"Non smettere di cercare ciò che ami o finiresti per amare
ciò che trovi"
Marcel Proust
Nella
lezione
scorsa dicevamo che le informazioni di cui disponiamo nel momento in cui leggiamo
una storia sono di gran lunga più numerose rispetto a quelle narrate nella storia
stessa.
Per esempio, riprendendo ancora il brano "Yesterday I Heard The Rain", nel
momento in cui leggiamo una frase del tipo: "Faceless people, as they passed,
were looking through me, no one knew me" tutti, indipendentemente dalla nostra
esperienza, tendiamo a visualizzare persone ‘senza volto' (faceless people)
che quando passano (as they passed) guardano oltre la nostra persona (were
looking through me) senza riconoscerci (no one knew me). Ma l'ambiente
in cui immaginiamo la scena, il modo in cui queste persone si muovono nello spazio,
i loro abiti, gli oggetti che portano con sé ma anche il momento in cui la scena
si verifica, solo per citarne alcuni, sono tutti aspetti che ognuno di noi aggiungerà
e penserà in modo diverso a seconda della propria esperienza personale.
C'è, tuttavia, un altro aspetto molto interessante che va considerato. Ritornando
al brano Yesterday I Heard The Rain, prendiamo adesso quest'altra frase:
"Yesterday I shut my eyes, face up to the skies, drinking in the rain" ("Ho
chiuso gli occhi e con il viso rivolto verso il cielo bevevo nella pioggia").
Da un'analisi più approfondita del testo del brano in questione, si presuppone che
‘il protagonista' della storia stia bevendo qualcosa che lo aiuti a stordirsi, a
dimenticare. Molto probabilmente qualcosa di alcolico. Ma l'alcol ha un odore e
un sapore. E anche la pioggia ha un odore e un sapore. Tutto questo non è specificato
nella storia se non a livello simbolico. Sarà la nostra esperienza a colmare
questi vuoti, il non esplicitamente espresso.
Nel momento in cui leggiamo una storia sembra, quindi,
che noi istintivamente tendiamo ad integrare le informazioni ricavate dalla storia
con elementi presi dalla nostra esperienza personale sia che questi elementi siano
già presenti, in forma simbolica, nella storia o che siano letteralmente da noi
aggiunti come risultato di una nostra libera e personale interpretazione.
Alcuni autori, tuttavia, si spingono ancora oltre sostenendo che quando, ad esempio,
leggiamo una storia il nostro cervello, addirittura, simuli gli eventi che
stiamo leggendo attivando le stesse regioni cerebrali che vengono solitamente
elicitate durante l'esecuzione delle medesime azioni nella vita reale. Tutto
questo sia quando osserviamo altre persone svolgere quelle medesime azioni
sia quando siamo noi stessi ad eseguirle.
Secondo questi autori alla base della comprensione di un testo esisterebbe pertanto
proprio questa abilità del cervello umano di simulare mentalmente gli eventi narrati.
Parti diverse del cervello verrebbero, quindi, elicitate in risposta ai diversi
aspetti della storia come ad esempio la posizione spazio-temporale degli oggetti
e/o le intenzioni dei diversi personaggi o altro ancora.
Riprendiamo la frase, "Yesterday I shut my eyes, face up to the skies, drinking
in the rain". Indipendentemente dal fatto di aver vissuto o meno un'esperienza
del genere sembra che, leggendo questa frase, nel nostro cervello, a livello dalla
corteccia motoria e di quella somatosensoriale, si elicitino effettivamente quelle
stesse zone che vengono attivate quando chiudiamo i nostri occhi, rivolgiamo
il volto verso l'alto oppure quando beviamo o ancora quando la pioggia
o altro bagna la nostra pelle.
Cercare di comprendere i meccanismi che si trovano alla base dell'elaborazione del
linguaggio rappresenta, in realtà, una delle sfide più interessanti sia per le neuroscienze
che per le scienze cognitive.
Dal punto di vista di queste discipline l'elaborazione di un discorso o di una parola
non sarebbe, infatti, così come ritenuto in passato, limitata a quelle aree corticali
solitamente considerate i centri di elaborazione del linguaggio ma verrebbe topograficamente
estesa anche a quelle aree deputate all'elaborazione dei referenti (1)
ed essi relativi.
Le parole, infatti, vengono usate, il più delle volte, insieme ad un loro referente,
generalmente un oggetto o un'azione. Questi referenti rimandano ad esperienze di
tipo visivo, uditivo, tattile, motorio ma anche olfattivo e/o legate al gusto.
Pertanto nel momento in cui elaboriamo la forma e il significato di una parola,
nel nostro cervello, si attivano, come dicevamo prima, non soltanto quelle aree
solitamente considerate deputate all'elaborazione del linguaggio ma anche quelle
parti del cervello generalmente coinvolte nell'elaborazione di esperienze di tipo
sensoriale o di tipo motorio.
Molte ricerche svolte nell'ambito delle neuroscienze hanno infatti dimostrato lo
stretto legame che esiste tra il linguaggio e l'esperienza di tipo sensoriale o
di tipo motorio di un individuo.
Si veda, ad esempio, tutta la mole di lavori dedicata allo studio di quelle parole
che rimandano a specifiche risposte motorie o che si riferiscono a parti distinte
del corpo umano, come ad esempio braccio oppure gamba o altro.
I risultati di queste ricerche hanno dimostrato che, nel momento in cui leggiamo
parole che rimandano ad azioni che coinvolgono parti specifiche del corpo come,
ad esempio, il verbo raccogliere oppure il verbo baciare oltre ad
attivarsi le aree proprie del linguaggio si attivano anche quelle parti della corteccia
motoria e di quella premotoria solitamente coinvolte nei movimenti delle mani o
della bocca.
Lo stesso dicasi per quelle parole che rimandano ad esperienze di tipo sensoriale,
come ad esempio la parola pianoforte oppure carillon. Parole di questo
tipo sono in grado di attivare parti della corteccia uditiva anche quando presentate
unicamente in forma scritta. La stessa cosa accade con parole che rimandano ad altre
forme di esperienza sensoriale come ad esempio quella visiva o quella tattile ma
non solo.
Secondo Julio González et al., ad esempio, alcune parole ci rimandano automaticamente
ad odori, profumi, fragranze. Queste parole elicitano, a livello della corteccia
cerebrale, quelle zone solitamente coinvolte nella elaborazione degli stimoli olfattivi.
Tra queste l'amigdala generalmente associata alle emozioni.
Durante i suoi esperimenti Julio Gonzáles ha osservato che parole che rimandavano
a stimoli di tipo olfattivo come, ad esempio, aglio, cannella,
gelsomino e simili, attivavano gruppi di cellule nervose ampiamente distribuite
lungo tutta la corteccia cerebrale. Queste non si limitavano, scusate se mi ripeto,
soltanto a quelle aree solitamente deputate all'elaborazione del linguaggio ma si
estendevano anche a parti del cervello situate all'interno della corteccia olfattiva.
I sistemi neuronali elicitati nell'elaborazione di questo particolare tipo di parole
sarebbero, quindi, sia quelli solitamente coinvolti nell'elaborazione degli elementi
propri del linguaggio, in particolare, delle informazioni di tipo concettuale e
semantico sia quelli, invece, più strettamente associati ad informazioni di tipo
sensoriale.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda le ricerche fatte da Alfonso Barrós-Loscertales
et al. a proposito della lettura di parole che rimandano al senso del gusto,
sale ad esempio.
Anche in questo caso è stato preso atto di come l'elaborazione di una tale categoria
di parole attivi non soltanto quelle aree solitamente considerate proprie dell'elaborazione
del linguaggio ma anche parti del cervello coinvolte nell'elaborazione di esperienze
legate al senso del gusto.
Quindi, secondo questi autori, le parole non si limitano a veicolare informazioni
di tipo concettuale ma rimandano anche ad esperienze di tipo sensoriale e di tipo
motorio.
Queste diverse aree del cervello, per quanto topograficamente distribuite su una
superficie talvolta anche piuttosto estesa, si attivano (fire) insieme e si trasmettono
(wire) insieme lungo tutto il percorso neuronale.
Questo comportamento può essere spiegato con il principio di Donald Hebb sull'apprendimento
correlato (correlation learning).
Secondo Donald Hebb (1949), due cellule o due agglomerati di cellule che si attivano,
ripetutamente e allo stesso tempo tenderanno ad associarsi cosicché l'attività dell'una
facilita l'attivazione dell'altra.
Pertanto, se l'elaborazione di una parola produce, ogni volta, la co-attivazione
di aree deputate all'elaborazione di stimoli di natura non necessariamente linguistica,
come ad esempio la percezione visiva dell'oggetto, ma anche l'immagine mentale di
suoni, odori o movimenti del corpo, secondo il principio dell'apprendimento correlato
di Hebb, la sua attivazione comporterà, come conseguenza, la co-attivazione di quelle
specifiche aree cerebrali implicate nell'elaborazione dei referenti ad essa correlati.
Queste zone del nostro cervello, inoltre, come abbiamo più volte detto, si attiverebbero
non soltanto quando siamo noi stessi ad eseguire o a percepire una determinata azione
ma anche quando osserviamo altri farlo, sia nella vita reale che a livello immaginativo
come ad esempio durante la lettura o anche il racconto di una storia.
Esisterebbe dunque una strettissima relazione tra l'eseguire e l'immaginare
una determinata azione ma anche tra il percepire uno stimolo nella vita
reale oppure il ricordare quella stessa sensazione a livello immaginativo.
Tutto questo va a confermare quanto sostenuto da alcuni autori riguardo alla teoria
del linguaggio incarnato o incorporato in base alla quale le rappresentazioni
mentali che ci formiamo durante la lettura o durante l'ascolto sono solidamente
radicate nella nostra esperienza sensoriale e motoria.
Ma andiamo un po' più a fondo.
Per esempio che cosa accade, precisamente, nel nostro cervello quando ascoltiamo
una frase del tipo "Yesterday I shut my eyes".
Secondo il cognitivismo di tipo classico si formerebbero, a livello della memoria
a lungo termine, una serie di rappresentazioni astratte che verrebbero successivamente
integrate a formare il significato della frase.
L'aspetto prettamente fisico di questa azione, cioè l'atto motorio del chiudere
gli occhi, non svolgerebbe alcun ruolo significativo nella realizzazione di questo
processo.
Secondo teorie più recenti, in contrasto con il punto di vista del cognitivismo
classico, si attiverebbero, invece, in colui che ascolta o legge la frase, anche
quelle aree della corteccia motoria coinvolte nell'azione del chiudere gli occhi.
Alla base di questa teoria ci sarebbe il fenomeno della risonanza motoria
(motor resonance), secondo la quale quando una persona osserva qualcun altro
compiere una determinata azione verrebbero elicitate le stesse aree cerebrali attivate
durante l'esecuzione dell'azione stessa.
Molti studi su questo argomento sono stati stimolati dalla scoperta dei cosiddetti
neuroni specchio (mirror neurons).
In base a questa teoria esisterebbero nel nostro cervello alcune cellule che si
attivano quando osserviamo qualcun altro compiere un'azione che è, condizione necessaria,
parte della nostra esperienza (come ad esempio il chiudere gli occhi).
La cosa interessante è che questi neuroni specchio si attivano anche quando ascoltiamo
un suono associato ad una specifica azione premesso sempre che sia parte della nostra
esperienza.
Un altro aspetto molto interessante di questi neuroni specchio è che essi si attivano
anche quando intuiamo il non detto.
Questi studi traggono la loro origine da esperimenti finalizzati a monitorare l'attività
cerebrale nelle scimmie durante l'esecuzione di determinate azioni, come ad esempio
l'afferrare degli oggetti. Il caso volle che, in una di queste sedute sperimentali,
senza pensarci, uno dei ricercatori afferrò un chicco d'uva per mangiarlo. Nel cervello
della scimmia, che a sua volta lo stava osservando, si attivarono alcuni
neuroni di specifiche aree cerebrali coinvolte nell'esecuzione di quella medesima
azione, cioè coinvolte nell'atto dell'afferrare. Si è osservato, poi, in seguito,
che tali neuroni si attivavano anche quando le scimmie sentivano semplicemente il
suono di una determinata azione, come ad esempio il rompere una noce, oppure ancora
quando, semplicemente intuivano che il ricercatore stesse per compiere una specifica
azione. Ad esempio andare ad afferrare un oggetto nascosto alla vista da uno schermo.
La stessa cosa vale anche per gli esseri umani. Durante l'osservazione di azioni
di tipo motorio si è osservato che, oltre all'attivazione della corteccia visiva
conseguente all'atto dell'osservare, si aveva anche l'attivazione della corteccia
premotoria.
Sembra addirittura che questo fenomeno della simulazione mentale di un'azione osservata
sia fondamentale ai fini della comprensione dell'azione stessa.
Allo stesso tempo, la capacità di simulare le azioni altrui dipende largamente anche
dalla capacità di una persona di osservare, prevedere o monitorare le proprie stesse
azioni.
Queste teorie legate all'atto dell'osservare sarebbero state poi allargate a coinvolgere
anche il linguaggio.
In altre parole l'atto del simulare mentalmente una determinata azione
al fine di comprenderla non si verificherebbe soltanto quando osserviamo
in prima persona altri compiere quella determinata azione ma anche quando, ad
esempio, ascoltiamo qualcuno descriverla.
In base a questa teoria, nell'ascoltare una frase del tipo "Yesterday I heard
the rain, whispering your name, asking where you've gone" oltre
ad attivarsi, ad esempio, le aree della corteccia uditiva e visiva coinvolte sia
nell'ascolto della frase che nella ricostruzione mentale della scena, si attiverebbero
anche quelle parti della corteccia che verrebbero normalmente elicitate nel momento
in cui fossimo noi stessi, in prima persona, ad eseguire le azioni descritte, e
cioè l'atto dell'ascoltare, del sussurrare e del chiedere.
La presenza di questo tipo di risonanza motoria è stata infatti riscontrata anche
quando siamo guidati, nel compiere un'azione, da indicazioni verbali. Sembra quindi
che il riuscire ad eseguire le istruzioni ricevute sia dovuto proprio alla nostra
capacità di simulare mentalmente quanto ci viene richiesto.
A tutto questo dobbiamo, tuttavia, aggiungere che, nel momento in cui sentiamo articolare
un fonema si elicitano nella nostra corteccia cerebrale, in particolare a livello
della corteccia motoria, anche tutte quelle parti coinvolte nell'articolazione del
fonema stesso.
"L'ascolto passivo di parole e pseudo-parole induce l'attuazione dei centri corticali
specificamente coinvolti nella produzione dei gesti per l'emissione degli stessi
suoni".
"La percezione e la comprensione di un enunciato sarebbero sostanzialmente influenzate
dalla simulazione interna dei gesti che veicolano il linguaggio e che coinvolgono
labbra, lingua e altri effettori vocali".
Inoltre, secondo alcuni autori, il sistema motorio e, più nello specifico, il sistema
di risonanza motoria, si attiverebbe anche quando oltre ad ascoltare un fonema abbiamo
anche la possibilità di osservare le labbra e/o il volto di chi lo articola.
Quindi quando ascoltiamo una determinata parola non soltanto ne comprendiamo il
significato simulandone i referenti a livello corticale ma questa comprensione viene
rinforzata anche dalla simulazione della modalità con cui quella determinata parola
viene articolata.
È stato dimostrato, inoltre, che il fenomeno della simulazione mentale si verifica
anche quando ci troviamo a dover comprendere concetti di tipo più astratto.
Esso, ancora, sembra sia necessario anche per comprendere le intenzioni, le motivazioni
o le emozioni di altre persone.
Le cose da dire riguardo a questo argomento sarebbero ancora molte tuttavia credo
sia preferibile, per il momento, fermarmi qui. Avremo modo, comunque, di riprendere
parti di questa lezione e di svilupparle nel corso di lezioni successive.
Per chi, invece, fosse interessato ad un approfondimento personale dell'argomento
rimando alle bibliografie dei diversi articoli che potete trovare nella bibliografia
di questa stessa lezione. Bibliografia che non ha, è inutile puntualizzare, pretese
di completezza, ma che è stata pensata unicamente al fine di offrire alcuni suggerimenti
utili da cui far partire una propria ricerca individuale.
***
Ma a proposito di parole …
I primi due esempi che seguono, sono l'interpretazione di un brano composto, nel
1934, dal musicista americano Gordon Jenkins. Il testo è stato scritto, invece,
da Johnny Mercer.
Si tratta, in realtà, di una lettera dal contenuto apparentemente superficiale ma
che, a mio avviso, rappresenta un modo per sentirsi vicino alla persona che si ama,
in quel momento assente, semplicemente elencando fatti anche molto
banali che rimandano, però, alla loro vita in comune. Un modo quindi per rimanere
vicini, anche nella lontananza, attraverso il racconto della loro quotidianità.
Una lettera semplice ma carica di tenerezza interrotta ogni tanto, en passant,
da un semplice P.S. in cui chi racconta lascia comprendere a chi lo legge
che l'unica cosa che in quel momento vuole realmente fargli sapere è che lo ama.
La prima delle due interpretazioni risale ad un workshop a cui ho preso parte nel
settembre 2011. Il primo di una lunga serie
di workshop, a cui ho partecipato, tenuti dal musicista e maestro Barry Harris.
Esso è anche il primo brano in assoluto cantato in questa serie di workshop.
Anche in questo caso si trattava di un brano a me sconosciuto che ho dovuto imparare
in un lasso di tempo relativamente breve!
Come sempre mi limito a pubblicare il brano senza particolari commenti che rimando,
come per tutti gli altri brani fino ad ora pubblicati, ad un momento successivo.
Esempio 1:
P.S. I Love You (F) (Roma, 19 settembre 2011)
La seconda interpretazione di questo brano è stata fatta qualche anno dopo. Siamo
a Basilea nel giugno del '17. Questa volta il brano lo conoscevo … quindi non ho
scusanti per eventuali difetti di natura tecnica!
Esempio 2:
P.S. I Love You (F) (Basilea, 1 giugno 2017)
Quello che segue, invece, è l'ultimo brano cantato nell'ultimo workshop
fatto con il musicista e maestro Barry Harris … prima che il covid
ci dividesse tutti!
Il modo di stare sul tempo è notevolmente migliorato … l'impostazione vocale e …
l'intonazione sono invece da mettere ancora decisamente a posto …
Va, però, detto che ero piuttosto stanca … le classi iniziavano alle 11.00
con la lezioni di armonia … il tempo di mangiare… alle 15.00 c'era la classe dei
cantanti … subito dopo alle 17.00 la classe di improvvisazione!
Mangiare qualcosa … ripetersi il brano da cantare alla jam che iniziava tutte le
sere alle 22.00 e che, a volte, si protraeva fino alle 4.00 di mattina … quindi
di nuovo in piedi per studiare qualcosa prima di ricominciare con la lezione delle
11.00.
Ogni volta, nell'ultimo giorno del workshop era, per me, una seria sfida essere
fisicamente all'altezza della situazione … ma la creatività non si stanca mai …
anzi si prende più spazio quando il corpo e la mente sono stanchi!
Il brano in questione è East of the Sun and West of the Moon scritto, anche
questo, nel 1934, da un certo Brooks Bowman (2).
Esempio 3:
East of The Sun and West of The Moon (Db) (Roma,
6 settembre 2019)
Anche in questo caso, chi racconta, è felicemente innamorato. E questo sentimento
di gioia trabocca da tutto il brano!
NOTE:
(1) Referente: Realtà alla quale fa riferimento e rinvia un
segno linguistico, dizionari.repubblica.it
(2) Brooks Bowman, https://en.wikipedia.org/wiki/Brooks_Bowman
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Data pubblicazione: 11/09/2021
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