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INDICE LEZIONI

Ascolto funzionale e ascolto estetico:
quando "la necessità spiega lo stile" (*)

 Anita O'Day - Seconda Parte
di Sandra Evangelisti
evasama@tin.it

"La storia è l'esperienza dello storico. Essa non è fatta da altri se non dallo storico, e scrivere storia è l'unica maniera di farla". M. Oakeshott (**).

Ho intenzione di iniziare questa lezione con il pormi alcune domande.

In primo luogo, ad esempio, mi chiedo se quello che abbiamo riscontrato durante il Newport Jazz Festival del '58 sia un caso di disodia legato ad un momento particolare della vita artistica di Anita O'Day oppure se tale condizione di fonastenia affonda le sue radici più indietro nel tempo.

Mi chiedo, inoltre, quali ripercussioni una tale disodia possa avere avuto, negli anni successivi, sulla produzione artistica di Anita O'Day.

Proviamo a fare una piccola indagine…

Prima, però, di procedere a ritroso nella vita artistica di Anita O'Day per rintracciare, se possibile, le origini di questa fonastenia, vorrei fare una precisazione.

Concordo in pieno con Franco Fussi quando sottolinea la differenza tra "ascolto funzionale" e "ascolto estetico" (1).

Le due cose non si escludono a vicenda ma si completano.

Essere in grado di affinare la propria abilità ad entrambe queste modalità di ascolto è un obbiettivo che, a mio avviso, dovrebbe porsi chiunque si appresti a lavorare con "le voci".

E non mi riferisco soltanto alle figure del foniatra, del logopedista o dell'insegnate di canto ma anche a quella del musicologo o di uno "storico della voce".



La presenza di un limite fisico, ad esempio, o la semplice convinzione di averne uno che, come vedremo in seguito, è appunto quanto è accaduto ad Anita O'Day, dovrebbe essere considerato un fattore da non trascurare ai fini di una migliore comprensione sia del percorso "stilistico" intrapreso da un/una cantante quanto anche della genesi di "nuove forme di sonorità" che potrebbero, in qualche modo, aver contribuito al nascere di nuovi "stili vocali" o di "nuove correnti" all'interno di un genere già consolidato.

La stessa Anita O'Day, ad esempio, sottolinea che l'assenza di vibrato che aveva costituito un fattore determinante nel procurarle l'appellativo di "vo-cool" era stata la conseguenza di un suo limite fisico e non il frutto di una "meditata ricerca stilistica" come, invece, diversi critici ritengono.
Ma di questo ne parleremo in modo più dettagliato fra breve.

Per un insegnante di canto jazz o di un qualunque altro stile vocale che faccia uso di "suoni sporchi" l'affinare entrambe queste modalità di ascolto costituisce addirittura una necessità.

Riconoscere quando determinate sonorità sono dovute ad alterazioni di natura organica o quando, invece, sono la conseguenza di un semplice "malfunzionamento" del "vocal tract" è, infatti, di fondamentale importanza al fine di stabilire quali tra queste sonorità possono essere "riprodotte" e quali, invece, no.

È un errore molto diffuso, infatti, quello di imitare "acriticamente" le sonorità usate dai propri idoli con conseguenze spesso "disastrose" sia da un punto di vista "funzionale" che "estetico".

Impariamo, dunque, ad "Ascoltare" le voci che amiamo, a cercare di comprendere l'eziologia dei suoni che le caratterizzano invece di limitarci ad imitarle "acriticamente".

Impariamo ad "usare" quanto la "scienza" ha messo a nostra disposizione senza il timore di intaccare le nostre "inclinazioni artistiche".

Non è vero che la scienza uccide l'arte, anzi… la scienza può sostenere l'arte e, addirittura, arricchirla.

Inoltre il fatto che io sappia che dietro un tramonto esistano delle leggi rigorosissime che ne consentono il verificarsi, non mi impedisce di emozionarmi ogni qualvolta ne veda uno anzi, per quanto mi riguarda, all'emozione che nasce dalla mera contemplazione estetica si aggiunge anche quella che nasce dalla consapevolezza non solo della "complessità di questo fenomeno" quanto anche della capacità della mente umana di "misurarne le leggi".
La stessa cosa può accadere quando "contempliamo" un'opera d'arte o quando, addirittura, ne "produciamo" una.

Ma ritorniamo all'ascolto funzionale e all'ascolto estetico e vediamo la definizione che ne dà lo stesso Franco Fussi.

Per ascolto funzionale Fussi intende "l'abilità nel confrontare le modalità esecutive con le modalità fisiologiche di emissione". L'ascolto funzionale, minimizzando gusto e preferenze personali, si limita a cercare le "corrispondenze tra ciò che si ascolta e gli eventi fisiologici che ne sono alla base".

"Un ascolto estetico ha invece a che fare quasi esclusivamente col gusto personale, che comprende variabili come la musicalità e la predisposizione psicologica a prediligere certi tipi di qualità vocale piuttosto che altri" (2).

Ritorniamo, adesso, ad Anita O'Day e ascoltiamo la seguente versione di "Tea for Two".

Siamo sempre nel 1958… ma questa volta siamo in aprile… il brano è stato registrato al Mc Kelly Restaurant di Chicago.

Tea for Two
(Vincent Youmans/Irving Caesar)
27 aprile 1958
ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999

La voce della O'Day "suona" in alcuni punti un po' velata ma, paragonandola alla versione di "Tea for Two" che abbiamo ascoltato nella lezione precedente, risulta essere indubbiamente più timbrata.

Purtroppo non sono in possesso di altri brani registrati in questa data.

Continuiamo, dunque, procedendo a ritroso…

Siamo ancora nel '58 e sempre in aprile, precisamente il 3, soltanto 24 giorni prima dell'incisione che abbiamo ascoltato precedentemente… questa volta, però, non abbiamo una situazione di trio ma la O'Day canta accompagnata da un'orchestra, precisamente quella di Marty Paich.

Ma a proposito di orchestre.

All'interno delle grandi orchestre, "il ruolo delle cantanti era quello più chiaramente definito".

La cantante doveva semplicemente eseguire la sua parte all'interno di un tutto già pianificato.

"La cantante doveva soprattutto essere sexy, dolce". L'aspetto, o per essere più precisi ‘la bella presenza' aveva "la stessa importanza della sua abilità nel canto" in quanto "assicurava il legame visivo ed emotivo fra il pubblico e l'orchestra". Venivano definite i "canarini della banda", e venivano considerate sempre "come quell'elemento diverso e nuovo in grado di risaltare su uno sfondo di uniformi tutte maschili".

"Le vocaliste prendevano uno stipendio inferiore agli altri membri dell'orchestra e mancavano di una qualsiasi protezione sindacale. La prima associazione di cantanti di grande orchestra apparve solo nel 1948, ma più per la pressione della American Guild of Variety Artists che per la volontà di lotta delle interessate" (3).

Così quando Anita O'Day, durante la sua prima tournée, si presentò ad un concerto "con la stessa uniforme dei suoi compagni" l'evento non passò di certo inosservato. Per di più "Anita parlava con un gergo duro, aveva una voce acida e un senso dello humor tagliente". Tuttavia "il suo viso strano, i suoi grandi occhi, una certa trascuratezza, fecero davvero un grande effetto".

"La sua voce e la sua presenza erano modeste" ma ella seppe introdurre un nuovo modo di cantare definito dai più "insolente". Tale insolenza non era altro, tuttavia, che una nuova forma di "sensualità" fino a quel momento "sconosciuta ai ‘canarini'".

Nonostante "tutti questi elementi contrari alle aspettative generali", nonostante Anita O'Day dimostrasse apertamente di rifiutare "il ruolo di canarino dell'orchestra", nonostante questa sua personalità così "insolentemente" trasgressiva, nonostante fosse priva di una "grande tecnica vocale" ella riuscirà, comunque, ad imporsi al grande pubblico "con la sola forza del suo fraseggio e del suo humor ironico ed elegante".

Ella, tuttavia, riuscirà ad affermarsi grazie anche alla sua capacità di improvvisare come poche sue "compagne bianche" sapevano fare. "Il suo scat, infatti, aveva connotazioni ritmiche peculiari che la differenziavano dalle sue compagne bianche dell'epoca". A tale proposito va sottolineato che "Anita O'Day fu 'scoperta' da Gene Krupa, batterista di Benny Goodman, che l'aveva ascoltata cantare dodici chorus di seguito, tutti diversi, su ‘Lady Be Good'" (4).

Ma ritorniamo al nostro brano. Il brano è "Take The 'A' Train" ed è eseguito in un tempo medium-fast.

Take The 'A' Train
(Billy Strayhorn)
3 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

…la voce, nel primo chorus, sembra piuttosto buona… con qualche suono velato disseminato qua e là. Sentiamo, tuttavia, la tendenza a cantare con una modalità di voce piuttosto "pressata" cosa che non avevamo accusato nel brano ascoltato precedentemente.

Forse la presenza dell'orchestra?

L'esigenza di marcare gli accenti?

Carenze a livello della tecnica vocale?

O forse un tale comportamento vocale potrebbe essere considerato, semplicemente, come il risultato di una personale ricerca stilistica non affidata al caso ma, "intuitivamente quanto caparbiamente coltivata"?
(5)… ma vediamo cosa succede dopo… ascoltiamola con attenzione soprattutto nello SCAT e nel finale!

Take The 'A' Train

In questo caso la disodia è più accentuata ed è evidente soprattutto nelle note più acute e nei passaggi dai suoni più intensi a quelli emessi a volumi medio-bassi.

Prima di passare al brano successivo vorrei, tuttavia, riportare quanto scrive Marco Podda in un suo articolo sulla patologia vocale nel canto moderno dove tra le "cause di surmenage e malmenage vocale" elenca "frequenti episodi di utilizzo prolungato e abusi vocali; prassie con modelli fonatori estrememente ipercinetici; uso prolungato di attacchi estremamente aspri (per es. come nella tecnica scat del jazz)" (6).

A questo punto mi chiedo se questo atteggiamento da parte della O'Day a cantare con "voce pressata", indipendentemente dalle cause che lo hanno determinato, non potrebbe essere considerato all'origine di quella leggera disodia che avevamo riscontrato nella voce della O'Day durante l'interpretazione del brano ascoltato precedentemente.
Forse! Tuttavia è ancora presto per darci una risposta! Andiamo, dunque, avanti nella nostra indagine.

Anche nel brano che segue, sempre medium-fast, la O'Day fa uso di una modalità di voce piuttosto pressata.

Interlude (A Night In Tunisia)
(J. "Dizzy" Gillespie/F.Paparelli/R. Leveen)
3 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

Lo stesso dicasi per il brano successivo.

Four
(Miles Davis/B.Loughborough)
3 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

Ascoltiamola, adesso, in questa ballad…

Early Autumn
(Woody Herman/J.Mercer/R.Burns)
3 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

Ascoltiamo l'inciso.

Early Autumn

La voce sembra essere piuttosto stanca… ma è interessante osservare come, pur con questo suo timbro talvolta rauco, talvolta velato, con "quel sound ‘sottile, di cartapecora' (secondo la definizione di Witney Balliett)" (7), la O'Day riesca a fare del brano che abbiamo appena ascoltato ma, oserei dire di qualunque altra "ballad", un'interpretazione così delicata e, allo stesso tempo, così carica di intensità…

Come la O'Day riesca "ad affermarsi a dispetto e in virtù d'una voce eterodossa, fisicamente modesta, priva di qualità esplicite" (8).

Questo, del resto, è quello che intendo quando dico che nel jazz la "bella voce", almeno secondo i cliché classici di valutazione, è veramente l'ultima cosa da prendere in considerazione… ma ci sono svariati modi di cantare il jazz… e questo è semplicemente uno dei tanti!

Ma vediamo cosa dice la stessa Anita O'Day, a proposito della sua voce, nell'autobiografia ‘High Times Hard Times' (9).

"Ho sempre avuto una voce da niente. Il collo più piccolo del mondo" (10).

Volendo, inoltre, spiegare il perché del suo fraseggio secco e staccato e della sua incapacità di tenere a lungo nota e vibrato la O'Day, sempre nell'autobiografia ‘High Times Hard Times', "chiarisce che un medico distratto, asportandole, da bambina, le tonsille, le tagliò via anche l'ugola: ‘E così là in fondo non riesco a produrre alcun suono, perché non c'è niente che lo faccia vibrare. È questo il motivo per cui ho preso a cantare in crome e semicrome piuttosto che in semiminime. Invece di cantare «laaaaaa», canto «la-la-la-la-la-la-la-», per tenere la nota in movimento. La necessità spiega il mio stile" (11).

Per cui, a quanto dice la stessa O'Day, l'assenza dell'uso del vibrato che caratterizza il suo modo di cantare non è stata tanto la conseguenza di una propria scelta stilistica quanto una necessità dettata dal proprio corpo (12).

Will Friedwald, però, non concorda con questa tesi.

"Anita O'Day sostiene che un intervento sbagliato fatto da un medico distratto" l'abbia costretta a cantare usando frasi brevi, staccate e prive di vibrato che le hanno fatto guadagnare l'appellativo di ‘vo-cool'. "Ma il suo racconto, nel migliore dei casi, mi suona apocrifo"
(13).

Ed infatti l'assenza di vibrato rappresenta uno degli aspetti più distintivi dei coolsters (così come venivano chiamati gli esponenti del cool jazz) (14), di cui la O'Day viene considerata membro a tutti gli effetti (15).

Ma andiamo adesso "oltre la voce" e osserviamo come, attraverso queste sue sonorità, la O'Day riesca a raccontarsi in un modo così semplice e accattivante aprendoci le porte della sua interiorità e consentendoci di accedervi senza interporre ostacoli di nessun genere.

E non sono l'unica persona a pensarla in questo modo.

Vediamo, ad esempio, cosa dice, a tale proposito, Will Friedwald nel suo libro Jazz Singing: America's Great Voices From Bessie Smith To Bebop and Beyond.

"Nel 1946 'The Holliwood Note' dedicò un breve spazio alla vita di Anita O'Day. In esso si diceva: 'Anita è completamente vera. Dice tutto ciò che pensa, indossa tutto quello che le piace, si comporta nel modo che più le aggrada'. Un simile commento su Anita O'Day è stato fatto dozzine di volte, da chiunque l'abbia intervistata, da chiunque abbia mai avuto modo di parlare con lei. La stessa cosa accadeva quando cantava. Come Jules Feiffer una volta disse, tutti noi vorremmo lasciarci andare di più alla nostra creatività, ma nelle nostre teste ci sono editori e critici che si intromettono continuamente. In Anita O'Day non esistevano tali barriere ad ostacolare la sua espressività" (16).

Analizziamo adesso alcuni brani incisi il 2 aprile sempre del '58, cioè soltanto il giorno prima.

Siamo ancora in una situazione di orchestra, questa volta quella di Russ Garcia: ascoltiamola in quest'altra ballad.

My Funny Valentine
(R. Rodgers/L. Hart)
2 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

La voce sta indubbiamente meglio… ascoltiamo, soprattutto, i suoni da lei emessi nel finale del secondo chorus…

My Funny Valentine

è molto raro, almeno analizzando le registrazioni che ho avuto modo di ascoltare fino ad ora, che la O'Day emetta dei suoni così a piena voce! Riascoltando il brano con un po' più di senso critico è possibile, tuttavia, individuare alcuni difetti a livello dell'emissione vocale che, pur non intaccando, in alcun modo, la bellezza della sua interpretazione, anzi arricchendola, sia da un punto di vista estetico che comunicativo, potrebbero essere considerati come una possibile causa della maggiore presenza di "sintomi fonastenici" che abbiamo avuto modo di riscontrare nella voce della O'Day durante le incisioni del giorno successivo.

Nel caso di "My Funny Valentine", tuttavia, sempre a mio avviso, tali "deficit" tecnici vengono accettati, se non addirittura ricercati, in favore di un'esigenza stilistica che predilige un suono fermo, non vibrato, sommesso, preferibilmente "velato", a sonorità piene e ben timbrate (17). Le stesse note emesse nella parte finale del brano, cui accennavo precedentemente, come avremo modo di vedere, rappresentano, nella "storia delle sonorità" utilizzate da Anita O'Day, una rarità... le ritroveremo, infatti, soltanto in pochissime occasioni.

Ma su quali basi faccio un tale tipo di affermazioni?

Prima di cercare di dare una risposta a quest'ultimo interrogativo è, però, necessario riascoltare alcuni passaggi dell'interpretazione di "Fly Me To The Moon" registrata al Newport Jazz Festival del '58 che abbiamo già avuto modo di sentire nella lezione precedente.

Fly Me To The Moon
(Bart Howard)
7 luglio 1958
ALBUM: Tea for Two, MOON RECORDS: 1990;

Fly Me To The Moon 1
Fly Me To The Moon 2
Fly Me To The Moon 3

Ascoltando con attenzione possiamo rilevare che nella versione di "Fly Me To The Moon" registrata nel '58, "il grado globale di alterazione della voce cantata o di disodia", rispetto alla versione di "My Funny Valentine" registrata nell'aprile dello stesso anno, è indubbiamente maggiore. Così come è maggiore "il grado di astenia vocale (voce astenica)" percepibile. La voce, infatti, è palesemente più stanca… i suoni velati più accentuati e frequenti. In altre parole maggiore e, soprattutto, più costante è "il grado di fuga d'aria glottica udibile (voce soffiata o breathiness)" (18).

Quella che dai foniatri viene definita voce ‘soffiata' "suggerisce una riduzione della continenza glottica con tipi e gradi diversi di insufficienza adduttoria (mancata realizzazione di contatto glottico completo)"
(19).

Da qui la fuga d'aria glottica che è possibile percepire in quantità differente a seconda, appunto, del "tipo e grado di insufficienza adduttoria" (20).

Le cause che determinano la presenza di suoni soffiati possono essere di natura disfunzionale od organica. La voce soffiata può, tuttavia, anche essere prodotta volontariamente (21).

È importante, infatti, saper "differenziare ciò che può dipendere da una vera patologia vocale da ciò che deriva invece dal tipo di emissione adottata che è spesso legata allo stile e alla didattica appresa" (22).

Quindi, mentre nella versione di "Fly Me To The Moon" la voce così marcatamente velata può, a mio avviso, essere considerata come la conseguenza di uno stato generale di fonastenia (23), in "My Funny Valentine" il "sapore" dei suoni soffiati è leggermente diverso.

In questo caso, a mio avviso, la "voce soffiata" è la conseguenza di una scorretta gestione della tensione delle corde vocali anziché di un affaticamento vocale generale come nel caso di "Fly Me To The Moon".
Ma per il momento dobbiamo rimandare ogni tentativo di spiegazione ad una lezione successiva in quanto la comprensione della differenza tra una voce "astenica" e un suono soffiato emesso volontariamente o, comunque, sporadicamente è possibile soltanto se si conosce, almeno per sommi capi, l'anatomia e la fisiologia della laringe. Argomento, quest'ultimo, che mi propongo di affrontare nella prossima lezione.

Ritorniamo, quindi, ad Anita O'Day.

Nella versione del luglio '58 sono evidenti, anche, problemi sia di rifornimento che di gestione respiratoria. In conseguenza di tale deficit si accusa la necessità da parte di Anita O'Day di dover forzare la voce ovvero di dover "impegnare la muscolatura laringea estrinseca (‘stringere la gola')" "per poter ottenere la pressione sufficiente a guidare l'espirazione e a potenziare l'intensità" (24) della voce soprattutto in alcuni passaggi particolarmente critici.

Ancora una volta, però, mi viene da pensare che questa "incoordinazione pneumofonica" potrebbe essere, in "Fly Me To The Moon" determinata più da uno stato di stanchezza fisica generale che, semplicemente, da una errata gestione delle "prassie fono-articolatorie" o della "coordinazione pneumo-fonatoria" cosa che, invece, mi sembra di rilevare in "My Funny Valentine" dove la tipologia di emissione adottata sembra più in linea con i canoni estetici della O'Day e dove, inoltre, la presenza di sonorità decisamente più "timbrate" ci induce a pensare che quelle "clinicamente scorrette" siano, come dicevo all'inizio, se non ricercate quanto meno accettate.

A questo punto mi chiedo, questa "accettazione" da parte della O'Day, di un certo tipo di sonorità, è stata motivata da esigenze stilistiche
(25) oppure è stata una semplice conseguenza del fatto che la O'Day attribuisse tali "deficit vocali" ad un errato intervento alle tonsille da lei subito quando ancora bambina?
È possibile che questa sua convinzione le abbia impedito di riconoscere ed eventualmente superare tali "deficit tecnici"?
In altre parole, se Anita O'Day, non avesse avuto la convinzione che un certo tipo di sonorità le derivassero da un limite fisico anziché da una scorretta gestione della tecnica vocale, il "corso degli eventi" avrebbe potuto prendere una piega diversa?
Non possiamo saperlo!
Ad ogni modo è andata così!
Bisogna, tuttavia, riconoscere che, per quanto, in un certo qual modo, una simile convinzione possa aver svolto un ruolo non indifferente "nell'alterare" la salute vocale di Anita O'Day, non possiamo certo dire che essa abbia in qualche modo ostacolato la sua "arte"… anzi!

 Tuttavia per quanto sia vero che la storia non si fa con i "se" dobbiamo riconoscere come il suo percorso possa, talvolta, essere influenzato da fatti accidentali che inducono a prendere delle decisioni che spesso modificano, anche in modo decisivo, il "normale procedere degli eventi".
Oppure dobbiamo dare ragione a chi sostiene che "nulla accade per caso"?
E che, quindi, quegli "eventi accidentali" sono molto meno soggetti alle leggi del caso di quello che pensiamo?

Personalmente considero l'argomento di particolare interesse in quanto concordo con coloro che ritengono che la scrittura della storia non debba essere intesa soltanto come lo scrivere "sugli eventi del passato" ma, soprattutto, come una "rilettura del passato" allo scopo di ricavarne insegnamenti per il presente. "Il presente" dice Adriano Zamperini "respira attraverso la sua storia".

Comprendere la giustezza o meno di una "scelta" e fino a che punto si possa sostenere che il "libero arbitrio" sia semplicemente un'illusione potrebbe essere di fondamentale importanza per il consolidarsi di un' "etica sociale della responsabilità".

Essendo, però, l'argomento di non semplice trattazione ritengo che, per il momento, dobbiamo abbandonarlo con la speranza di poterlo riprendere in seguito (26).


Ritorniamo, quindi, ad Anita O'Day.

Nel brano che segue sentiamo che, in diversi punti, è presente un po' di raucedine mentre in altri la voce risulta essere un tantino affaticata anche se, nel complesso, non riscontriamo alterazioni particolarmente evidenti.

La raucedine o voce rauca (roughness) rientra in quella categoria di suoni che la foniatria ha etichettato come "voce sporca" e che risultano caratterizzati da comparsa di "rumore tra le armoniche"
(27).
Se la presenza di rumore è costante ed è riscontrabile alle alte frequenze (oltre i 2500 Hz) allora parliamo di "voce soffiata".
Quando la presenza del rumore costante è alle basse frequenze (sotto i 2500 Hz) allora parliamo di "raucedine"
(28).
Anche per quanto riguarda questo argomento rimando ad una lezione successiva per una spiegazione più approfondita.

What's Your Story, Morning Glory
(M.L.Williams/J.Lawrence/P.Webster)
2 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

Ascoltiamo adesso quest'altro brano. La data e la situazione sono le stesse dei due brani ascoltati precedentemente ma l'effetto è indubbiamente diverso.

A questo punto bisogna tener presente che quando si analizzano più brani eseguiti in uno stesso concerto o incisi in una stessa seduta di registrazione è importante valutare l'ordine di esecuzione dei brani.

È chiaro che nei brani eseguiti/registrati per ultimo, la voce risulterà più stanca soprattutto se chi canta non possiede una buona tecnica o se si canta in "cattività" (29).

Ascoltiamo, dunque, il brano.

Sing, Sing, Sing (With A Swing)
(Louis Prima)
2 aprile 1958
ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990

La voce, in questo brano, a differenza dei due precedenti, è quasi perfetta…
Anche se è sempre percepibile l'atteggiamento da parte della O'Day ad usare una modalità di voce piuttosto pressata.

Ancora una volta mi chiedo se i sintomi fonastenici così "palesi" che abbiamo riscontrato nella voce della O'Day durante il Newport Jazz Festival del luglio '58 non siano la conseguenza di una tecnica poco curata ed in particolare di questo suo atteggiamento a cantare con una modalità di voce piuttosto pressata.

Ma continuiamo il nostro viaggio a ritroso… e lasciamo che sia stesso la voce della O'Day a confutare o a confermare questa mia ipotesi!

Ascoltiamo adesso parte di questo "Old Devil Moon" e parte del brano successivo. Siamo nel '57 e precisamente il 31 gennaio, negli Universal Studios di Chicago, con piano, chitarra, basso e batteria.

Old Devil Moon
(Arthur Lane/Yip Harburg)
31 gennaio 1957
ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999

Love Me or Leave Me
(Walter Donaldson/Gus Kahn)
31 gennaio 1957
ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999

Anche in questa occasione possiamo individuare nella voce di Anita O'Day la presenza di sintomi fonastenici piuttosto marcati.
Quindi lo stato di disodia così accentuato che abbiamo riscontrato nel concerto del '58 non costituisce un episodio isolato all'interno del percorso artistico della O'Day!

Andiamo adesso ancora un po' più in dietro nel tempo…Retrocediamo di circa un mese.

Sweet Georgia Brown
(Kenneth Casey/Maceo Pinkard)
20 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Questa volta siamo negli studi della Capitol, a Hollywood, con l'orchestra di Buddy Bregman… a parte quella voce leggermente velata e quel po' di raucedine che, come abbiamo visto, eccetto che in rarissimi momenti, caratterizzano il modo di cantare di Anita O'Day, possiamo dire che, in questa particolare occasione, la voce della O'Day non presenti alterazioni di particolare rilievo… anche se, ascoltando con un po' più di attenzione, possiamo prendere atto di come la O'Day sopperisca ad evidenti carenze di natura tecnica con uno sforzo vocale non indifferente.

Secondo quanto sostiene il Le Huche: "la prima cosa che si fa inconsciamente quando la voce non ‘suona bene' per qualsiasi ragione è di forzarla affinché ‘esca' ugualmente. Tale sforzo vocale si traduce forse all'inizio con un accrescimento momentaneo di efficacia, ma al prezzo di uno sforzo ‘smisurato' che sfocia in una progressiva diminuzione di rendimento (cioè del rapporto efficacia/dispendio d'energia)" (30).

In altre parole "questo stato conduce ben presto ad una riduzione della produzione vocale. Sotto l'effetto di fattori favorenti il soggetto può essere condotto a continuare ad accrescere il proprio sforzo, proporzionalmente all'abbassamento del rendimento vocale. Meno facilmente si produce la propria voce, più egli si sforza… e più si sforza, meno diventa facile produrre la voce. È il classico circolo vizioso di sforzo vocale" (31).

Tale comportamento di sforzo vocale "finisce per divenire un'abitudine e conduce a distorsioni durature del meccanismo della produzione vocale che alterano in particolare la meccanica della voce ‘proiettata'" (32), determinando "un cambiamento delle qualità timbriche (voce aspra, tesa, pressata)" nonché "alterazioni delle dinamiche di frequenza (voce calante o crescente) e nelle caratteristiche del vibrato (stretto, ‘caprino', per rigidità del collo-mandibola, o ampio, ‘ballante' per tecniche di eccessivo affondo)" (33).

A questo punto rimando l'attenzione del lettore ad un'altra interpretazione di ‘Sweet Georgia Brown' di cui su internet è disponibile un breve filmato tratto dal lungometraggio Jazz On A Summer's Day (Newport Jazz Festival del '58) (34).

Tale filmato ci dà la possibilità di osservare quanto riportiamo qui di seguito.

Un tale comportamento di sforzo vocale si traduce, inoltre, a livello posturale, in una "perdita della verticalizzazione (flessione della porzione toracica della colonna vertebrale)".

"Per compensazione, il soggetto tende a verticalizzare la testa flettendo il collo e spostando quindi il mento in avanti" (35).

Ne consegue una "iperlordosi cervicale" che "altera lo stato delle curvature fisiologiche a livello cervicale" favorendo "la presenza di contratture ai muscoli del collo" (36).

"Un tale tipo di tensione non tarda a diffondersi alla muscolatura del viso" (37) determinando la "presenza di discinesie al viso ed un eccesso della mimica facciale" (38).

L'infossamento toracico e la protrusione del mento provocano uno stiramento della muscolatura che collega il mascellare inferiore al laringe (muscoli sovraioidei) e il laringe al manubrio sternale (muscoli sottoioidei)" (39).

Le tensioni possono, inoltre, diffondersi anche agli arti superiori causando generalmente "un innalzamento o una antero- e postero- rotazione delle spalle" (40)… "e quindi alla globalità del corpo" (41).

"Esiste una interazione profonda tra modalità/necessità performative e postura: prima di tutto le cavità di risonanza ricevono un forte condizionamento da alterazioni posturali che limitino la realizzazione di una corretta proiezione vocale (richiedendo compensazioni non ergonomiche per recuperare il "focus" vocale).

In secondo luogo, gli squilibri posturali possono limitare la gestione della laringe (ad esempio la sua posizione nel collo, così come l'equilibrio di utilizzo dei muscoli laringei intrinseci) favorendo un ipertono fonatorio di compenso, con alterazioni del vibrato e difficoltà nelle transizioni tra i registri vocali.

I disordini posturali influiscono poi negativamente anche sulla respirazione costo-diaframmatica, specie per l'equilibrio dinamico tra appoggio e sostegno del fiato, ma anche in termini di controllo della durata fonatoria" (42).

"L'alterazione vocale è estremamente variabile a seconda dei casi, dei momenti, dei tipi d'atto vocale in corso" (43).

"Essa può esistere senza alcuna problematica della mucosa delle pliche vocali" (44).

Sia i suoni velati che la raucedine che caratterizzano la voce della O'Day non necessariamente, quindi, implicano la presenza di alterazioni di natura organica.

A proposito di raucedine, "nel 1887, Frankel stabilì la nozione di ‘mogifonia' che egli descrisse come una ‘raucedine senza lesione visibile'. Si tratta di un'alterazione del timbro della voce in soggetti in cui, stranamente, l'esame laringoscopico non rileva alcuna lesione. In quest'epoca era difficile comprendere come la voce potesse essere alterata malgrado l'integrità dell'organo vocale. Flateau e Gitzman, nel 1906", tuttavia, spiegarono come la voce potesse andare incontro a delle alterazioni anche semplicemente in conseguenza di "'un‘affaticabilità anormale dell'organo vocale', da cui il nome di fonastenia che diedero all'affezione.

Nel 1935 Tarneaud dimostrò che la disorganizzazione del gesto fonatorio è suscettibile di provocare un'alterazione vocale. Questa disorganizzazione risulta soprattutto, per Tarneaud, da ciò che egli chiama una ‘disorganizzazione pneumofonica' cioè un difetto di coordinazione fra il comportamento del soffio da una parte, e quello del vibratore (laringe) dall'altra.

Egli mostra inoltre che tale ‘disfunzione' può sfociare, tramite il meccanismo dello sforzo vocale, ad una lesione organica del laringe" (45).

Un tale "comportamento da sforzo" comporterà infatti "un incremento delle forze di contatto del bordo libero delle corde vocali" con "fenomeni di attrito intercordale" (46).

"In tal modo una turba puramente funzionale all'inizio può provocare un'alterazione della mucosa laringea, quale un nodulo, un polipo, ecc." (47).

Tuttavia Le Huche aggiunge che "nei cantanti di musica leggera l'esigenza di qualità è in questo caso meno rilevante. La voce qualche volta non ha una grande importanza; ciò che conta sono la ricchezza e la forza del contatto con il pubblico. La tecnica vocale spesso è molto deficitaria, gli errori di tecnica sono spesso enormi. Il comportamento di sforzo è spesso notevole. Alcune lesioni o anomalie scatenano a volte delle particolarità timbriche che rappresentano, addirittura, un vantaggio per il cantante (48).

Ascoltiamo qualche altro brano registrato nella medesima situazione…

Stompin' at the Savoy
(Benny Goodman/Edgar Sampson/Chick Webb/Andy Razaf)
20 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Stompin' at the Savoy 1 
Stompin' at the Savoy 1 

La voce della O'Day risulta essere sempre piuttosto affaticata.

Ascoltiamola ancora in un altro brano… lascio a voi ogni commento che sono sicura siete oramai in grado di fare da soli…

I Never Had a Canche
(Irving Berlin)
20 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Ascoltiamo ancora un altro brano. Stessa situazione ma il giorno precedente…

Stars Fell on Alabama
(Frank Perkins/Mitchell Parish)
19 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

"Alternate take" (49):

Stars Fell on Alabama
(Frank Perkins/Mitchell Parish)
19 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Ancora il giorno prima, 18 dicembre '56… la voce sembra buona… eccetto che in qualche passaggio…
ma, anche in questo caso, le "irregolarità" sembrano più dovute ad una cattiva tecnica (errata gestione delle risonanze, delle tensioni muscolari e della meccanica respiratoria) che alla presenza di una qualche forma di patologia.

Don't Be That Way
(Benny Goodman/Edgar Sampson/Mitchell Parish)
18 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Ascoltiamo qualche altro brano…

Let's Face the Music and Dance
(Irving Berlin)
18 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

I Used to Be Color Blind
(Irving Berlin)
18 dicembre 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Siamo sempre nel '56… questa volta il 23 febbraio…La vediamo ancora una volta a Los Angeles con l'orchestra di Buddy Bregman….

The Getaway and the Chase
(Biff Jones/Charles Meyer)
23 febbraio 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

La voce è buona… ma molto "pressata" come tutte le volte in cui abbiamo trovato la O'Day in "gran forma"! Sentiamo, ad esempio, quanta "energia in eccesso" la O'Day mette nelle note conclusive del brano.

Ascoltiamo adesso quest'altro brano…

We Laughed at Love
(composer unknown)
23 febbraio 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

We Laughed at Love 1
We Laughed at Love 2

È possibile osservare l'assenza di particolari virtuosismi vocali… il tutto è calmo, rilassato, cool appunto!

A tale proposito mi viene in mente quanto puntualizzato da Gian Carlo Roncaglia a proposito del cool jazz. "Si è equivocato per anni sul termine, cool, trasformandolo in ‘freddo', con la traduzione dell'inglese ‘cold'; nel gergo americano, fra l'altro, ‘to keep cool' significa, letteralmente, ‘rimanere calmi'" (50).

"Essere cool" non significa, quindi, tendere al cerebrale o al totale distacco emotivo dal brano che si sta suonando o cantando, come molti, invece, sostengono (51).

Ma a proposito di emozioni…

"Ognuno sa che, se la voce può esprimere l'emozione, l'emozione può a volte turbare la voce".

Tuttavia per quanto sia "vero che l'anamnesi rivela sovente l'esistenza di fattori psicologici all'origine della disfonia, la tendenza (frequente) di cercare l'unica spiegazione di ogni disfonia in un problema di ordine psicologico, rischia di portare a dispersioni.

A volte è la turba vocale che provoca delle problematiche psicologiche" (52).

Ma l'emozione non è solo un ostacolo… l'emozione può diventare anche un veicolo attraverso il quale si può trasmettere, comunicare…

Nel brano che abbiamo appena ascoltato, ad esempio, la O'Day, attraverso le sue timbriche calde e rilassate, mi comunica, facendomi rivivere in prima persona, quel piacere che si prova negli attimi magici in cui si canta. Quando si dimenticano tutti i problemi e si prova un senso di dolcezza e di "temporanea" serenità.

Quei momenti fantastici in cui, attraverso la propria voce, si entra in contatto con la propria intimità e quella di coloro che ci "Ascoltano".

La voce così come gli occhi è una delle così dette porte di accesso a quello che di più vero esiste in noi… con la voce, con gli occhi… ma con il corpo nel suo complesso non si può mentire!

La grandezza di un artista, dunque, non sta, a mio avviso, nel possedere una bella voce così come, purtroppo, molti pensano ma nella capacità di usare la propria voce, come un tramite che permetta a chi ascolta di entrare "in contatto" con quello che l'artista è nel momento in cui produce l'opera… con la sua verità di quel momento!

In linea con quanto dice E. Fromm, la vera arte non sta nell'avere, nel possedere… ma nel lasciare che il proprio essere si manifesti così come è in quel momento specifico (53).

Questo è quello che io "sento" quando ascolto questa versione di "We Laughed at Love"…

… oltre, chiaramente, alla ‘raucedine' e ai ‘suoni velati'… ma andiamo avanti!
(54).

I'm Not Lonely
(composer unknown)
23 febbraio 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

I'm Not Lonely 1
I'm Not Lonely 2

Anche in questo caso è evidente l'assenza di tecnica. La stessa cosa la riscontriamo nel brano seguente.

Your Picture's Hanging Crooked on the Wall
(composer unknown)
23 febbraio 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

La registrazione che segue è stata fatta, invece, il 12 febbraio sempre del '56. In questo caso la O'Day canta con l'orchestra di Gene Krupa al Fine Sound di New York City.
Il brano è "Let Me Off Uptown" dove vediamo la O'Day cimentarsi in "divertenti e briosi dialoghi con l'altra vedette dell'orchestra, il trombettista di colore Roy Edlridge", testimonianza "d'un già felice connubio tra jazz e umorismo" che costituisce, da sempre, una caratteristica stilistica della cantante
(55).

Let Me Off Uptown
(Earl Bostic/Redd Evans)
12 febbraio 1956
ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999

Let Me Off Uptown 1
Let Me Off Uptown 2

La voce, tuttavia, non sembra essere per niente a posto... si accusa una fatica fisica generale. Stessa cosa si può dire per Roy Eldridge (tromba e voce).

Ma a proposito di swing… sentite come sia Roy Eldridge che la O'Day "swingano" anche quando parlano… è il caso di dire che cantano come parlano.

Io credo che uno dei motivi per cui il jazz sia nato in America è proprio perché la lingua americana si presta a questo genere musicale. Si potrebbe dire che è di per sé "swingante"!

A questo punto sarebbe interessante capire che tipo di relazione passa tra un particolare genere musicale e l'idioma della popolazione al cui interno tale genere musicale si è originato.
In particolare in rapporto alle inflessioni tipiche di questo idioma o all'intonazione intesa come "modulazione della voce nella pronuncia di una parola"
(56).
In altre parole la relazione che intercorre tra "l'idioma" di una determinata popolazione e il suo modo di pensare gli "accenti" della musica.
Cercare di capire, inoltre, se un particolare genere musicale possa andare incontro a delle variazioni anche in relazione al mutare della cadenza (intesa qui come inflessione della voce parlata) dei diversi musicisti che lo "suonano/cantano"... "pensano"!

Ascoltiamola adesso in questa versione di "The Rock'n Roll Waltz". Il brano è stato registrato il 4 gennaio del '56 sempre con l'orchestra di Benny Bregman.

The Rock'n' Roll Waltz
(Shorty Allen/Dick Ware)
4 gennaio 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

The Rock'n' Roll Waltz 1
The Rock'n' Roll Waltz 1

La voce sembra essere più che buona… oserei dire quasi irriconoscibile!

Eppure dietro questa apparente "potenza vocale" si cela uno di quelli che ritengo essere tra i più pericolosi difetti della voce cantata.
I foniatri la definiscono "ipercinesia fonatoria o senso di qualità pressata della voce".

Il termine "voce pressata", tuttavia, non ci è nuovo, lo abbiamo già usato in diverse occasioni… ogni qual volta abbiamo incontrato un'Anita O'Day un po' più in energia!

L'ipercinesia fonatoria, così come la voce soffiata e la raucedine, "rientra nelle alterazioni della qualità vocale a carico prevalentemente della sorgente laringea".
Nel'ipercinesia fonatoria, infatti, si riscontra un aumento delle resistenze glottiche per incremento del tono muscolare sia a livello dei muscoli intrinseci che di quelli estrinseci della laringe (oltre che di quelli del collo e delle spalle), con "decisivo aumento del tempo di contatto glottico e interessamento delle false corde"
(57).

Personalmente, ritengo che questo comportamento di "ipercinesia fonatoria" sia da ritenersi una delle cause principali che hanno determinato il manifestarsi dei sintomi fonastenici che, in modo più o meno accentuato, abbiamo riscontrato, in più di un'occasione, nelle voce di Anita O'Day ed in particolar modo durante il Newport Jazz Festival del 1958.

È inutile puntualizzare che anche altri fattori vi hanno contribuito: la vita sregolata, l'alcool, la droga, lo stress che comporta il "mestiere del cantante", ad esempio, non avranno di certo attraversato la vita della O'Day senza lasciare tracce sul suo corpo e, quindi, sulle sue "corde vocali". Di questo, tuttavia, ne parleremo in modo più dettagliato nella III parte della lezione dedicata ad Anita O'Day.

Prima di procedere ritengo, però, necessario citare ancora Franco Fussi in particolare quando scrive che "L'atteggiamento fonatorio ipercinetico, di ‘spinta' tra le corde che genera fonastenia, è comune" a quei cantanti "che, salendo la gamma tonale, non adeguano opportunamente le cavità di risonanza per realizzare quello che i Maestri chiamano il ‘giro' della voce, o che rinforzano il suono per incremento dell'attività muscolare alla sorgente, in altre parole ‘spingono' o forzano la voce. Il suono viene così descritto come pressato, teso, duro schiacciato. Questo atteggiamento è comune soprattutto" in quei cantanti "che equivocano il concetto di portata vocale con l'aumento delle forze muscolari in gioco e che non hanno ancora individuato gli atteggiamenti adeguati dei risuonatori per ottenere suoni del registro pieno con consonanza di testa: sono quei cantanti che hanno imparato a cantar sempre forte, si lusingano anche del bel colore, ma poi nel passare ai pianissimi e alle mezze voci ‘stringono' il suono o lo ‘sbiancano' perché non riescono a mantenere le ‘posizioni' in maschera"
(58).

Ma, come nel caso della voce soffiata o della raucedine, per poter comprendere a fondo l'eziologia di questa tipologia di suono è necessario prima di tutto studiare l'anatomia e la fisiologia della laringe per cui, per il momento, ci limitiamo a riconoscere acusticamente il fenomeno rimandandone lo studio più approfondito ad uno stadio successivo.

Torniamo, adesso, al nostro brano.
Oltre all'ipercinesia fonatoria notiamo anche delle difficoltà da parte della O'Day nella gestione delle modalità di rifornimento d'aria in particolare in relazione alle pause inspiratorie.
Ma anche per quanto riguarda questo argomento ne rimando una trattazione più approfondita ad un momento successivo.

Continuiamo, dunque, il nostro lavoro di "ear training" della voce... ascoltiamo il seguente brano.

I'm With You
(composer unknown)
4 gennaio 1956
ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992

Passiamo adesso al 1955, i due brani che seguono sono stati registrati in data 8 dicembre '55 negli studi della Capitol a Holliwood…con la Buddy Bregman orchestra…

Honeysuckle Rose
(Fats Waller/Andy Razaf)
8 dicembre 1955
ALBUM: Anita O'Day: finest hour, VERVE: 2000

Honeysuckle Rose 1
Honeysuckle Rose 2

Anche qui la voce non risulta essere particolarmente a posto.

You're The Top
(Cole Porter)
8 dicembre 1955
ALBUM: Anita O'Day Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991

Stessa cosa del brano precedente.

Quella che segue è, invece, una registrazione radiofonica.

Anita's Blues
(Anita O'Day)
28 giugno 1954
ALBUM: Anita O'Day: finest hour, VERVE: 2000

Anita's Blues 1

Nel "I Didn't Know What Time It Was" che stiamo per ascoltare la voce risulta essere abbastanza buona.

I Didn't Know What Time It Was
(Richard Rodgers/Lorenz Hart)
28 giugno 1954
ALBUM: "We'll Have Manhattan", The Rodgers & Hart Songbook, VERVE: 1993;

I Didn't Know What Time It Was 1
I Didn't Know What Time It Was 2

Anche qui la voce risulta essere abbastanza buona.

Just One Of Those Things
(Cole Porter)
aprile 1954
ALBUM: Anita O'Day Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991

Lo stesso dicasi per il brano che segue.

Love For Sale
(Cole Porter)
22 gennaio 1952
ALBUM: Anita O'Day Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991

Anche in questa interpretazione di "Love For Sale", come abbiamo già riscontrato in diverse occasioni ed in particolare nella versione di "The Rock'n' Roll Waltz" che abbiamo ascoltato precedentemente notiamo delle difficoltà, da parte di Anita O'Day, nella gestione delle modalità di rifornimento d'aria. Anche qui soprattutto in relazione alle pause inspiratorie.

Nei due brani successivi non si accusano alterazioni particolarmente evidenti.

Malaguena
(Lecuona)
1947
ALBUM: I Told Ya I Love Ya, Now Get Out, ZILLION: 1991 (1984);

How high the moon
(Hamilton/Lewis)
1947
ALBUM: I Told Ya I Love Ya, Now Get Out, ZILLION: 1991 (1984);

E il materiale a mia disposizione si esaurisce qui (59)… nella terza parte della lezione dedicata ad Anita O'Day, invece, come ho già accennato nell'introduzione, mi propongo di fornirvi degli esempi relativi a registrazioni fatte dalla O'Day dal '58 in avanti al fine di osservare se la pronunciata fonastenia che abbiamo riscontrato nella voce di Anita O'Day durante il Newport Jazz Festival del '58 abbia influenzato, in qualche modo, la produzione artistica della cantante degli anni successivi.

Quindi ricapitolando…

Diciamo che, pur conservando una voce tendenzialmente velata e priva di qualunque forma di vibrato, caratteristica quest'ultima che, come abbiamo più volte detto, la O'Day fa risalire ad una operazione alle tonsille subita da bambina in cui per errore le asportarono anche "l'ugola" (60), è nel '57 che la O'Day comincia a manifestare dei fastidi un po' più consistenti, a livello vocale, che culmineranno nella disodia del '58.

Fastidi che è evidente sono la conseguenza di un uso più istintivo che tecnico della voce e che, va puntualizzato, sono anche da attribuire ad uno stato psico-fisico tutt'altro che 'favorevole' dovuto non solo allo stress che "il mestiere del cantante" (61) comporta ma anche, se non prevalentemente, all'uso di superalcolici e di stupefacenti di cui la O'Day faceva già uso abbondante negli anni fino ad ora presi in esame.

La droga, infatti, prima leggera e poi pesante, metterà a repentaglio non solo la "tranquillità" della cantante in conseguenza dei "frequenti infortuni con la polizia" (62) che la costringeranno "ai margini della legge per circa un ventennio" (63) quanto anche la sua stessa vita. Verso la fine degli anni '60 la O'Day verrà, infatti, sfiorata dalla morte per overdose.

Alla fine, tuttavia, la O'Day riuscirà a disintossicarsi (64).

Quali ripercussioni una tale esperienza possa aver avuto sulla voce di Anita O'Day è il tema che mi propongo di sviluppare nella terza parte del mio breve excursus dedicato alla "voce" di questa grande artista.

Adesso, però, ritengo sia arrivato il momento di staccarci un attimo da Anita O'Day per avventurarci nell'esplorazione di uno degli organi, a mio avviso, più affascinanti di tutto l'apparato fonatorio: mi riferisco alla laringe, l'organo "generatore del suono"!

A presto Sandra Evangelisti.

NOTE:
(*) Le espressioni "ascolto funzionale" e "ascolto estetico" sono state prese da Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, volume III, 2005, p. 34; mentre, invece, l'espressione "la necessità spiega lo stile" è della stessa Anita O'Day, vedi Luciano Federighi, Cantare il jazz: L'universo vocale afroamericano, Bari: La Terza & Figli, 1986, p. 94;
(**) M. Oakeshott, Experience and its Modes, 1933, p. 99, citato in: Edward H. Carr, Sei lezioni sulla storia. La Rivoluzione Russa, Torino: Giulio Einaudi Editore, 1980, p. 27;

(1) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 34;
(2) ibid., p. 34;
(3) "Le grandi voci", in I Maestri del Jazz: La musica, la storia, i protagonisti, Novara: Istituto Geografico De Agostini, 1990 (1988), volume II, pp. 114-115;
(4) ibid., p. 115;
(5) Luciano Federighi, op.cit., p. 93;
(6) Marco Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, volume II, 2003, p. 159;
(7) Luciano Federighi, op.cit., p. 94;
(8) ibid., p. 94;
(9) www.anitaoday.com/homepage.html
(10) Bruce Crowther, Mike Pinfold, Singing Jazz: The Singers and Their Styles, San Francisco: Miller Freeman Books, 1997, p.
124;
(11) Luciano Federighi, op.cit., p. 94;
(12) Bruce Crowther, Mike Pinfold, op.cit., p.
124;
(13) Will Friedwald, Jazz Singing: America's Great Voices From Bessie Smith To Bebop and Beyond, New York: Da Capo Press, 1996 (1990), p. 281;
(14) Arrigo Polillo, Jazz: La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1997 (1975), p. 216;
(15) Will Friedwald, op.cit., p. 281;
(16) ibid., pp. 283-284;
(17) "Che in omaggio alla nuova estetica non facevano uso del vibrato", " al servizio di un fraseggio lieve e rilassato ispirato a quello di Lester Young", "un suono altrettanto terso e delicato, cool, appunto", Arrigo Polillo, op.cit., pp. 217-218; "con la loro predilezione per le linee melodiche tenui ed eleganti, per i colori scuri e le sonorità spente, senza vibrato", ibid. p. 225;
(18) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., pp. 41-42;
(19) ibid., p. 47;
(20) ibid., p. 47;
(21) ibid., p. 53;
(22) ibid., pp. 57-58;
(23) vedi quanto è stato detto in proposito nella lezione precedente;
(24) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 41;
(25) Non dimentichiamo che Anita O'Day, indipendentemente dal fatto che lei si riconosca o meno un'esponente del "cool jazz", ha lavorato con le orchestre di Gene Krupa e di Stan Kenton, solo per citarne alcuni, i quali avranno di certo contribuito, non poco, alla formazione del "gusto estetico" della cantante, Luciano Federighi, op.cit., pp. 94-95, vedi anche: Livio Cerri, Il mondo del jazz, Pisa: Nistri-Lischi Editori, 1958, p. 450;
(26) Anche per quanto riguarda le informazioni bibliografiche ritengo più opportuno rimandare il tutto a quando tratteremo l'argomento più nei dettagli. Mi limito, per il momento, a segnalare il testo di Adriano Zamperini, Psicologia sociale della responsabilità, Torino: UTET Libreria, 1998, pp. 305 e quello di Hans Jonas, Il principio responsabilità: Un'etica per la civiltà tecnologica, Torino: Giulio Einaudi editore, 1990 (1979), pp. 291. Inoltre per quanto riguarda, in modo più specifico, il principio del "libero artbitrio" rimando alla lettura dell'articolo di Gerhard Roth, "Sincronia nella rete dei neuroni", Mente & Cervello, Milano: Le Scienze, I (gennaio/febbraio) 2003, pp. 10-19.
(27) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 48;
(28) ibid., p. 53;
(29) Pensiamo ad esempio al fumo nei locali o al cantare all'aperto, oppure ancora alle grandi orchestre che "tendono a sommergere con la loro prestanza sonora", Luciano Federighi, op.cit., p. 96; Marco Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume II, 2003, pp. 159-160;
(30) François Le Huche, André Allali, La voce, vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, Milano: Masson, 1994 (1990), p. 53;
(31) ibid., p. 53;
(32) ibid., p. 53;
(33) Franco Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, 2000, p. 240;
(34) http://www.anitaoday.com/Performance.html
(35) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55;
(36) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 37;
(37) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55;
(38) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 36;
(39) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55; vedi anche François Le Huche, André Allali, La voce, vol. 1: Anatomia e fisiologia degli organi della voce e della parola, Milano: Masson, 1993 (1991), p. 100;
(40) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 37;
(41) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55;
(42) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., pp. 37-38;
(43) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 57;
(44) ibid., p. 57;
(45) ibid., p. 50;
(46) Franco Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 240;
(47) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 50;
(48) ibid., p. 137; vedi anche quanto detto, a tale proposito, dal Podda e da me citato nella lezione precedente;
(49) Con il termine "Take" ci si riferisce ad un'unica esecuzione registrata senza interruzioni sia che si tratti di una registrazione completa che di una registrazione parziale. Ognuno di questi brani prende il nome di "first take", "second take" etc. Per "alternative take" o "alternate take" s'intende una registrazione usata in alternativa ad un particolare "take", Barry Kernfeld (a cura di), The New Grove Dictionary of Jazz, London: Macmillan Press Limited, 1988, vol. II, pp. 516-517;
(50) Gian Carlo Roncaglia, Il jazz e il suo mondo, Torino: Giulio Einaudi editore, 1998, p. 234;
(51) Mark G. Gridley, "Cool Jazz", Barry Kernfeld (a cura di), The New Grove Dictionary of Jazz, London: Macmillan Press Limited, 1988, vol. I, pp. 244-245; "History of Jazz, part 5: Cool Jazz", Jazzitude, http://www.jazzitude.com/histcool.htm; Luciano Federighi, op.cit., p. 226;
(52) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, pp. 52-53;
(53) Erich Fromm, Avere o essere?, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1979 (1976), pp. 299;
(54) Si tratta di empatia o di semplice proiezione? A tale proposito vedi: David M. Berger, L'empatia clinica, Roma: Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, 1989 (1987), pp. 253 e Alain Besançon, Storia e psicoanalisi, Napoli: Guida Editori, 1975, pp. 211;
(55) Secondo quanto sostiene Luciano Federighi è da Martha Raye "la brava cantante e clown hollywoodiana", indicata, tra l'altro, come modello dalla stessa Anita O'Day, che la O'Day erediterà quello humor che "risulterà determinante per l'equilibrio della sua immagine stilistica", Luciano Federighi, op.cit., pp. 93-95;
(56) Nicola Zingarelli, Il nuovo Zingarelli: vocabolario della lingua italiana, Bologna: Nicola Zanichelli, 1983, XI edizione;
(57) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 47;
(58) Franco Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 240;
(59) In realtà il materiale da me analizzato per preparare questa lezione è di gran lunga maggiore ma ho dovuto "fare alcuni tagli" per non rendere la lezione troppo pesante! Rimando, tuttavia, alla discografia e alla bibliografia generale per un ulteriore approfondimento.
Rimando, inoltre, alla pagina http://www.anitaoday.com/homepage.html per la consultazione di altro materiale discografico;
(60) Luciano Federighi, op.cit., p. 94;
(61) Franco Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 237;
(62) Luciano Federighi, op.cit., p. 95;
(63) ibid., p. 93;
(64) ibid., p. 96;







Le altre lezioni:
07/04/2007

LEZIONI (voce): Rimaniamo nella pratica…Unisono o non unisono?!? (Sandra Evangelisti)

12/02/2006

LEZIONI (voce): La voce nel jazz: tra fisiologia e patologia. Anita O'Day - Prima Parte. (Sandra Evangelisti)

29/10/2005

LEZIONI (voce): Nuovo corso dal titolo "L'interpretazione nel jazz: tra agogica, timbriche e dinamiche" (Sandra Evangelisti)








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Data pubblicazione: 27/05/2006

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