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La voce nel jazz: tra fisiologia e patologia.
 Anita O'Day - Prima Parte
di Sandra Evangelisti
evasama@tin.it

"I confini sono i posti migliori per acquisire conoscenza"
Paul Tillich.

Come dicevo nell'introduzione a questo ciclo di lezioni "sull'interpretazione nel jazz" uno degli aspetti della vocalità jazzistica che, da subito, ha attratto in modo particolare la mia attenzione è stato e continua ad essere il tipo di sonorità, così caratteristico, utilizzato dalle grandi interpreti del passato.

Il lavoro che ho intenzione di fare in queste prime lezioni sarà, dunque, quello di rintracciare queste sonorità e di cercare di capire quando esse possano essere considerate il risultato di una "meditata" ricerca stilistica o quando, invece, devono essere valutate semplicemente come la conseguenza di una serie di "errori di percorso".

Non sono una foniatra né tanto meno una logopedista per cui mi limiterò a richiamare l'attenzione di chi legge su alcuni punti che, a mio avviso, meritano di essere presi in considerazione e a porre una serie di quesiti cui spero qualcuno più esperto di me possa dare, prima o poi, una risposta… al limite, perché no, proprio su jazzitalia inserendo il proprio contributo a questa pagina attraverso il link "inserisci un commento".

Iniziamo, dunque, il nostro viaggio nel mondo delle sonorità vocali del jazz partendo dall'analisi della voce di Anita O'Day.

Perché Anita O'Day?

Perché in molti momenti della sua esperienza artistica Anita O'Day presenta "una voce velata, con fuga d'aria glottica e qualità stimbrata" che, a mio avviso, non è possibile far risalire ad una personale ricerca stilistica ma che risulta, invece, essere la conseguenza di uno stato di evidente affaticamento vocale che è molto più probabile mettere, "in relazione a fattori d'errato o eccessivo utilizzo della voce: errato per carenze tecniche vocali" ed "eccessivo, in termini di durata o frequenza delle performance" (1).
Tuttavia "alla sua origine possono esservi influenze legate anche a tutto il fardello di problematiche che fanno della strada dell'artista una strada forse di gloria, ma sicuramente anche di sofferenza" (2).

Il modo in cui mi propongo di lavorare è il seguente:
Nella prima parte della lezione ho intenzione di analizzare alcuni brani tratti da una registrazione dal vivo fatta nel '58 al Newport Jazz Festival dove la voce di Anita O'Day risulta essere particolarmente affaticata.

Nella seconda parte del lavoro, a partire da tale registrazione, ho intenzione, quindi, di procedere a ritroso nell'analisi dei brani incisi dalla cantante, per cercare di rintracciare, se possibile, le origini di questo marcato "affaticamento vocale".

Nella terza parte della lezione ho intenzione, infine, sempre a partire dalla registrazione fatta durante il "Newport Jazz Festival", di andare avanti negli anni per vedere quali ripercussioni ha avuto sulla vita artistica di Anita O'Day questo momento di pronunciata fonastenia.

Iniziamo, dunque, con l'ascoltare parte di questa interessante interpretazione che Anita O'Day fa del brano Fly Me To The Moon;

Fly Me To The Moon
(Bart Howard)

ARTISTA: Anita O'Day;
ANNO: July 7, 1958;
ALBUM: Tea for Two, MOON RECORDS: 1990


S
iamo nel luglio del '58, precisamente il 7 luglio 1958, i brani, come abbiamo detto, sono tratti da una registrazione dal vivo fatta durante il Newport Jazz Festival. In questa data, come possiamo evincere ascoltando l'esempio sopra riportato, la voce della O'Day risulta essere "palesemente" affaticata.

Pur riconoscendo che la qualità della registrazione non è certo tra le migliori e che ciò potrebbe dare origine ad errori di valutazione, è, a mio avviso, evidente che, in questo specifico caso, non ci troviamo di fronte ad una scelta stilistica né, tanto meno, i sintomi fonastenici che percepiamo nella voce di Anita O'Day, possono essere fatti risalire a particolari tensioni di natura emotiva o a fattori stressogeni di altro tipo.
Siamo in una situazione dal vivo, all'aperto, in estate, ci troviamo in una manifestazione importante davanti ad un pubblico numeroso (3) e, probabilmente, anche competente (4).
In altre parole di fattori stressogeni ce ne sono diversi tuttavia mi permetto di dire che, in questa situazione, le alterazioni che riscontriamo nella dinamica fonatoria della O'Day non sono da attribuirsi a tali fattori stressogeni ma, piuttosto, ad un "malmenage" e ad un "surmenage" vocale (5).

A questo punto mi chiedo, possiamo far rientrare tali alterazioni all'interno di un quadro clinico di disodia intesa, questa, come "disturbo patologico della voce cantata" (6). Possiamo, cioè, in questo specifico caso parlare di patologia (7)?

E nel caso la risposta dovesse essere affermativa, in base a quali elementi, è possibile asserire che i sintomi fonastenici che si accusano nella voce di Anita O'Day durante il concerto del '58 siano la conseguenza di un trauma vocale e non la conseguenza di uno stato di tensione di origine emotiva oppure di uno stato di tensione causato da altre forme di stress psico-fisico (8)?

E' possibile, cioè, attraverso un ascolto "razionale" del "percorso vocale" di un/una cantante, arrivare a stabilire se una determinata tipologia di suono sia attribuibile ad una scelta stilistica o, debba, invece, essere considerata come la conseguenza di una qualche forma di patologia (9)?

E ancora, mi chiedo, è possibile, seguendo cronologicamente le varie tappe dell'esperienza artistica di un/una cantante, valutare se l'uso improprio di determinate sonorità possa, in qualche modo, aver determinato l'insorgenza di una successiva patologia e secondo quale modalità?

Una sorta, cioè, di "ear training" della voce che ci fornisca gli strumenti per ricostruire, sia da un punto di vista storico-musicologico che da un punto di vista più specificamente fisiologico, "la genesi" di determinate sonorità consentendoci, così, non solo di valutare l'importanza che tali sonorità hanno avuto ai fini della caratterizzazione di un determinato stile vocale quanto anche la potenziale pericolosità che esse possono, in qualche modo, rappresentare per la salvaguardia dello "strumento voce".

Ci tengo a ricordare, inoltre, che ogni manifestazione artistica per quanto vada considerata nella sua individualità intrinseca ed esclusiva è soggetta ai "mutamenti della storia" così come qualunque altro tipo di fenomeno sociale e non.

Per cui rimanere ancorati al passato cercando di imitare acriticamente ciò che è stato fatto dai "nostri idoli" significherebbe privare l'arte di una delle sue qualità più peculiari, la creatività!

Il nostro compito, in quanto "artisti", è dunque quello di reinventare nuovi modelli di suono lasciandoci, sì, ispirare da quello che è stato fatto dalle grandi voci del passato ma rivisitando tali sonorità alla luce delle nuove conoscenze e dei nuovi strumenti che lo stato attuale della ricerca scientifica mette a nostra disposizione.

Ma ritorniamo al nostro brano.

Fly Me To The Moon
(Bart Howard)

Ascoltando l'esempio prima riportato abbiamo avuto modo di osservare come, in questo brano, la voce della O'Day risulti essere particolarmente affaticata.

Secondo Franco Fussi, "il concetto di fatica vocale è principalmente riferibile al deterioramento della dinamica vocale del cantante" (10).

Deterioramento provocato sia dal "ridotto controllo sull'attività muscolare dovuta all'affaticamento" sia dal "ricorso a meccanismi di 'spinta' (compensatori, ipercinetici)" (11).

Spesso, infatti, vuoi per una scorretta tecnica vocale o per un "abuso" della voce professionale il cantante accusa delle difficoltà a livello di emissione o della qualità della voce più in generale alle quali cerca di sopperire facendo ricorso ad atteggiamenti di tipo ipercinetico (12).

Ne risulta una voce "velata" con "attacchi imprecisi e soffiati". L'emissione è "rigida" con la "necessità di una maggiore pressione sul fiato" il controllo "sull'intensità minima di emissione" diventa "precario" mentre "il settore tonale acuto si fa sempre più aspro e difficoltoso". Si avverte, quindi, uno "stato di fatica e di difficoltà a gestire l'emissione" (13).

Sempre citando Franco Fussi, "le cause dell'affaticamento vocale si ritengono in genere di origine miogenica e neurogena, cioè legate a compromissione muscolare e dell'innervazione, e sono correlate alla fatica muscolare, intesa sia in relazione alla muscolatura generale interessata alla gestione del sistema pneumofonico (quindi non solo la muscolatura laringea e del collo ma anche quella respiratoria e dell'apparato articolatorio), sia relativamente ai muscoli tensori delle corde vocali".

"Ma oltre al dispendio muscolare vanno presi in considerazione altri fattori di natura biomeccanica, come gli effetti della fonazione professinale prolungata sul tessuto non muscolare della laringe, cioè sull'epitelio la cui ondulazione, durante il passaggio dell'aria espiratoria, è all'origine della produzione del suono".

Tali effetti "superata una determinata soglia fisiologica, potrebbero determinare modificazioni delle caratteristiche del ciclo vibratorio delle corde vocali". Ne consegue "quell'alterazione della qualità del segnale" che comunemente viene definito "voce sporca" o "voce stimbrata" o ancora "voce velata" (14).

Per quanto riguarda il brano da noi preso in esame, possiamo effettivamente riscontrare nella voce di Anita O'Day la presenza di "un deterioramento della dinamica vocale" proprio di uno stato di "affaticamento vocale": la voce è "velata", gli attacchi sono spesso "imprecisi e soffiati", l'emissione in molti punti è "rigida" con la "necessità di una maggiore pressione sul fiato", "il controllo sull'intensità minima di emissione" è in molti punti "precario" mentre "il settore tonale acuto si fa sempre più aspro e difficoltoso".

Ascoltiamo anche questa seconda parte del brano dove la O'Day canta in un tempo più veloce.
In realtà riguardo alla relazione che esiste tra "tempo", "ritmo" e "prestazione fonatoria" ci sarebbero da dire veramente molte cose. Tuttavia preferisco rimandare l'argomento ad un momento successivo. Per ora, dunque, limitiamoci ad ascoltare per vedere se riscontriamo, nella voce di Anita O'Day , delle differenze significative tra la parte da lei cantata in un tempo più lento e quella, invece, da lei cantata in un tempo più veloce.

Fly Me To The Moon
(Bart Howard)

Ascoltiamo, adesso, il finale del brano…

Fly Me To The Moon
(Bart Howard)

Ascoltiamo, adesso, parte di quest'altro brano tratto sempre dallo stesso concerto.

Let's Fall in Love
(Ted Koehler/Harold Arlen)

Anita O'Day continua a cantare in uno stato di evidente affaticamento vocale.

Lo stesso ci viene da pensare ascoltando il brano che segue:

'S Wonderful
(Ted Koehler/Harold Arlen)

Ascoltiamo questi altri due esempi tratti sempre dallo stesso brano, rispettivamente dal secondo e dal terzo chorus.

'S Wonderful      'S Wonderful
(Ted Koehler/Harold Arlen)

Ascoltiamo, adesso, quest'altro esempio.

They Can't Take That Away From Me
(Ira & George Gershwin)

Ascoltiamo, adesso, la presentazione che la stessa Anita O'Day fa del brano successivo:

Presentazione

Ascoltiamo, quindi, il primo e il secondo chorus del brano Tea For Two.

Tea for Two
(Ira & George Gershwin)

In questo caso osserviamo come Anita O'Day, pur continuando a mostrare, durante tutta l'esecuzione cantata, grandi difficoltà nella gestione della dinamica fonatoria, sembra, nella parte parlata, non accusare alcun tipo di fastidio … anche se l'emissione risulta sforzata e si accusa una "cattiva gestione" del respiro, soprattutto nella parte finale della presentazione. Ansia? Stanchezza? Stress?

Ad ogni modo, questa evidente diversità, a livello qualitativo, tra la fonazione cantata e quella parlata mi fa porre una nuova domanda. E' possibile che ad una voce disodica non necessariamente corrisponda una voce disfonica. Oppure quanto da me riscontrato è semplicemente da addebitare al fatto che il mio è un orecchio ancora poco allenato (15)?

In risposta mi limito, per il momento, a citare Oskar Shindler il quale sostiene che "i disturbi patologici della voce cantata (in termine tecnico disodie) possono dipendere da un numero enorme di fattori sia di tipo organico che di tipo funzionale. Questi ultimi prevalgono nettamente sui primi. Contrariamente a quanto normalmente si crede i disturbi laringei o delle corde vocali sono certamente le cause meno frequenti dei disturbi vocali (...). Va subito premesso che la prestazione vocale cantata è abilità talmente sofisticata (per es. nei confronti della voce parlata) che (...) una qualsiasi alterazione funzionale od organica in qualsiasi parte del corpo (oppure talora solo nella interazione interpersonale) è sufficiente a scompensare il prodotto finale: il canto" (16).

Dall'analisi dei brani fin qui ascoltati risulta, tuttavia, evidente come nel jazz una voce bella e sana non sia determinante e come sia possibile tenere un concerto anche in casi di grave stanchezza vocale!

In linea con quanto sostiene Marco Podda a proposito del canto moderno, mi permetto di affermare che nel jazz "l'accettazione di una fonazione patologica costituisce il fondamento di una estetica estremamente diversificata da quella della stilizzazione, propria invece della musica classica occidentale" (17).

"Le durezze di emissione, le graffiature vocali, i colpi di glottide sfruttati a fini ritmici, e tutta la congerie di modalità fonatorie scorrette, che rappresenterebbero difetto di tecnica o patologia fonatoria per il foniatra, hanno in questi casi una valenza importantissima per la comunicazione sovratestuale" (18).

Al punto di acquistare una connotazione "espressiva e ricca di qualità artistiche" (19).

La qual cosa, così come per molti altri generi vocali in cui vengono utilizzate, se non addirittura privilegiate, sonorità tutt'altro che corrette da un punto di vista clinico, ha dato origine ad un acceso dibattito che vede da un lato foniatri, logopedisti e molti insegnanti di canto battersi a sostegno dei suoni "clinicamente corretti" e dall'altro molti cantanti e alcuni insegnanti di canto insistere sull'importanza che certe sonorità hanno all'interno di un determinato stile vocale, pur consapevoli del potenziale pericolo che esse rappresentano per la salute della voce.

Ma ritorniamo ad Anita O'Day.

Sul concerto di Newport ci sarebbe da lavorare ancora per molto, tra l'altro esiste un lungometraggio dal titolo "Jazz On A summers' Day" in cui, sono inclusi anche alcuni dei brani cantati da Anita O'Day (20).

Poter osservare direttamente la O'Day mentre canta i brani che abbiamo fin qui analizzato sarebbe, senza dubbio, un utile supporto per l'acquisizione di ulteriori informazioni riguardo alla presenza o meno di tensioni muscolari causa o conseguenza delle difficoltà a livello fonatorio presentate dall'O'Day durante tutto il concerto (21).

A tale proposito rimando alla pagina www.anitaoday.com/Performance.html dove è possibile osservare una fotografia della O'Day scattata proprio durante questo concerto (22) in cui sono evidenti, all'altezza del collo, a meno che non si tratti di un difetto della fotografia, i segni della presenza di tensioni muscolari che andrebbero a sostenere la mia ipotesi di una disodia causata da un tipo di emissione sforzata (23).

Sarà, tuttavia, l'analisi dei brani che faremo nella seconda parte della lezione a confutare o a confermare questa mia opinione.
In altre parole sarà la voce stessa di Anita O'Day a dircelo!

E per il momento mi fermerei qui.

Ringrazio il mio Web Master Marco Losavio per il grande contributo che ha dato a questa lezione non solo offrendomi la possibilità di renderla pubblica ma anche fornendomi utili suggerimenti e una preziosa assistenza tecnica.

Ringrazio, inoltre, i vari autori da me citati per avermi fornito la "terminologia" necessaria per esprimere, in modo chiaro e scientifico, una serie di pensieri ed impressioni che si erano andati "accumulando" durante un lungo percorso di studio ma che non ero ancora in grado di comunicare non avendo "le parole per farlo"!


NOTE:
(1) Franco Fussi, "Fonastenìa: La fatica del mestiere", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, 2000, p. 237.
(2) ibid, p. 237.
(3) A tale proposito vedi, http://www.anitaoday.com/Performance.html. La fotografia a cui mi riferisco è la terza dall'alto verso il basso.
(4) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante, volume III, Omega Edizioni, 2005, p. 35.
(5) Per una spiegazione più dettagliata dei termini "malmenage" e "surmenage" si veda Franco Fussi, "Classificazione delle disodie e delle terapie riabilitative", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume III, p. 20.
(6) Oskar Schindler, Nanda Mari, Il canto come tecnica la foniatria come arte, Milano: Zanibon, 1994 (1986), p. 109.
(7) Marco Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante, volume II, Omega Edizioni, 2003, p. 155.
(8) François Le Huche, André Allali, La voce, vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, Milano: Masson, 1994 (1990), p.136; Oskar Schindler, Nanda Mari, op.cit., pp. 115-117; Marco Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume II, pp. 159-160; Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume III, p. 42; Luigi Anolli, Rita Ciceri, La voce delle emozioni: verso una semiosi della comunicazione vocale non-verbale delle emozioni, Milano: Franco Angeli, 1992, pp. 502.
(9) Will Friedwald, Jazz Singing: America's Great Voices From Bessie Smith To Bebop and Beyond, New York: Da Capo Press, 1996 (1990), p. 281.
(10) Franco Fussi, "Fonastenìa: La fatica del mestiere", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., pp. 237-238.
(11) Ibid. p. 240.
(12) Ibid. p. 239.
(13) Ibid. p. 240.
(14) Ibid. p. 238.
(15) Col termine disfonia s'intende qualsiasi tipo di "alterazione qualitativa e quantitativa della voce parlata", F. Ursino, "Le disfonie", in Oskar Shindler (a cura di), Foniatria, Milano: Masson, 1995, p. 81.
(16) Oskar Schindler, Nanda Mari, op.cit., p. 109.
(17) Marco Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume II, p. 164.
(18) Ibid. p. 155.
(19) Ibid. p.157.
(20) Luciano Federighi, Cantare il jazz: L'universo vocale afroamericano, Bari: La Terza & Figli, 1986, p. 96.
(21) Marco Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume II, p. 162; Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi, op.cit., volume III, p. 37.
(22) La fotografia a cui mi riferisco è la seconda dall'alto verso il basso.
(23) Nanda Mari, Oskar Schindler, Colloquio fra canto e foniatria, Padova: Zanibon, 1974, p. 24.







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Data pubblicazione: 12/02/2006

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