- Noi non sappiamo niente - questo è il primo punto.
- Di conseguenza, dobbiamo essere molto modesti - questo è il secondo punto.
- Che non diciamo di sapere, quando non sappiamo - questo è il terzo punto.
- Questa è all'incirca la concezione che io vorrei volentieri rendere popolare.
Ma non è che ci siano troppe speranze.
- Invece di posare a profeti, noi dobbiamo imparare a fare le cose nel miglior modo
che ci è possibile e ad andare alla ricerca dei nostri errori.
- Ma questo significa che: dobbiamo cambiare noi stessi.
Karl Popper
In una lezione precedente abbiamo parlato in maniera molto generica del potere evocativo
delle parole, della voce e di quello della musica.
Ma come viene affrontato questo argomento dal punto di vista della ricerca scientifica?
Ritornando alla parola rain e partendo dall'esperienza reale comincerei con
l'analizzare in che modo, generalmente, prendiamo coscienza del fatto che stia piovendo.
Si possono, ad esempio, vedere i segni delle gocce sul marciapiede... oppure, si
può sentire il rumore delle gocce che sbattono contro il vetro di una finestra o
ancora percepire la sensazione delle gocce sulla pelle... possiamo anche avvertire
l'odore della pioggia! E così via.
Possiamo, quindi, renderci conto che sta piovendo mediante la percezione di stimoli
di diversa natura che coinvolgono canali percettivi diversi.
Tuttavia possiamo prendere atto del fatto che stia piovendo anche, semplicemente,
mediante il linguaggio.
Ma il linguaggio può rimandarci sia ad un'immagine astratta che a sensazioni di
tipo percettivo.
Dobbiamo fare, pertanto, a questo punto una importante distinzione tra percezione
di uno stimolo e rappresentazione mentale dello stesso.
Se io guardo fuori dalla finestra e vedo che fuori sta piovendo, quella che
sto percependo è una stimolazione di tipo visivo. Se mi accorgo della pioggia
perché ne sento il ticchettio sui vetri di una finestra quella che sto percependo
è una stimolazione di tipo acustico. Se, invece, sento le gocce cadere sul mio braccio,
allora quella che sto percependo è una stimolazione di tipo tattile etc.
Se però qualcuno mi dice che fuori sta piovendo, allora devo farmi una rappresentazione
mentale della pioggia non essendoci un'esperienza diretta della percezione della
pioggia.
Questa rappresentazione mentale della pioggia, come dicevo prima,
può essere di tipo astratto oppure coinvolgere uno o più canali percettivi sebbene
in maniera, ovviamente, diversa da quella conseguente ad una stimolazione diretta.
Posso cioè semplicemente pensare alla pioggia oppure, ad esempio, posso
vedere la pioggia ‘con gli occhi della mente'.
Secondo alcuni autori questa differenza può dipendere dal fatto che si ascolti o
si legga una singola parola, ad esempio pioggia, oppure che si ascoltino
o si leggano informazioni più dettagliate che rimandano ad uno scenario più complesso
come ad esempio quando si ascolta una frase del tipo uscendo avvertii
il profumo dell'erba bagnata. Era evidente che avesse appena piovuto!
Ma anche quando ascoltiamo, semplicemente, la parola "piove!". Piove non è la stessa
cosa di pioggia. Piove è un verbo e quindi implica la presenza di un'azione e di
conseguenza produce, il più delle volte, un'immagine dinamica della pioggia.
Sempre secondo questi autori, la rappresentazione mentale più immediata che ci facciamo
nell'ascoltare o nel leggere una singola parola è una rappresentazione di
tipo astratto, semplicemente "pensiamo" alla pioggia. In altre parole, ci formiamo
un'idea della pioggia.
Una singola parola, infatti, non portando con sé altre informazioni se non quelle
proprie della categoria di appartenenza produce, nell'immediato, in chi ascolta
o in chi legge, una rappresentazione mentale più astratta e categorica dell'oggetto
o del concetto da essa rappresentato.
Diverso è, invece, quando ascoltiamo o leggiamo espressioni verbali che ci rimandano
ad una immagine più complessa che coinvolge uno o più canali percettivi.
In tali situazioni il cervello ha bisogno, infatti, di eliminare i dettagli superflui
e/o di contestualizzare il fenomeno al fine di poterlo identificare.
Nel leggere o ascoltare un'espressione verbale del tipo "sentii il profumo dell'erba
bagnata" è, infatti, molto più probabile che ci facciamo una rappresentazione mentale
di tipo percettivo delle informazioni da questa veicolate inserendole, inoltre,
all'interno di uno scenario più complesso.
Questo scenario verrà quindi arricchito con nuove informazioni man mano che si procede
nell'ascolto o nella lettura permettendoci così di valutare se il profumo
dell'erba bagnata sia dovuto alla pioggia o invece ad altre cause.
Tutto questo, è superfluo dire, non accade quando, invece, sentiamo semplicemente
la parola pioggia.
***
Ma veniamo adesso alla differenza tra le due parole piove e pioggia!
In entrambi i casi le due parole ci rimandano all'idea della pioggia anche se con
sfumature diverse. Come dicevo precedentemente la parola pioggia rimanda, il più
delle volte, ad un'idea astratta, e anche se di tipo visivo, comunque statica. Piove,
invece, essendo un verbo, rimanda ad un'azione e quindi ad un'immagine dinamica
del fenomeno. Almeno nella maggioranza dei casi.
Le rappresentazioni mentali, infatti, non sono quasi mai statiche, ma il
più delle volte sono rappresentazioni di tipo dinamico.
Durante l'ascolto di una frase o di un discorso le persone tendono, generalmente,
a farsi un'immagine mentale non soltanto della forma degli oggetti ma anche
della loro posizione e orientamento nello spazio o ancora se questi si trovino in
uno stato di quiete o di moto. Tutto questo anche nel caso in cui le informazioni
non vengano segnalate esplicitamente ma siano semplicemente presentate a livello
simbolico.
Nel momento in cui è stato chiesto ad alcune persone di formarsi una rappresentazione
mentale di ‘un'aquila in cielo' e di ‘un'aquila in un nido' queste tendevano ad
interpretare l'immagine mentale adattandola al contesto. Ad esempio un'aquila
in cielo era vista in movimento e con le ali aperte mentre un'aquila in un nido
era vista accovacciata e con le ali chiuse, nonostante questi particolari non fossero
esplicitamente espressi nella frase.
***
C'è però da dire che tutta una serie di altre informazioni non presentate esplicitamente
né deducibili a livello simbolico come, ad esempio, l'ambiente in cui le aquile
sono immaginate, il colore del piumaggio etc. varieranno a seconda dell'esperienza
personale di colui che legge o ascolta la storia.
E qui inseriamo un elemento nuovo: e cioè l'interazione tra la nostra esperienza
personale e le informazioni che apprendiamo durante la lettura di un testo.
Le informazioni di cui disponiamo nel momento in cui leggiamo una storia, infatti,
sono di gran lunga superiori rispetto a quelle narrate nella storia stessa. Esse
nascono dall'interazione della conoscenza personale che l'individuo ha del mondo
con le informazioni esplicitamente narrate nel testo.
Questo ha portato diversi autori a sostenere, addirittura, che sia proprio questa
interazione tra testo ed esperienza personale a guidare il lettore durante la comprensione
di una storia.
Durante la lettura di un racconto, infatti, le persone tendano a costruirsi, in
maniera del tutto spontanea, una serie di rappresentazioni mentali della storia
narrata al fine di comprenderne meglio le situazioni descritte.
Queste rappresentazioni mentali, molto più elaborate rispetto a quanto esplicitamente
narrato nella storia, si formano appunto, dall'interazione di quanto stiamo leggendo
con la nostra esperienza personale. Esse non sono statiche ma si riorganizzano via
via che si procede con la lettura del racconto.
Nel momento in cui leggiamo una storia, infatti, avviene il recupero dalla
nostra memoria di veri e propri modelli situazionali di riferimento (situation
model) o modelli di eventi (event model), già strutturati, formatisi
nel corso della nostra esperienza e che ci guidano nella comprensione del testo.
Le nuove conoscenze acquisite vengono quindi confrontate con questi modelli di riferimento
secondo un processo, come dicevo prima, di tipo spontaneo consolidandoli, modificandoli
o creandone di nuovi.
Tali modelli mentali possono riferirsi non soltanto alle azioni vere e proprie narrate
nella storia ma anche ad aspetti meno espliciti come le caratteristiche dei vari
personaggi, i loro obiettivi oppure ancora possono riferirsi agli oggetti o ai luoghi
con cui i personaggi interagiscono nel corso della storia e così via.
In più il nostro cervello tende a organizzare in maniera strutturata anche il flusso
continuo delle diverse vicende della storia suddividendole in segmenti aventi un
proprio significato autonomo e una propria logica e continuità anche dal punto di
vista spazio-temporale.
Anche in questo caso non vi è staticità ma i vari segmenti possono essere continuamente
ridefiniti in unità più ampie o più ridotte.
Talvolta, tuttavia, il nesso tra i vari eventi che costituiscono una storia non
è ben definito o comunque non risulta essere di facile comprensione. In questi casi
attingiamo ancora una volta alla nostra esperienza pregressa per trovare soluzioni
logiche che possano colmare questi vuoti e collegare tra di loro i vari eventi della
storia anche quando non si susseguono in maniera chiara e/o lineare. Tutto questo
si verifica, ripeto, in modo del tutto spontaneo.
Attingiamo alla nostra esperienza pregressa anche per prevedere situazioni non ancora
verificatesi nella storia ma che pensiamo stiano per accadere. Esiste, infatti,
nel lettore o in colui che ascolta la storia narrata la tendenza ad anticipare le
informazioni relative alla storia stessa.
Questo atteggiamento, che è la conseguenza del proiettare in ciò che si sta leggendo
o ascoltando la propria storia personale e/o che dipende dall'incisività delle rappresentazioni
mentali che ci eravamo fatti della storia fino a quel momento, interferisce con
le informazioni fornite nel corso della narrazione.
Una comprensione attendibile della storia o, comunque, di quanto si sta ascoltando,
dipende pertanto molto anche dal controllo di questa tendenza ad interferire
con le nuove informazioni che si stanno acquisendo.
Attingiamo al nostro vissuto autobiografico, inoltre, anche per entrare nella
mente dei personaggi intuendone le motivazioni e prevedendone il comportamento.
Ma anche per comprendere elementi del tutto estranei alla nostra esperienza
personale.
***
I modelli mentali che ci formiamo durante la lettura o l'ascolto di una storia possono
essere considerati come delle vere e proprie simulazioni di eventi concreti,
e si è osservato, inoltre, che essi condividono le stesse vie neuronali che si attivano
non soltanto quando eseguiamo noi stessi quelle azioni o quando osserviamo altri
compiere quelle stesse azioni ma anche quando semplicemente ricordiamo esperienze
realmente vissute, oppure anticipiamo avvenimenti non ancora accaduti oppure ancora
quando pianifichiamo. Ma anche quando ci immedesimiamo nell'esperienza di altri
e/o ne prevediamo le intenzioni.
Tutte queste funzioni cognitive, un tempo studiate individualmente, si è visto invece
essere tutte associate all'atto dell'auto-proiettare mentalmente se stessi
in situazioni altre da quella presente come ad esempio, appunto, quando ci ricordiamo
in situazioni passate, ci proiettiamo in situazioni future o immaginarie, quando
pianifichiamo oppure ancora quando ci proiettiamo nella mente di altre persone.
Questo fenomeno di auto-proiezione consiste, dunque, in una sorta di ‘disaccoppiamento'
della situazione presente da quella immaginata che ci permette, ad esempio, di ‘staccarci'
dal nostro punto di vista e di proiettarci nella mente di un'altra persona
comprendendone le motivazioni e/o intuendone le intenzioni.
Questo proiettarci nella mente di un'altra persona, però, non significa diventare
l'altro ma semplicemente attingere dalla nostra esperienza personale, per prevederne,
ad esempio, come accennavamo precedentemente, un possibile comportamento.
Alla base del fenomeno dell'auto-proiezione, come si deduce dalla parola
stessa, deve esistere infatti, necessariamente, uno stretto legame con il sé personale
oltre ad una valutazione soggettiva del tempo.
Oltre alla possibilità di proiettarci nella mente di un'altra persona, come abbiamo
visto, vengono fatti generalmente rientrare in questa categoria di funzioni cognitive
anche altre funzioni cognitive come ad esempio l'atto del ricordare oppure
ancora quello del pianificare.
In altre parole tutte quelle funzioni che necessitano il proiettarsi in situazioni
diverse da quella presente sia per tempo (dall'ora al poi) che per luogo (dal qui
al lì) ma anche, come dicevamo prima, per prospettiva (dal sé all'altro').
Fermo restando però, va puntualizzato, che esse siano sempre strettamente
riferite al sé personale e che si conservi una consapevole valutazione soggettiva
del tempo.
Alla base di tutte queste attività cognitive deve inoltre esistere il presupposto
che esse siano interamente generate dalla nostra mente. Si verifichi cioè uno
spostamento dall'esperienza esterna alla sfera puramente cognitiva dell'individuo.
Va puntualizzato, anche, che durante l'auto-proiezione o proiezione del sé, realtà
e immaginazione non vengono mai confuse. Probabilmente esiste una forma di regolazione
mediante la quale durante la simulazione di eventuali situazioni alternative a quella
attualmente esperita, la percezione del presente venga temporaneamente soppressa
per poi essere recuperata successivamente.
***
Questo spostamento dall'esperienza esterna alla sfera puramente cognitiva dell'individuo
che caratterizza le funzioni cognitive di cui si è fin qui parlato, richiede la
capacità da parte della nostra mente di costruire delle vere e proprie scene che
abbiano una loro vividezza e una coerenza sia dal punto di vista spazio-temporale
che di significato e che possano inoltre essere fermate in memoria in modo da poterle
manipolare ed, eventualmente, aggiornare.
Una funzione cognitiva chiave che si trova alla base di questo processo di
costruzione puramente cognitivo di scene o eventi è, dunque, ancora una volta, quella
del ricordare.
Al fine di poter costruire a livello immaginativo queste scene o questi eventi,
la nostra mente fa, infatti, riferimento prevalentemente alla memoria episodica.
Con il termine memoria episodica (o memoria dei fatti) ci si riferisce all'abilità
che ha un individuo di ricordare le esperienze della propria vita (what),
dove queste abbiano avuto luogo (where) e in quale momento particolare esse
si siano verificate (when).
Ogni nostro ricordo è solitamente accompagnato da una complessa immagine mentale
di ciò che stiamo ricordando.
Queste immagini mentali non sono, però, una mera riedizione di eventi del passato.
Studi recenti, infatti, hanno dimostrato che la memoria episodica non si limita
a svolgere semplicemente la funzione di conservare i nostri ricordi per poi rimandarci
delle repliche esatte delle nostre esperienze trascorse.
Essa è, invece, attualmente largamente considerata come un sistema di tipo costruttivo.
Ricordare non consiste, infatti, semplicemente in una riproduzione letterale di
un evento passato ma rappresenta un processo di vera e propria ricostruzione
durante il quale frammenti di informazioni tratti presumibilmente anche da esperienze
diverse da quella ricordata vengono letteralmente riorganizzati in rappresentazioni
mentali che, pertanto, non possono essere considerate scevre da errori o deformazioni.
***
Per quanto, tradizionalmente, gli studi sulla memoria episodica si siano soffermati
prevalentemente sulla sua funzione legata all'atto del ricordare, studi più recenti
hanno invece dimostrato che essa è coinvolta anche in diverse altre funzioni cognitive
come ad esempio quella del fantasticare, oppure quella del vagare con
la mente sia in relazione ad eventi trascorsi, che in relazione ad eventi non
ancora accaduti oppure ancora l'immaginare o il simulare esperienze
future, siano queste basate su esperienze reali o di tipo puramente fantastico oppure
il pianificare o ancora l'immedesimarsi in un'altra persona e prevederne
le intenzioni.
Pertanto, considerando che il futuro non potrà mai essere un'esatta ripetizione
del passato, la simulazione di eventi non ancora verificatisi, se non addirittura
mai vissuti in prima persona ma acquisti attraverso la lettura o il racconto fatto
da altre persone, necessitano, al fine di essere compresi, di un sistema che ci
permetta di attingere alle nostre esperienze pregresse in una maniera che sia di
tipo flessibile al fine di estrarre e, quindi, ricombinare tra loro elementi
che, per quanto appartengano alla nostra memoria autobiografica, andranno a costituire
scenari a noi del tutto nuovi.
Alla base del processo di costruzione di scene o immagini, siano esse immaginate
in un tempo passato o futuro, o basate su elementi realistici o di natura esclusivamente
fantastica esiste, dunque, mi ripeto, un vero e proprio processo di ricostruzione
e non un semplice attingere informazioni dalla memoria.
Tutto ciò ha fatto sì, come abbiamo visto, che la famiglia di processi cognitivi
di cui abbiamo abbondantemente trattato in questa lezione, venisse allargata a comprendere
anche quelle funzioni cognitive che non necessariamente coinvolgono il sé personale
o richiedano una valutazione soggettiva del tempo.
Le scene o gli eventi mentali ricostruiti, infatti, non necessariamente devono coinvolgere
il nostro sé in prima persona. In altre parole il sé che ricorda non necessariamente
deve coincidere con quello immaginato. È il caso, ad esempio, di quando immaginiamo
situazioni che riguardano le esperienze di altre persone.
Né devono necessariamente, essere inquadrate in un contesto spazio-temporale che
appartenga alla nostra esperienza personale o che sia costruito su basi realistiche.
Come quando, per esempio, leggiamo un racconto fantastico o ascoltiamo una favola.
Né ancora devono essere esperienze che riguardano avvenimenti già accaduti
o anche semplicemente già immaginati sia da se stessi che da altri. Come,
ad esempio, quando si ha una qualunque intuizione o si fa una scoperta scientifica
o ancora quando si produce un lavoro artistico.
Per concludere direi che, nel complesso, anche se approcciate da punti di vista
differenti, tutte le funzioni di cui si è trattato nel corso di questa lezione rimandano
ad uno schema comune: quello cioè della ricostruzione mentale di scene o eventi
e/o dell'auto-proiezione ma, soprattutto, del loro stretto legame con la memoria
autobiografica o, più in generale, con la memoria episodica. Che è ciò che a
noi, principalmente, interessa ai fini del potere evocativo delle parole.
Dato lo stretto legame di questi processi cognitivi con la nostra memoria, da cui
appunto il loro potere evocativo, va da sé, che il più delle volte, essi si portino
dietro anche dei vissuti emotivi.
Ma di questo ne parleremo in modo più approfondito in una prossima lezione.
***
Ma a proposito del ricordare...
Did I Remember (audio)
Ci troviamo ancora a Roma, questa volta siamo nel marzo del
2016, sempre ad un seminario del Musicista e
Maestro Barry Harris. È inutile puntualizzare che anche questo brano ho dovuto
memorizzarlo nello spazio di una lezione. Tra i diversi obiettivi, infatti,
portati avanti dal Maestro Barry Harris durante i suoi seminari c'è anche,
se non soprattutto, quello di rinforzare la nostra memoria dei suoni.
Per quanto riguarda il mio caso specifico, noto, come più volte puntualizzato, una
personalità stilistica già piuttosto sviluppata. A questa personalità stilistica
andrebbe, però, indubbiamente, aggiunto un più solido supporto tecnico. E non mi
riferisco soltanto alla tecnica vocale che è soltanto una delle tante competenze
che un cantante deve possedere.
Questo obiettivo, tuttavia, non è di semplice attuazione, in quanto si potrebbe
correre il rischio che le nuove competenze tecniche vadano a correggere questi
tratti stilistici già così chiaramente delineati anziché valorizzarli.
L'obiettivo è dunque quello di mettere la tecnica al servizio dell'originalità e/o
della spontaneità.
Che essa vada a sostenere la nostra creatività e non a mascherarla.
Ma come si fa????
Magari lo so già... anche se soltanto a livello dell'intelligenza intuitiva.
Sarà il tempo, comunque, a confermare o a confutare questa tesi.
Per il momento, data tra l'altro la complessità dell'argomento, mi limiterò a pubblicare
altri esempi, tratti sempre dalla mia storia vocale, semplicemente osservando
il modo in cui la mia tecnica si costruisce da sola. Rimandando, quindi,
ad un momento successivo l'analisi del modo in cui essa si è andata consolidando.
Questo è il motivo principale per cui ho scelto di mettere me stessa al centro
della mia ricerca.
L'autodidattica, infatti, consente non soltanto un'osservazione continua
e puntuale delle strategie personali di apprendimento, ma anche un'osservazione
di tipo attivo. Ci permette, cioè, di modificare il nostro percorso di crescita
semplicemente osservando, senza apparentemente intervenire. Facendoci guidare
ora, a livello inconscio, dalla nostra intelligenza intuitiva, ora
invece, a livello della consapevolezza, dalla semplice presa di coscienza di un
errore o di un tratto distintivo, ripeto, tutto questo senza apparentemente
intervenire.
Ma anche di questo ne parleremo in modo più approfondito in seguito.
A presto,
Sandra Evangelisti.
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Data pubblicazione: 24/04/2021
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