati in data 8 dicembre '55 negli studi della
Capitol a Holliwood…con la Buddy Bregman
orchestra…
Honeysuckle Rose (Fats Waller/Andy Razaf) 8
dicembre 1955 ALBUM: Anita O'Day: finest hour, VERVE:
2000
Honeysuckle Rose 1 Honeysuckle Rose 2
Anche qui la voce non
risulta essere particolarmente a posto.
You're The
Top (Cole Porter) 8 dicembre 1955 ALBUM: Anita O'Day
Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991
Stessa cosa del brano
precedente.
Quella che segue è, invece, una registrazione
radiofonica.
Anita's
Blues (Anita O'Day) 28
giugno 1954 ALBUM: Anita O'Day: finest hour, VERVE:
2000
Anita's
Blues 1
Nel "I Didn't Know What Time It Was" che stiamo per
ascoltare la voce risulta essere abbastanza buona.
I Didn't Know What
Time It Was (Richard Rodgers/Lorenz Hart) 28 giugno 1954 ALBUM: "We'll Have
Manhattan", The Rodgers & Hart Songbook, VERVE: 1993;
I Didn't
Know What Time It Was 1 I Didn't
Know What Time It Was 2
Anche qui la voce risulta
essere abbastanza buona.
Just One Of Those Things (Cole Porter) aprile 1954 ALBUM: Anita O'Day
Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991
Lo stesso dicasi per il
brano che segue.
Love For
Sale (Cole Porter) 22 gennaio 1952 ALBUM: Anita O'Day
Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991
Anche in questa
interpretazione di "Love For Sale", come abbiamo già
riscontrato in diverse occasioni ed in particolare nella versione di "The Rock'n' Roll Waltz" che abbiamo ascoltato
precedentemente notiamo delle difficoltà, da parte di Anita
O'Day, nella gestione delle modalità di rifornimento d'aria. Anche
qui soprattutto in relazione alle pause inspiratorie.
Nei
due brani successivi non si accusano alterazioni particolarmente evidenti.
Malaguena (Lecuona) 1947 ALBUM: I Told Ya I Love Ya,
Now Get Out, ZILLION: 1991 (1984);
How high the moon (Hamilton/Lewis) 1947 ALBUM: I Told Ya I Love Ya,
Now Get Out, ZILLION: 1991 (1984);
E il materiale a mia
disposizione si esaurisce qui (59)… nella terza parte della
lezione dedicata ad Anita
O'Day, invece, come ho già accennato nell'introduzione, mi propongo
di fornirvi degli esempi relativi a registrazioni fatte dalla O'Day dal '58 in
avanti al fine di osservare se la pronunciata fonastenia che abbiamo riscontrato
nella voce di Anita
O'Day durante il Newport Jazz Festival del '58 abbia influenzato,
in qualche modo, la produzione artistica della cantante degli anni
successivi.
Quindi ricapitolando…
Diciamo che, pur conservando
una voce tendenzialmente velata e priva di qualunque forma di vibrato,
caratteristica quest'ultima che, come abbiamo più volte detto, la O'Day fa
risalire ad una operazione alle tonsille subita da bambina in cui per errore le
asportarono anche "l'ugola" (60), è nel '57 che la
O'Day comincia a manifestare dei fastidi un po' più consistenti, a livello
vocale, che culmineranno nella disodia del '58.
Fastidi che è evidente sono
la conseguenza di un uso più istintivo che tecnico della voce e che, va
puntualizzato, sono anche da attribuire ad uno stato psico-fisico tutt'altro che
'favorevole' dovuto non solo allo stress che "il mestiere del cantante"
(61) comporta ma anche, se non prevalentemente, all'uso di
superalcolici e di stupefacenti di cui la O'Day faceva già uso abbondante negli
anni fino ad ora presi in esame.
La droga, infatti, prima
leggera e poi pesante, metterà a repentaglio non solo la "tranquillità" della
cantante in conseguenza dei "frequenti infortuni con la
polizia" (62) che la costringeranno
"ai margini della legge per circa un ventennio"
(63) quanto anche la sua stessa vita. Verso la fine degli anni
'60
la O'Day verrà, infatti, sfiorata dalla morte per overdose.
Alla fine, tuttavia, la
O'Day riuscirà a disintossicarsi (64).Quali ripercussioni una tale esperienza possa aver
avuto sulla voce di Anita O'Day è il tema che mi propongo di sviluppare nella
terza parte del mio breve excursus dedicato alla
"voce" di questa grande artista.
Adesso, però, ritengo sia
arrivato il momento di staccarci un attimo da Anita
O'Day per avventurarci nell'esplorazione di uno degli organi, a mio
avviso, più affascinanti di tutto l'apparato fonatorio: mi riferisco alla
laringe, l'organo "generatore del suono"!
A presto Sandra
Evangelisti.
NOTE: (*) Le espressioni "ascolto funzionale" e
"ascolto estetico" sono state prese da Franco Fussi, "La valutazione del
cantante", in Franco Fussi (a cura di), La voce del
cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, volume III, 2005, p.
34; mentre, invece, l'espressione "la necessità spiega lo stile" è della stessa
Anita O'Day, vedi Luciano Federighi, Cantare il jazz:
L'universo vocale afroamericano, Bari: La Terza & Figli, 1986, p.
94; (**) M. Oakeshott, Experience and its Modes, 1933,
p. 99, citato in: Edward H. Carr, Sei lezioni sulla
storia. La Rivoluzione Russa, Torino: Giulio Einaudi Editore, 1980, p.
27;
(1) Franco Fussi, "La
valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 34; (2) ibid., p. 34; (3) "Le grandi
voci", in I Maestri del Jazz: La musica, la storia, i
protagonisti, Novara: Istituto Geografico De Agostini, 1990 (1988),
volume II, pp. 114-115; (4) ibid., p. 115; (5) Luciano Federighi, op.cit., p. 93; (6) Marco
Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: Saggi di foniatria artistica,
Omega Edizioni, volume II, 2003, p. 159; (7)
Luciano Federighi, op.cit., p. 94; (8) ibid., p. 94; (9) www.anitaoday.com/homepage.html (10) Bruce Crowther, Mike Pinfold, Singing Jazz: The Singers and Their Styles, San
Francisco: Miller Freeman Books, 1997, p.124; (11) Luciano Federighi, op.cit., p. 94; (12) Bruce
Crowther, Mike Pinfold, op.cit., p.124; (13) Will
Friedwald, Jazz Singing: America's Great Voices From
Bessie Smith To Bebop and Beyond, New York: Da Capo Press, 1996
(1990), p. 281; (14)
Arrigo Polillo, Jazz: La vicenda e i protagonisti della
musica afro-americana, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1997
(1975), p. 216; (15) Will
Friedwald, op.cit., p. 281; (16) ibid., pp. 283-284; (17) "Che in omaggio alla nuova estetica non facevano uso
del vibrato", " al servizio di un fraseggio lieve e rilassato ispirato a quello
di Lester Young", "un suono altrettanto terso e delicato, cool, appunto", Arrigo
Polillo, op.cit., pp. 217-218; "con la loro
predilezione per le linee melodiche tenui ed eleganti, per i colori scuri e le
sonorità spente, senza vibrato", ibid. p. 225; (18) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco
Fussi (a cura di), op.cit., pp. 41-42; (19) ibid., p. 47; (20) ibid., p. 47; (21) ibid., p. 53; (22) ibid., pp. 57-58; (23) vedi quanto è stato detto in proposito nella lezione
precedente; (24) Franco Fussi, "La valutazione del
cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p.
41; (25) Non dimentichiamo che Anita O'Day,
indipendentemente dal fatto che lei si riconosca o meno un'esponente del "cool
jazz", ha lavorato con le orchestre di Gene Krupa e di Stan Kenton, solo per
citarne alcuni, i quali avranno di certo contribuito, non poco, alla formazione
del "gusto estetico" della cantante, Luciano Federighi, op.cit., pp. 94-95, vedi anche: Livio Cerri, Il mondo del jazz, Pisa: Nistri-Lischi Editori, 1958, p.
450; (26) Anche per quanto riguarda le informazioni
bibliografiche ritengo più opportuno rimandare il tutto a quando tratteremo
l'argomento più nei dettagli. Mi limito, per il momento, a segnalare il testo di
Adriano Zamperini, Psicologia sociale della responsabilità, Torino: UTET
Libreria, 1998, pp. 305 e quello di Hans Jonas, Il
principio responsabilità: Un'etica per la civiltà tecnologica, Torino: Giulio
Einaudi editore, 1990 (1979), pp. 291. Inoltre
per quanto riguarda, in modo più specifico, il principio del "libero artbitrio"
rimando alla lettura dell'articolo di Gerhard Roth, "Sincronia nella rete dei
neuroni", Mente & Cervello, Milano: Le Scienze, I (gennaio/febbraio) 2003, pp.
10-19. (27) Franco Fussi, "La valutazione del
cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p.
48; (28) ibid., p. 53; (29) Pensiamo ad esempio al fumo nei locali o al cantare
all'aperto, oppure ancora alle grandi orchestre che "tendono a sommergere con la loro prestanza sonora",
Luciano Federighi, op.cit., p. 96; Marco Podda, "La
patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume II, 2003, pp. 159-160; (30) François Le Huche, André Allali, La voce, vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, Milano:
Masson, 1994 (1990), p. 53; (31) ibid., p. 53; (32) ibid., p. 53; (33) Franco Fussi, "Fonastenia: La fatica del
mestiere"Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante:
Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, 2000, p. 240; (34) http://www.anitaoday.com/Performance.html (35) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55; (36) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco
Fussi (a cura di), op.cit., p. 37; (37) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55; (38) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco
Fussi (a cura di), op.cit., p. 36; (39) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55; vedi
anche François Le Huche, André Allali, La voce, vol.
1: Anatomia e fisiologia degli organi della voce e della parola, Milano: Masson,
1993
(1991), p. 100; (40)
Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 37; (41) François
Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia
vocale, Tomo 1, p. 55; (42) Franco Fussi, "La
valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., pp. 37-38; (43)
François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2:
Patologia vocale, Tomo 1, p. 57; (44) ibid., p. 57; (45) ibid., p. 50; (46) Franco
Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 240; (47) François
Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia
vocale, Tomo 1, p. 50; (48) ibid., p. 137; vedi anche quanto detto, a tale
proposito, dal Podda e da me citato nella lezione precedente; (49) Con il termine "Take" ci si riferisce ad un'unica
esecuzione registrata senza interruzioni sia che si tratti di una registrazione
completa che di una registrazione parziale. Ognuno di questi brani prende il
nome di "first take", "second take" etc. Per "alternative take" o "alternate
take" s'intende una registrazione usata in alternativa ad un particolare "take",
Barry Kernfeld (a cura di), The New Grove Dictionary of Jazz, London: Macmillan
Press Limited, 1988, vol. II, pp. 516-517; (50) Gian Carlo Roncaglia, Il jazz
e il suo mondo, Torino: Giulio Einaudi editore, 1998, p. 234; (51) Mark G. Gridley, "Cool Jazz", Barry Kernfeld (a cura
di), The New Grove Dictionary of Jazz, London: Macmillan Press Limited, 1988, vol.
I, pp. 244-245; "History of Jazz, part 5: Cool Jazz", Jazzitude, http://www.jazzitude.com/histcool.htm; Luciano
Federighi, op.cit., p. 226; (52) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, pp.
52-53; (53) Erich Fromm, Avere o
essere?, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1979 (1976), pp.
299; (54) Si tratta di empatia o di semplice proiezione?
A tale proposito vedi: David M. Berger, L'empatia
clinica, Roma: Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, 1989
(1987), pp. 253 e Alain Besançon, Storia e psicoanalisi, Napoli: Guida Editori, 1975, pp.
211; (55) Secondo quanto sostiene Luciano Federighi è da
Martha Raye "la brava cantante e clown
hollywoodiana", indicata, tra l'altro, come modello dalla stessa Anita O'Day, che la O'Day
erediterà quello humor che "risulterà determinante per
l'equilibrio della sua immagine stilistica", Luciano Federighi, op.cit., pp. 93-95; (56) Nicola
Zingarelli, Il nuovo Zingarelli: vocabolario della lingua italiana, Bologna:
Nicola Zanichelli, 1983, XI edizione; (57)
Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 47; (58) Franco
Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 240; (59) In realtà
il materiale da me analizzato per preparare questa lezione è di gran lunga
maggiore ma ho dovuto "fare alcuni tagli" per non rendere la lezione troppo
pesante! Rimando, tuttavia, alla discografia e alla bibliografia generale per un
ulteriore approfondimento. Rimando, inoltre, alla pagina
http://www.anitaoday.com/homepage.html per la consultazione di altro materiale
discografico; (60) Luciano Federighi, op.cit., p. 94; (61) Franco
Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 237; (62) Luciano
Federighi, op.cit., p. 95; (63) ibid., p. 93; (64) ibid., p.
96;
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Data pubblicazione: 27/05/2006
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