"Gli errori sono facili, gli errori sono inevitabili.
Ma non vi è errore così grande, come quello di non continuare"
Jex-Blake
Nell'ultima lezione abbiamo parlato
di "trascrizione orale". E se invece volessimo fare una "trascrizione scritta"
(1) dei nostri brani?
Per poter fare una "trascrizione scritta" di un brano o parte di esso
è necessario essere in grado di riconoscere la ritmica delle frasi da trascrivere
e di intonare ed individuare su uno strumento le note che compongono la "melodia"
della frase che decidiamo di trascrivere. Rimandando l'aspetto ritmico ad
un momento successivo mi occuperei, adesso, dell'aspetto melodico.
Decido di prendere come punto di riferimento per le nostre trascrizioni
la tastiera di un pianoforte. I motivi sono diversi, il più importante tra tutti,
comunque, è la sua facile visualizzazione.
Visualizzando la tastiera di un pianoforte possiamo osservare che essa
è caratterizzata dalla compresenza di tasti bianchi e di tasti neri
(2).
Guardando con attenzione, tuttavia, possiamo notare che questi tasti non sono disposti
a caso bensì raggruppati secondo uno schema numerico ben preciso. Gruppi di 3 tasti
bianchi e 2 tasti neri si alternano, infatti, a gruppi di 4 tasti bianchi e 3 tasti
neri. Mettendo insieme un gruppo di 3 tasti bianchi e 2 tasti neri con uno di 4
tasti bianchi e 3 tasti neri ne formiamo uno di dimensione maggiore che risulterà
costituito da 3 + 4 tasti bianchi e 2 + 3 tasti neri
(3) per un totale di 12 tasti.
Questa figura si ripeterà immutata per tutta la tastiera.
Ogni tasto bianco ha un nome ben preciso che corrisponde a quello "delle
7 note naturali" (4).
Avremo, dunque, a partire dal primo tasto a sinistra del gruppo di 3 tasti bianchi,
e procedendo verso destra, la seguente nomenclatura a tutti noi ben nota: do re
mi fa sol la si.
Il sistema denominatorio che fa uso delle sillabe convenzionali: do (ut),
re, mi, fa, sol, la, si, utilizzato in Italia e negli altri paesi latini, "venne
adottato, per i primi sei suoni, da Guido d'Arezzo (fra il
990 e il 1000-1050), che scelse le sillabe iniziali di sei versi in latino di un
inno di San Giovanni, corrispondenti a sei diversi suoni consecutivi:
Ut quaeant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum,
Sancte Johannes.
Il si venne aggiunto più tardi, nel XVII secolo, dopo
che per il settimo suono erano state adottate varie sillabe (ba, bi, ci, di, mi,
za)".
Mentre in Francia persiste l'utilizzo dell'ut ad indicare il nostro do,
in Italia ed in Spagna, a causa della "difficoltà di pronuncia in un seguito
rapido di note" si è avuta con il tempo la modificazione dell'ut in do.
La denominazione utilizzata, nei paesi germanici e anglosassoni e che
coincide con le prime 7 o 8 lettere dell'alfabeto (A, B, C, D, E, F, G/H), invece,
deriva direttamente da quella greca. I greci, infatti, indicavano con alfa, prima
lettera del loro alfabeto, la nota corrispondente al nostro LA.
In base a questo sistema di denominazione, quindi, le note vengono elencate
a partire dalla lettera A (A, B, C, D, E, F, G/H) che abbiamo detto essere l'alfa
dei greci e il la del nostro sistema di nomenclatura
(5). Attenzione, in Germania
la lettera B viene usata per indicare il Si bemolle.
Per indicare il Si naturale viene usata, invece, la lettera H
(6).
Ma ritorniamo alla nostra tastiera.
Immediatamente dopo il SI la storia si ripete avremo, dunque, una nuova
successione di 3 più 4 tasti bianchi e così di seguito per tutti i gruppi che si
trovano alla destra di quelli da noi considerati. Un tale tipo di movimento viene
detto "ascendente" in quanto man mano che procediamo in questa direzione i suoni
diventano sempre più acuti. Così come alla destra di ogni SI troviamo un
DO alla sinistra di ogni DO troveremo un SI quindi un LA, un SOL e così via fino
al DO successivo. Procedendo in senso discendente troveremo, invece, come è ovvio,
suoni sempre più gravi.
"La distanza che separa un do da quello successivo, o
comunque due note qualsiasi dello stesso nome, è chiamata ottava;
contando i semitoni, un'ottava comprende dodici suoni diversi"
(7).
Ogni tastiera è costituita da diverse ottave.
"L'estensione di un pianoforte acustico, ad esempio, è di sette ottave"
(8) ma tra
gli strumenti elettronici possiamo trovare tastiere anche di sole 5 ottave.
In base a "una delle classificazioni d'altezza in uso in Italia"
le ottave della tastiera di un pianoforte acustico si susseguono, a partire dall'estrema
sinistra, nel seguente modo:
Do -1
Do 1
Do 2
Do 3 ("centrale") (9).
Do 4
Do 5
Do 6
Do 7,
"e così per tutti gli altri suoni"
(10).
Ad esempio, Fa -1, Fa 1 etc. Per il La ed il Si, un discorso a
parte... il primo tasto della tastiera, a partire dall'estrema sinistra, infatti,
non è Do -1 ma La -2, segue il Si -2 e quindi il Do-1.
L'ultima nota, invece, è Do 7... ne consegue che non esiste un Re 7 o
un Mi 7 e così via.
"Delle dodici note che costituiscono un'ottava solo sette quelle, cioè, che
sono nate per prime, e che vengono comunemente definite note
naturali, hanno un loro nome proprio. Esse, come abbiamo visto,
coincidono con i 7 tasti bianchi del pianoforte"
(11).
E i tasti neri? Ai tasti neri non viene data "una denominazione nuova,
perché il numero soverchio delle denominazioni renderebbe il sistema musicale troppo
complicato. Siccome si trova frammezzo a due note una più acuta dell'altra, viene
considerato come un'alterazione ascendente del suono più grave o come un'alterazione
discendente del suono più acuto"
(12). Per cui al tasto nero si darà
il nome del tasto bianco che lo precede o che lo segue con l'aggiunta di un diesis
(#) nel primo caso e di un bemolle (b) nel secondo caso. Il diesis, infatti,
"è considerato alterazione ascendente mentre il bemolle è considerato alterazione
discendente". Ne consegue che "il diesis messo avanti alla nota indica che
il suono è stato innalzato di un semitono dal suo posto naturale, il bemolle indica
che è stato abbassato di un semitono"
(13).
Il prossimo passo da farsi, a questo punto, è quello di memorizzare i
nomi dei tasti bianchi.
Attenzione cercate di memorizzare i tasti individualmente.
Mi spiego. In caso dobbiate suonare un Fa cercate di non ripetere mnemonicamente,
a partire dal Do, tutti i nomi delle note, in base alla sequenza imparata, fino
a raggiungere la nota desiderata, o meglio, il tasto desiderato ma individuatene
direttamente la posizione sulla tastiera. A tale proposito potete aiutarvi
tenendo ben presente la suddivisione della tastiera in gruppi di 3 e 4 tasti bianchi
e relativi tasti neri fatta precedentemente.
La prima nota a sinistra del gruppo di 3 tasti bianchi abbiamo detto è
il Do.
L'ultima di tale gruppo sarà, dunque, il Mi.
La prima nota a sinistra del gruppo di 4 tasti bianchi è il Fa.
L'ultima il Si.
Oppure:
Il tasto bianco situato al centro del gruppo dei tre tasti neri prende
il nome di RE alla sua destra abbiamo MI e alla sua sinistra DO.
Il tasto all'estrema sinistra del gruppo dei quattro tasti bianchi è il
FA seguono il SOL il LA e in ultimo il SI.
Oppure ancora:
"Prima della successione di due tasti neri si trova sempre il Do"…
(14) e così
via… ognuno troverà la propria "strategia di codifica"
(15).
NB: poiché il sistema anglosassone di classificazione
delle note (A, B, C, D, E, F, G) è, ovviamente, quello prevalentemente usato nel
jazz è consigliabile, da subito, memorizzare i nomi delle note anche in base a questo
differente sistema di classificazione.
Facciamo, adesso, il seguente esercizio:
- esercizio 1: suoniamo una nota al pianoforte e
intoniamola (se l'esercizio risulta difficile allora suoniamo piccole melodie e
cantiamole).
Facciamo adesso l'esercizio opposto:
- esercizio 2: intoniamo una nota e cerchiamola sulla
tastiera (anche in questo caso se l'esercizio risulta difficile è consigliabile
cantare brevi melodie).
Non abbiate paura di stonare... cantate e sforzatevi di ascoltare se il
suono da voi emesso coincide con quello prodotto dallo strumento! E' possibile
che i più "stonati", all'inizio, abbiano difficoltà a fare questo tipo di esercizi
se non, addirittura, a rendersi conto se e in quale misura siano in grado di intonare.
Tuttavia per esperienza personale vi garantisco che alla fine l'orecchio
imparerà da solo a riconoscere se gli esercizi vengono svolti correttamente o meno.
La cosa importante è che voi vi alleniate quanto più possibile. E mi raccomando…
non vi scoraggiate!!! Ognuno di noi, in base alla propria esperienza, può avere
tempi di assimilazione differenti. Il vero problema, a mio avviso, delle persone
che si ritengono stonate o prive di orecchio musicale quello, cioè,
che costituisce per loro un "reale" impedimento, è il fatto che alla prima difficoltà
si tirano indietro prendendosi in giro con frasi del tipo "non sono portato" "non
ci riuscirò mai", pretendendo di ottenere tutto subito, senza fatica, quasi
come se gli spettasse per diritto divino! Vi garantisco che questo è impensabile!
Non si può pretendere di imparare senza incontrare difficoltà.
A tale proposito leggevo sul quotidiano La repubblica di qualche tempo fa
che Ernest Hemingway (o Thomas Edison) sosteneva che il genio è all'1%
inspiration (ispirazione creativa) e al 99% perspiration (traspirazione,
sudore, fatica) (16).
Inoltre pare che Albert Einstein dicesse a proposito della
matematica "se voi pensate di avere delle difficoltà dovreste vedere le mie".
Sempre Einstein era solito ammettere di aver dovuto attraversare molte difficoltà
e patire molte sofferenze prima di "ottenere risultati"
(17).
Inoltre si dice che Newton "abbia lasciato casse di appunti
e di calcoli, che mostrano quanto tempo e fatica egli dedicasse alle verifiche delle
sue idee. La legge di gravitazione universale, per esempio, gli richiese un'elaborazione
di vent'anni prima di poter essere pubblicata nei Principia"
(18).
Sempre a tale proposito vorrei citarvi, inoltre, un passo tratto dal libro
di Roberto Assagioli, L'atto di volontà. Nel suo testo Assaggioli
scrive: "Un altro tipo di perseveranza è quella esercitata nonostante i ripetuti
fallimenti. E' questo il segreto di molti inventori e scienziati di successo. Si
dice che Edison, abbia provato circa duemila sostanze prima
di trovare il filo di carbonio per costruire il bulbo elettrico. Pensiamo quanto
dobbiamo essergli grati per la sua straordinaria costanza. Sarebbe stato del tutto
giustificato se avesse abbandonato il tentativo dopo la millesima o anche la cinquecentesima
volta. Questo tipo di perseveranza si può chiamare tenacia. Altri esempi di tenacia
sono quelli degli scrittori che, nonostante i ripetuti rifiuti, continuano ad offrire
i loro manoscritti a vari editori. Un esempio notevole e divertente è quello di
Giulio Verne, il pioniere della fantascienza. Quando aveva
venticinque anni ed aveva appena terminato il suo primo romanzo, con il manoscritto
sotto il braccio andò a bussare alla porta di quattordici editori, che gli risero
tutti un faccia. Finalmente il quindicesimo, Hetzel, prese il manoscritto per leggerlo.
Dopo dieci giorni, Hetzel non solo si impegnò a pubblicare il romanzo ma offrì a
Verne un contratto di venti anni per un libro all'anno. La fortuna di Verne
era fatta e anche quella di Hetzel
(19).
Anche se i dati riportati da Assagioli potrebbero essere inesatti,
è questa capacità di essere tenaci che, sempre a mio avviso, fa realmente la differenza
tra "chi è portato" e "chi non è portato"! E poi come è mia abitudine ripetere e
ripetermi sempre… "se non si è portati allora è il caso che ci
si prenda la responsabilità di portarsi da soli!!!!"
Ma andiamo avanti!
Con i mezzi di cui attualmente disponiamo possiamo già cominciare ad "estrapolare"
i pattern da vocalizzare direttamente dai nostri brani preferiti. Se, ad
esempio, ci sono alcuni interpreti il cui fraseggio ci risulta particolarmente interessante
studiamone le frasi e inseriamole nel nostro "vocabolario". Scegliamo, dunque, alcune
delle frasi che più ci piacciono e proviamo a trascriverle. Come si fa?
Cominciamo col memorizzare la frase che abbiamo deciso di studiare cantandola,
ripetutamente, insieme al CD (trascrizione orale). Così come abbiamo fatto nell'esercizio
1.
Quindi, cerchiamone le note sulla tastiera. Così come abbiamo fatto, invece,
nell'esercizio 2.
Per il momento per trascrivere usiamo il seguente metodo:
TESTO DELLA MELODIA + NOMI DELLE NOTE
Dato che oramai conoscete i nomi dei tasti del pianoforte è sufficiente
che scriviate sotto le parole del testo il nome della nota corrispondente al suono
della melodia. Dopo ogni nome di nota aggiungete una freccetta con la punta rivolta
verso l'alto per specificare che si tratta di un intervallo ascendente oppure una
freccetta con la punta rivolta verso il basso per specificare che si tratta di un
intervallo discendente.
Come nell'esempio che segue:
- esempio a:
My Fun - ny Val - en -
tine
C D
Eb
D
Eb
D
E se le frasi che più ci piacciono non hanno un testo di riferimento?
Se al posto del testo c'è lo scat il problema non sussiste. Ne trascriveremo le
sillabe esattamente come se si trattasse delle parole di un testo e sotto ci scriveremo
le note della melodia (20).
Ovemai si trattasse di "semplice" melodia allora vuol dire che deciderete
da voi se adattare il teso alla melodia o utilizzare lo scat lasciandovi
ispirare da quanto fanno i "vostri vocalist preferiti".
Facciamo qualche esempio.
Le due frasi che seguono sono state trascritte entrambe da un'interpretazione
fatta da Carmen McRae del brano di Richard Rodgers e Lorenz Hart "My
Funny Valentine".
My Funny Valentine
(Richard Rodgers and Lorenz Hart)
18 aprile 1957
ALBUM: Carmen Mcrae Sings Great American Songwriters, MCA:
1993
- esempio b: (file
audio )
Your looks are laugh - a - ble
Eb D
A
C
Bb
Bb•
NB: il puntino nero dopo la nota sta a significare che si tratta di un intervallo
di Prima Giusta.
- esempio c: (file
audio )
Each day is Val - en - tine's
Bb C
D
F
Eb
F#
Ancora Carmen Mcrae questa volta in un'interpretazione del
brano di H.J. Lengsfelder, Ervin Drake e Juan Tizol, "Perdido".
Perdido
(H.J. Lengsfelder, Ervin Drake e Juan Tizol)
ALBUM: Carmen Mcrae, My Greatest Songs, MCA: 1992
- esempio d: (file
audio )
Shoop doop ba(d) doo ya Doop ba(d)
doo Shoop dee
C F
A
D
C
A
F
C
E
F
NB: i diagrammi utilizzati per la traslitterazione dello scat sono stati presi
dal testo di Bert Konowitz, Vocal Improvisation
Method. Vedi nota 20.
Ritorniamo al brano "My Funny Valentine"
di Richard Rodgers e Lorenz Hart. In questo caso la frase trascritta e stata presa
da un'interpretazione fatta dal cantante/trombettista
Chet Baker.
My Funny Valentine
(Richard Rodgers and Lorenz Hart)
settembre 1952
ALBUM: Gerry Mulligan quartet with
Chet Baker,
EEC: 1990
- esempio e: (file
audio )
Do do dwe ba do
ya dwe dot
G Eb
C
D
D#
F
G
D
NB: i digrammi utilizzati per lo scat sono stati presi dal testo di Bob Stoloff,
Vocal Improvisation Techniques. Vedi nota
20.
Quello che vi ho appena mostrato è il modo più semplice per fare una trascrizione
che possiamo definire "parzialmente scritta"… tuttavia anche se, molto probabilmente,
all'inizio potrà sembrarvi un'impresa alquanto difficile… con il tempo, come avrete
modo di notare, sarà la vostra stessa mano a guidarvi durante la trascrizione.
Anzi, volendo essere precisi, sarà il cervello
(21) a guidare la vostra mano.
Pertanto non interferite e lasciatelo lavorare… il cervello è molto più intelligente
e abile di quello che pensiate. Fate, quindi, molto esercizio e non abbiate
paura di sbagliare… in situazioni come questa è più importante lo sforzo che si
fa per raggiungere l'obiettivo nonché il tempo che si dedica all'esercizio che il
raggiungimento dell'obiettivo stesso.
Durante il tempo che si dedica alla trascrizione (ascolto, ricerca sul
pianoforte, correzione, verifica etc.), infatti, il cervello non solo memorizza
tutto quanto concerne la frase su cui si è, in quel momento, consapevolmente concentrati
ma, come già ho detto nella lezione precedente, la memoria sta registrando,
anche se in modo inconsapevole, tantissimi altri elementi quali la ritmica della
frase, la relazione che intercorre tra la melodia e l'armonia di base nonché quella
che intercorre tra la melodia e l'accompagnamento strumentale e così via dicendo.
Tutto questo ad un livello di gran lunga più profondo di quanto accade
quando ci si limita a fare una semplice "trascrizione orale".
C'è da dire, inoltre, che anche se alla fine non siete riusciti a trascrivere
la vostra frase vi accorgerete che, però, siete comunque in grado di cantarla e
vi dirò di più… durante tutto il tempo che avete dedicato all'esercizio il materiale
da voi ascoltato "è sceso talmente in profondità" che non dovrete sorprendervi se
quella stessa frase che vi ha creato così tanti problemi ritorni, inaspettatamente,"in
superficie" mentre state interpretando un brano o improvvisando un solo "incastrandosi"
tra le altre frasi proprio come se foste stati voi a crearla…
La verità è che l'apprendimento è un fenomeno molto complesso e oserei
dire "bizzarro"... molto più di quanto si possa legge nei libri!!!
Per quanto riguarda l'errore c'è da dire, inoltre, che esso non
necessariamente deve avere un'accezione negativa… ma, in alcuni casi, può anche
essere considerato come una tendenza istintiva a "personalizzare" le frasi che cerchiamo
di trascrivere adattandole alla nostra voce e al nostro gusto… anche, se non soprattutto,
quando tali "modifiche" vengono da noi fatte inconsapevolmente. Per cui,
una volta che siamo diventati consapevoli dell'errore, analizziamolo con attenzione
perché dal nostro errore ne potrebbe risultare una frase altrettanto interessante.
Come disse, infatti, Euripide, il grande drammaturgo greco vissuto nel V
secolo a.C.: "L'atteso non si compie, all'inatteso un dio apre la via"
(22).
Non siate, dunque, rigidi e concedetevi "qualche errore". Anzi guardate agli errori
con curiosità perché hanno spesso molte cose interessanti da "comunicarci".
Inoltre, ricordate quello che abbiamo detto la lezione scorsa? Alcune tra le
scoperte scientifiche più significative sono state fatte proprio grazie ad errori
di percorso!!!
Chiaramente è inutile dire che ci sono errori ed errori… per cui come recita
un detto popolare americano "l'importante sta nel non fare l'errore sbagliato"
(23) ma anche quando commettiamo un errore che risulti avere delle implicazioni
negative quando, cioè, commettiamo "l'errore sbagliato", ebbene anche in quel caso
l'errore deve essere guardato più come uno strumento di crescita che come un impedimento
al nostro naturale progredire. "Soltanto chi conosce la strada sbagliata sa capire
quella giusta" leggiamo nel divertente libro di Pino Aprile,
Elogio dell'errore!
(24)
Secondo Karl Raimund Popper, filosofo della scienza vissuto per
quasi tutto il secolo scorso (Vienna 1902
- Londra 1994) noi, addirittura, "apprendiamo
unicamente attraverso tentativi ed errori"
(25). Gli organismi, nel loro
complesso, egli sostiene, sono attivi ed esplorano di continuo il mondo circostante
(26).
Anche "gli organismi superiori compiono movimenti esplorativi. Essi
compiono movimenti esplorativi intellettuali"
(27).
Questo atteggiamento esplorativo pone costantemente l'individuo di fronte
ad una serie infinita di problemi.
Ad ogni problema, in cui l'individuo si imbatte, segue un tentativo di
soluzione. Essendo, appunto, un tentativo ne consegue che esso è spesso fonte di
errori (28).
Tuttavia mentre un organismo inferiore se "non riesce a risolvere il
problema, viene spazzato via", per gli organismi superiori esso costituisce,
invece, una fonte di apprendimento
(29).
"Noi infatti possiamo imparare dai nostri errori"
(30).
E una tale forma di apprendimento si può realizzare sia attraverso la
correzione dell'errore stesso che attraverso i nuovi "problemi portati a galla
dai nostri insuccessi" (31).
A tali problemi seguiranno nuovi tentativi di soluzione e molto probabilmente
nuovi errori è così via di seguito… "Tutta la vita", sostiene il Popper,
è un continuo "risolvere problemi"
(32).
All'interno di questo processo, le "aspettazioni deluse" devono,
dunque, essere vissute come semplici difficoltà che ci inducono a nuovi "tentativi
di soluzione" (33).
Mentre, invece, troppo spesso si cerca di evitare l'errore sottovalutandone
l'importanza (34).
La verità "è che il mondo che desideriamo esplorare è un'entità in
gran parte sconosciuta. Dobbiamo, pertanto, mantenere aperte le nostre scelte senza
fissarci limiti in anticipo"
(35).
La conoscenza, inoltre, è "nella sua sostanza un fenomeno in crescita;
essa è essenzialmente dinamica, mai qualcosa di compiuto"
(36).
Essa non deve essere concepita come "una serie di teorie in sé coerenti
che convergono verso una concezione ideale" né come, "un approccio
graduale alla verità". Essa "è piuttosto un oceano, sempre crescente, di
alternative" (37).
"Per ogni problema, infatti, esiste sempre un'infinità di soluzioni logicamente
possibili" (38).
Per di più "il sapere ogni volta che conquista una nuova verità, allarga
l'orizzonte dell'ignoranza e degli errori possibili"
(39).
Come scrisse Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)
(40) "finché
cerca, l'uomo è esposto all'errore"
(41).
Oppure, in base ad una "traduzione" alternativa di questa stessa frase,
"l'uomo erra finché cerca qualche cosa"
(42).
Errare "ha, infatti, il doppio significato di sbagliare e di vagare",
nel senso di "andare, ma senza una meta"
(43).
In altre parole, "sbariando s'impara"!!! (*).
E per oggi mi fermo qui!
Buon lavoro e alla prossima!
NOTE
(*) Ricordo che quando ero una studentessa presso l'Istituto
Universitario Orientale di Napoli, avevo un professore di madrelingua giapponese
che, non sapendo articolare bene il digramma "gl" e la consonante "L", come del
resto quasi tutti i suoi connazionali, era solito ripeterci "sbariando si impara"
al posto dell'originale, a noi ben noto, "sbagliando si impara". Sbariare o sbareare
nel dialetto napoletano ha, letteralmente, il significato di "distrarsi" ma, comunemente,
viene usato per indicare l'agire o il fare cose senza una meta specifica proprio
al fine di "distrarsi" dalle incombenze quotidiane (http://www.napoletanita.it/cgi-bin/vocabolario.pl).
Da allora uso spesso questa espressione sia nel significato originale di imparare
attraverso l'errore sia col significato "alternativo" di imparare lasciandosi guidare
dalla curiosità anche se quello che si sta leggendo, studiando o vivendo sembri
non avere alcun legame con le proprie materie di studio, anzi, sembri addirittura
discostarsene. O ancora la uso col significato di studiare senza attenersi a "metodi
scientifici" troppo rigorosi lasciandosi andare talvolta ad un apprendimento, è
il caso di dire, un po' più libero e disordinato;
(1) Qualche parola sulle espressioni "trascrizione orale" e "trascrizione scritta".
Secondo il DELI (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana), il verbo "trascrivere"
è un adattamento del latino transcribere, scrivere (scribere) da un luogo ad un
altro (trans). Per cui il verbo trascrivere viene usato, nella lingua italiana,
con il significato di "scrivere qualcosa traendola o derivandola da un testo o da
una stesura precedenti", oppure con il significato di ricopiare o traslitterare
qualcosa. Con il termine trascrizione, a sua volta, ci si riferisce a qualunque
tipo di "scrittura ottenuta usando un sistema grafico differente".
Troviamo questo termine anche nell'espressione "trascrizione fonetica" con il significato
di "rappresentazione grafica della reale pronuncia dei suoni".
In musica, per trascrizione, si intende "l'adattamento di una composizione musicale
a un mezzo diverso da quello per il quale era stata originariamente creata".
Ne deriva che mentre l'espressione "trascrizione scritta" è parzialmente corretta
(parzialmente perché nel termine "trascrivere" è già contenuta l'idea che si è avuta
una rappresentazione grafica di qualcosa per cui lo specificare che si tratta di
una trascrizione "scritta" è da ritenersi superfluo), l'espressione "trascrizione
orale" è invece usata impropriamente in quanto scrivere significa "esprimere idee,
suoni e simili mediante il tracciamento su una superficie di segni grafici convenzionali,
lettere, cifre, note musicali e simili". Per cui, in questo specifico caso, forse,
il termine "riprodurre" sarebbe stato più appropriato. Riprodurre, infatti, è un
verbo che viene usato ad indicare l'atto dell'eseguire una copia, il più fedele
possibile, di un prodotto originale. Riprodurre infatti significa produrre di nuovo.
In musica, nel linguaggio tecnologico, il termine riproduzione viene usato con il
significato di "emissione di suoni incisi su disco o registrati su nastro magnetico".
Da quanto detto fin qui se ne potrebbe, però, dedurre che il termne "riproduzione"
sia più adatto ad indicare "il risultato " della trascrizione che il processo stesso
di trascrizione.
Il motivo, pertanto, per cui ho preferito usare il verbo "trascrivere", è perché,
a mio avviso, esso rende meglio l'idea di quanto stiamo, in realtà, facendo… durante
la trascrizione, infatti, noi stiamo, letteralmente, riscrivendo il materiale musicale
che, in quel momento, stiamo ascoltando. Su carta, nel caso si tratti di una "trascrizione
scritta", e nella nostra memoria, nel caso si tratti di una "trascrizione orale".
Nel momento in cui "riproduciamo" il brano simultaneamente al lettore CD noi, infatti,
non stiamo "riproducendo" quanto ascoltiamo, quanto, cioè, viene riprodotto, in
quello stesso momento, dal lettore CD, ma stiamo, invece, riproducendo ciò che abbiamo
registrato in memoria attraverso l'ascolto ripetuto. Ed infatti mentre all'inizio
la nostra attenzione è più concentrata su quanto stiamo ascoltando al fine di memorizzarlo
man mano che tale processo di memorizzazione si consolida la nostra attenzione si
stacca gradualmente dall'ascolto del brano per rivolgersi ad altri aspetti dell'esercizio.
Come, ad esempio, l'ascolto e la verifica di quanto noi stessi stiamo "riproducendo".
La funzione del CD diventa a questo punto, unicamente, quella di richiamare alla
nostra memoria una serie di informazioni precedentemente codificate. Se si continua,
infatti, nel lavoro di trascrizione, si finisce con il memorizzare definitivamente
il brano o la frase che ci interessa trascrivere e, quindi, si è in grado si cantarlo/la
anche senza il supporto del CD.
Quanto detto fin qui è molto importante ai fini dell'apprendimento perché molto
spesso si pretende di cantar bene senza aver prima "educato" la propria memoria
a "registrare" in modo adeguato quanto si decide di "riprodurre" vocalmente. La
funzione principale degli esercizi di trascrizione sia "orale" che "scritta" sta
proprio in questo: allenare la memoria a codificare in modo sempre più preciso brani
o parte di brani al fine di poterli poi riprodurre in base alle proprie esigenze.
Un ultima parola per quanto riguarda l'aggiunta dei due attributi "scritta" e "orale".
Essi stanno, in realtà, a specificare il modo in cui, poi, il materiale trascritto
verrà, poi, "comunicato" o meglio "tramandato". La musica è, infatti, patrimonio
culturale e, come sappiamo, la cultura può essere tramandata in forma scritta ma
anche per via orale. Ma perché ciò accada deve essere prima registrata o, volendoci
attenere a quanto detto fin qui, "trascritta". Essa verrà registrata su supporto
cartaceo e finalizzata alla lettura in caso di "trascrizione scritta". Mentre, invece,
verrà registrata in memoria al fine di essere, poi, tramandata oralmente in caso
di "trascrizione orale".
Ma a questo punto mi fermerei anche perché questo argomento è troppo importante
per essere trattato in una semplice nota. Esso verrà, quindi, ripreso e approfondito
in una lezione successiva.
Le citazioni da me fatte sono state prese da Manlio Cortelazzo, Paolo Zolli, Il
nuovo etimologico. DELI - Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna:
Zanichelli editore, 1999.
(2) per un disegno della tastiera rimando alla pagina
http://www.robertovillari.it/music/Lezione01.htm
(3) I tasti neri, all'interno del nuovo gruppo così formato, si distribuiscono secondo
la disposizione "due tasti neri, nessun tasto nero, tre tasti neri, nessun tasto
nero", Nicoletta Caselli, Manuale di teoria musicale: con riferimento alla musica
moderna, Milano: Nuova Carish, 1993, p. 45;
(4) ibid. p. 45;
(5) Piero Rattalino, Il linguaggio della musica: una guida per i non esperti, Milano:
Garzanti, 1997, p. 23;
(6) ibid. pp. 19-20;
(7) Walter Piston, Armonia, Torino: E.D.T. Edizioni, 1989 (1987), p. 4;
(8) John Fordham, Jazz: La storia, gli strumenti, gli interpreti, i dischi, Milano:
Idealibri, 1994 (1993), p. 80;
(9) "Il do centrale sulla tastiera del pianoforte è quello più centrale, come dice
la parola stessa, quello cioè che si trova sotto la marca del pianoforte", Nicoletta
Caselli, op.cit, 1993, pp. 49-50;
(10) Piero Rattalino, op.cit, 1997, p. 20;
(11) Nicoletta Caselli, op.cit, 1993, p. 45;
(12) Ettore Pozzoli, Sunto di teoria musicale, Milano: Ricordi, vol. I, 1988 (1903),
p.13;
(13) ibid. p. 13;
(14) Nicoletta Caselli, op.cit, 1993, p. 45;
(15) "Quando studiamo o apprendiamo qualcosa di nuovo noi utilizziamo delle ‘strategie
di codifica'. Ogni individuo ha a disposizione diverse strategie di codifica (maggiore
è l'esperienza dell'individuo, maggiore è il numero di strategie che ha a disposizione).
Ciascuna di queste strategie di codifica è più indicata per apprendere un certo
materiale piuttosto che un altro. L'apprendimento sarà tanto migliore quanto più
saremo stati capaci di scegliere la strategia ottimale per un particolare tipo d'informazione.
Dalla loro efficacia dipende la bontà dell'apprendimento e, quindi, la possibilità
di immagazzinare e, in un secondo tempo, recuperare l'informazione. Le strategie
di codifica possono essere molto semplici, come ripetere più volte ciò che si deve
imparare, o raggiungere livelli di complessità piuttosto elevati, come costruire
associazioni bizzarre fino a giungere all'impiego di vere e proprie mnemotecniche
(strategie e tecniche, già in uso nell'epoca classica, per ricordare nomi, eventi,
discorsi, ecc.)". Luciano Mecacci (a cura di), Manuale di psicologia generale: Storia,
teorie e metodi. Cervello, cognizione e linguaggio. Motivazione ed emozione, Firenze:
Giunti Gruppo Editoriale, 2001, pp. 162-163.
(16) Piergiorgio Odifreddi, "Ecco il genio: una scintilla tanto lavoro", La repubblica,
18 settembre 2006, p. 31;
(17) ibid. p. 31;
(18) ibid. p. 31;
(19) Roberto Assagioli, L'atto di volontà, Roma: Casa Editrice Astrolabio/Ubaldini
Editore, 1977 (1973), p. 29.
(20) Per quanto riguarda il metodo di trascrizione dello scat si veda Giuppi Paone,
"Louis Armstrong Lo scat",
http://www.jazzitalia.net/lezioni/giuppipaone/gpc_lezione2.asp
Si veda, inoltre, Patty Coker and David Baker, Vocal Improvisation. An instrumental
Approach, Miami, Florida: CPP/Belwin, Inc, 1981, pp. 148 (+ cassetta); Bert Konowitz,
Vocal Improvisation Method, Alfred Music Co., pp. 65; Niranjan Jhaveri, New Vocal
Techniques For Jazz & Modern Music, Bombay: Published by the author, 1994, pp. 67;
Bob Stoloff, Vocal Drum Gooves, Framingham, Massachusetts: Tortoise Shell Press,
1987, pp. 40 (+ cassetta); Bob Stoloff, Vocal Improvisation in the Be-Bop Idiom.
Volume I: A Rhythmic Approach, Framingham, Massachusetts: Tortoise Shell Press,
1987, pp. 92 + appendix; Bob Stoloff, Vocal Improvisation Techniques, New York:
Gerard & Sarzin Publishing Co., 1996, pp. 128 (+ CD);
(21) In realtà il termine "cervello" è improprio in quanto come avremo modo di vedere
in seguito il cervello non è l'unico organo ad essere coinvolto in questo specifico
comportamento motorio. Ho preferito, tuttavia, per il momento, utilizzare questo
termine in quanto essendo di uso comune può essere più facilmente compreso anche
da un pubblico non specialistico. Rimando, tuttavia, ad un qualunque testo di fisiologia
umana per maggiori delucidazioni sull'argomento.
(22) Citato in Pino Aprile, Elogio dell'errore, Casale Monferrato (Al): Edizioni
Piemme, 2003, p. 84; vedi anche, "Euripide",
http://it.wikipedia.org/wiki/Euripide
(23) Pino Aprile, op.cit, 2003, p. 26;
(24) ibid. p. 22;
(25) Karl R. Popper, Tutta la vita è risolvere problemi: scritti sulla conoscenza,
la storia e la politica (testo tedesco a fronte), Milano: RCS libri, 2001 (1994),
p. 6;
(26) ibid. p. 6;
(27) ibid. pp. 41/43;
(28) ibid. p. 51;
(29) ibid. pp. 41/43;
(30) ibid. pp. 586/19587;
(31) ibid. p. 169;
(32) ibid. p. 459;
(33) ibid. p. 223;
(34) ibid. p. 457;
(35) Paul K. Feyerabend, Contro il metodo: Abbozzo di una toria anarchica della
conosenza, Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2002 (1975), p. 17;
(36) Karl R. Popper, op.cit, 2001 (1994), p. 73;
(37) Paul K. Feyerabend, op.cit, 2002 (1975), p. 27;
(38) Karl R. Popper, op.cit, 2001 (1994), p. 582;
(39) Pino Aprile, Elogio dell'errore, op.cit, 2003, p. 88;
(40) "Johann Goethe",
http://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Goethe
(41) ibid. p. 165;
(42) F. Palazzi, S. Spaventa Filippi, Il libro dei mille savi: massime, pensieri,
aforismi, paradossi, di tutti i tempi e di tutti i paesi, Milano: Editore Ulrico
Hoepli, 1945, p. 303;
(43) Pino Aprile, Elogio dell'errore, op.cit, 2003, p. 22;
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Data pubblicazione: 01/11/2007
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