"Ogni viaggio anche il più lungo comincia sempre dal primo
passo"
anonimo
Sulla storia delle voci è stato scritto moltissimo. Tuttavia secondo l'approccio
di tipo classico, quando si parla di voci si è soliti parlare della vita dei cantanti,
della loro produzione discografica, di come debbano essere inquadrati in questa
o in quell'altra corrente stilistica.
E negli ultimi tempi, grazie al lavoro del dottor
Franco Fussi
e, sicuramente, a quello di molti altri, si parla anche di "come un determinato
cantante produca il suono e delle qualità vocali che ne contraddistinguono il canto"
(1).
Il mio obbiettivo, invece, è quello di procedere secondo una modalità leggermente
diversa.
Prima di tutto ci tengo a sottolineare che ciò che ho intenzione di fare
è cercare di scrivere una "storia della voce" e non una "storia delle voci".
Questa precisazione è importante perché l'oggetto della mia ricerca non sarà
il cantante, che passerà in secondo piano, ma la voce considerata
in tutte le sue possibili manifestazioni. Tuttavia per quanto non bisogna perdere
di vista la voce nella sua interezza e, soprattutto, la persona che esiste dietro
quella voce è necessario, ai fini pratici, delimitare il campo della ricerca. Decido
pertanto di concentrare, per il momento, la mia attenzione sull'aspetto stilistico.
Ma uno stile vocale è costituito da diversi elementi. L'elemento ritmico, ad esempio,
o quello melodico o, ancora, quello timbrico.
Quindi l'argomento è da considerarsi ancora troppo ampio per poter essere
studiato.
Per cui decido di cominciare il mio lavoro partendo dall'analisi delle timbriche
vocali o, volendo essere più precisi, dall'analisi di alcune tra quelle sonorità
che ritengo debbano essere considerate caratteristiche del tipo di vocalità da me
preso in esame.
Un tentativo, dunque, di riscrivere la storia del jazz partendo da
quelle sonorità che ne hanno contrassegnato lo stile.
Un primo passo da farsi, a questo punto, potrebbe essere quello di catalogare
le diverse sonorità che vengono, generalmente, considerate tipiche della vocalità
jazz.
Ma perché il lavoro possa essere realizzato al meglio è necessario fare un'ulteriore
riduzione e scegliere una tipologia di suono in particolare. Quindi analizzare le
diverse modalità in cui tale suono è stato utilizzato, a livello estetico, dai diversi
cantanti.
Decido, quindi, di scegliere come oggetto di studio il suono soffiato.
Ma l'oggetto della ricerca è ancora troppo vasto. Decido, pertanto, di limitare
la mia analisi alla produzione artistica di una cantante in particolare. Passerò,
successivamente, all'analisi di come questo suono sia stato utilizzato da altri
cantanti cercando di cogliere, dove possibile, eventuali affinità o differenze.
L'obiettivo è, dunque, quello di ricostruire la storia di un suono, "il suono
soffiato" appunto.
Ma perché ciò sia possibile oltre ad analizzare, come dicevo prima, le diverse
modalità in cui questo suono è stato utilizzato, a livello estetico, dai diversi
cantanti, ritengo sia anche necessario provare a definirne i confini non soltanto
da un punto di vista estetico ma anche da un punto di vista funzionale.
E' possibile, ad esempio, stabilire quando il suono soffiato è stato utilizzato
per la prima volta?
Ci sono periodi in cui è stato usato con maggiore frequenza?
Possiamo parlare di "influenze" da parte di particolari correnti stilistiche
oppure è più corretto pensare ad una spontanea tendenza all'imitazione che, nel
jazz, potrebbe essere la conseguenza di quell'intima convivenza, che è sempre esistita,
tra voce e strumenti a fiato?
Per quanto riguarda, invece, l'aspetto funzionale, è sempre possibile parlare
di suono soffiato o ci sono casi in cui si deve fare ricorso ad una terminologia
differente? "Voce astenica", per esempio, o "voce velata".
Inoltre "suono soffiato" e "voce soffiata" sono da considerarsi la stessa
cosa?
Che cosa si intende, dunque, esattamente, per suono soffiato?
Inoltre, nei casi in cui il suono soffiato "convive" con suoni "più timbrati"
possiamo sempre parlare di un suo uso volontario e consapevole da parte del cantante
oppure dobbiamo pensare ad una gestione scorretta dell'apparato fonatorio?
Infine nel caso di una voce costantemente "velata" possiamo parlare di scelta
stilistica o dobbiamo sospettare la presenza di una patologia?
Passiamo adesso ad un punto altrettanto importante.
A quali scienze ausiliarie possiamo ricorrere nel momento in cui decidiamo
di scrivere una "storia della voce"?
In altre parole a quali discipline dobbiamo guardare per la scelta di nuovi e più
appropriati strumenti di indagine?
E, inoltre, quali fonti considerare "materia prima" per il nostro lavoro?
Considerando il taglio di tipo storico che ho deciso di dare alla mia ricerca
va da sé che baserò la mia indagine prevalentemente sulla consultazione di materiale
documentario.
Tra le fonti dirette includerei, soprattutto, le registrazione audio
e video.
Tra quelle indirette, soprattutto, i testi scritti da foniatri,
musicologi, storici della musica… solo per citarne alcuni.
Non dobbiamo, però, dimenticare che la voce è un fenomeno che investe l'individuo
in tutta la sua persona per cui dovremo aprirci anche ad altre discipline come la
psicologia o le neuroscienze. Ma anche all'antropologia o,
ancora, alla sociologia.
Devo ammettere di trovare l'idea molto interessante anche se non la ritengo
certo di facile realizzazione.
Devo, inoltre, ammettere che il progetto è da considerarsi, sempre a mio
avviso, alquanto ambizioso.
Che fare allora tirarsi indietro??? MAI!!!!!
Pertanto l'unico consiglio che riesco a darmi in questo momento è quello
di cominciare a scrivere e, lasciandomi guidare dalla mia curiosità e dal
mio intuito (facoltà che affondano le loro radici in una discreta cultura
oltre che in una più che fervida capacità immaginativa), cercare di dare una
base scientifica a questi miei pensieri.
Come?
"Quando al maestro tibetano Chogym Trungpa fu chiesto come era riuscito
a sfuggire all'invasione cinese attraverso le cime nevose del'Himalaya
• con scarsa preparazione,
• poche provviste
• e non essendo sicuro né della rotta né del risultato finale…
la sua risposta fu breve: ‘un passo dopo l'altro'".
Vediamo adesso in che cosa potrebbe consistere questo primo passo.
Così come accade nella storia dell'arte e nell'archeologia
si potrebbe inizialmente pensare, come ho già detto precedentemente, ad un tentativo
di catalogazione.
Un tale lavoro, chiaramente, non può essere svolto da un'unica persona ma
richiede l'intervento di diversi studiosi.
Citando il Carandini "è, però, importante trovare un punto comune"
(2).
Pur riconoscendo che è ancora troppo presto cercare di definire un programma
di lavoro azzarderei, comunque, un primo tentativo.
Prima di tutto cercherei di contribuire al "lavoro comune" di catalogazione
provando, come dicevo in precedenza, a tracciare la storia del suono soffiato.
Per cui, tenendo come punto di riferimento il suono soffiato comincerei col
rintracciare, così come ho già puntualizzato in altra occasione, i diversi modi
in cui tale suono è stato utilizzato, da un punto di vista estetico, dai diversi
cantanti di jazz e proverei a darne anche una valutazione di tipo funzionale basandomi
sull'analisi percettiva, di tipo uditivo o visivo, delle fonti audio e video a mia
disposizione.
Cercherei, inoltre, di fare una discriminazione, dal punto di vista
terminologico, delle diverse modalità di produzione del suono soffiato aiutandomi,
prevalentemente, con la lettura di testi e di articoli scritti da foniatri o da
altri esponenti delle scienze mediche.
Per quanto riguarda l'analisi delle fonti dirette, di quelle cioè audio e
video, potrebbe sorgere il dubbio in merito alla veridicità delle informazioni rilevate.
In altre parole è possibile basare la nostra analisi esclusivamente su osservazioni
di tipo percettivo uditivo o, nel caso disponessimo anche di una documentazione
video, su osservazioni di tipo percettivo visivo?
A questo punto ritengo necessario segnalare quanto detto dal professor Franco
Fussi in un suo articolo riguardo alla valutazione del cantante ed in particolare
riguardo all'importanza che riveste, a tale fine, la valutazione di tipo percettivo
acustico.
Secondo il
Fussi,
infatti, "L'ascolto è alla base delle informazioni percettive che ogni buon foniatra,
e logopedista, dovrebbe raccogliere e integrare alle valutazioni strumentali che
la scienza gli mette a disposizione" (3).
E ancora, aggiunge "le cose che ascoltiamo nella voce del paziente, i
sintomi percettivi acustici, sono dei potenti orientatori diagnostici"
(4).
"Questo giudizio soggettivo della voce del paziente ha un peso importantissimo,
perché ci permette una sintesi diagnostica realistica di tutte le altre valutazioni
che abbiamo fatto o faremo sul paziente. Anzi, per una corretta interpretazione
di alcuni degli esami strumentali, non possiamo mai svincolarci dal dato percettivo
estemporaneo" (5).
"Una valutazione accurata deve considerare tuttavia oltre alle informazioni percettive
uditive anche quelle rilevabili mediante l'osservazione"
(6).
Il corpo "porta con sé, inconsapevolmente, e dunque in maniera del tutto
spontanea una serie di informazioni sulla gestione posturale che ci saranno molto
utili, a patto che sappiamo osservarle e leggerle"
(7).
Per chi si trova a dover lavorare esclusivamente con fonti audio e video
la capacità di ascoltare e quella di osservare diventano, quindi, requisiti fondamentali
da cui non è possibile prescindere.
Per quanto riguarda le possibilità di lettura di una registrazione audio,
vorrei richiamare l'attenzione sul modello proposto da Franco Fussi e
Nicoletta Zuccheri in un loro articolo sulla vocalità di Bessie Smith
(July, 1892 – September 26, 1937)
(8). In quest'articolo gli autori, utilizzando la tecnica spettrografica,
fanno un'indagine molto approfondita sia dell'aspetto funzionale che di quello stilistico
della vocalità della cantante. Ed ecco che entra in gioco un'altra disciplina, la
fisica acustica e un nuovo strumento di indagine, la spettrografia.
Un altro passo interessante, sempre che non sia già stato compiuto, sarebbe
poi, una volta preso atto di quei suoni che possono essere riprodotti anche da una
voce sana e che, quindi, potrebbero essere utilizzati ai fini estetici, farne delle
valutazioni endoscopiche allo scopo di identificarne le modalità di realizzazione
e l'eventuale pericolosità.
Raccoglierle, quindi, in una sorta di dizionario per il cantante,
in cui sia possibile leggere e vedere le caratteristiche funzionali delle diverse
sonorità usate nei vari stili vocali.
Fare, inoltre, delle "videoteche foniatriche" dove tutto questo materiale
sia messo a disposizione di chi abbia necessità di consultarlo.
A tale proposito devo citare ancora il professor
Franco Fussi
dal quale, tra l'altro, ho preso l'espressione "videoteca foniatrica", il quale
alla mia domanda se esistessero delle video-fonoteche dove, per un non addetto ai
lavori, fosse possibile consultare video sul lavoro delle corde vocali durante il
canto, lui rispose che nel convegno tenuto a Ravenna nel
2005 furono mostrati 18 tipi di fonazione di un attore-cantante
(9). Mentre il Metodo ViceCraft, da anni illustra,
anche in stroboscopia, le modalità di emissione di varie qualità di canto.
Per quanto riguarda, nello specifico, il suono soffiato ritengo sia importante
segnalare il lavoro che sta portando avanti il professor Christian Herbst
sul contatto glottico nel canto (10).
Per quanto riguarda, invece, l'aspetto patologico della voce soffiata esiste
tantissimo materiale pubblicato e non pubblicato.
Il tutto sta, perdonatemi se mi ripeto, nel catalogarli in modo che
diventino facilmente reperibili per chi decida di svolgere delle ricerche in questo
settore.
Ai fini, invece, della comprensione del perché si riscontrino in modo così frequente
alti livelli di fonastenia nella voce degli strumentisti a fiato (vedi ad esempio
Roy Eldridge) interessante è il lavoro svolto dalla dottoressa
Emanuela Di Lullo in collaborazione con il conservatorio di Napoli, S. Pietro
a Maiella (11), sul comportamento glottico
e del vocal tract negli strumentisti a fiato e quello del dottor Ugo Cesari
(12) riguardo alla valutazione endoscopica
da lui realizzata sempre sugli strumentisti a fiato.
Io qui mi sono limitata a parlare di "suono soffiato" e di "jazz" ma è inutile
dire che sarebbe interessante, sempre che, anche in questo caso, non sia già stato
fatto, allargare il discorso allo studio delle timbriche vocali che contraddistinguono
la vocalità di altri generi musicali e non soltanto di quelli che appartengono alla
nostra cultura ma anche di quelli che si sono sviluppati in altri ambiti culturali.
Cercando, magari, dove è possibile, di coglierne il nesso con le caratteristiche
fonetiche della "lingua di origine".
Prendiamo, per esempio, il modo singolarissimo di usare la voce nel teatro
giapponese o, ancora, nell'opera di Pechino, in Cina, solo per citarne alcuni.
Per quanto riguarda l'uso della voce nel "Rock" vorrei segnalare il lavoro
che stanno portando avanti il dottor Massimo Borghese e la dottoressa
Alessandra Trenta sul suono "graffiato" (13).
Per quanto riguarda, invece, lo sviluppo della vocalità nella cultura di
altri paesi e l'uso della voce come strumento comunicativo, ci tengo a segnalare
l'interessante seminario dal titolo significativo di Musica occidentale orientale
che oramai da diversi anni il professor Giovanni La Guardia
(14), docente di "Sociologia della letteratura",
organizza presso la sede dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli
(15).
NB: per quanto, personalmente, trovi molto interessanti le ricerche e i seminari
qui sopra segnalati, non mi pronuncio, però, sulla qualità dei lavori, la cui valutazione
delego a persone più competenti di me.
A presto,
Sandra Evangelisti.
Napoli, 24/11/2007
NOTE:
(*) Questa lezione è stata scritta dopo la pubblicazione delle due lezioni dedicate
ad Anita O'Day e, come si può intuire da alcune segnalazioni in essa contenute,
anche dopo il convegno sulla voce artistica che si è tenuto a Ravenna nell'ottobre
2007 e al quale ho preso parte in qualità di
relatrice (click).
Ho ritenuto opportuno fare questa segnalazione in quanto queste esperienze, consentendomi
di mettere per iscritto e di riformulare una serie di concetti già esposti in occasioni
precedenti (Sandra
Evangelisti, "La
voce sporca: arte versus terapia") sono state determinanti per la
stesura di questa lezione.
Il motivo per cui, tuttavia, ho deciso di inserire questa lezione in questo punto
dell'indice, cioè, prima delle due lezioni dedicate ad Anita O'Day, è dovuto prevalentemente
ad una esigenza di dare forma ordinata ai miei pensieri che, come spesso accade
quando si fa ricerca, non sempre si presentano alla mente nella sequenza corretta.
Come dice, infatti, il Carr a proposito di questo aspetto della ricerca.
"In genere si suppone che lo storico divida il suo lavoro in due fasi o periodi
nettamente distinti.
Dapprima, egli passa un lungo periodo preliminare leggendo le fonti e riempiendo
quaderni di fatti; poi, finita questa fase, mette da parte le fonti, tira fuori
i quaderni di appunti e scrive il libro dal principio alla fine.
Questo quadro mi sembra improbabile e scarsamente convincente.
Per quanto mi riguarda, appena mi sono inoltrato in alcune delle fonti notoriamente
essenziali, comincio a scrivere - non necessariamente dall'inizio, ma da un punto
qualsiasi.
Da questo momento il leggere e lo scrivere vanno avanti parallelamente. Ritorno
su ciò che ho scritto, faccio aggiunte, tagli, correzioni, cancellature, e mi rimetto
a leggere.
La mia lettura è guidata, diretta e resa più proficua da ciò che ho scritto:
più scrivo e più mi rendo conto di ciò che sto cercando, e insieme capisco meglio
il significato e l'importanza di ciò che trovo". Edward H. Carr, Sei lezioni
sulla storia. La Rivoluzione Russa, Torino: Giulio Einaudi Editore,
1980, pp. 33-34.
Un po' come accade nella ricerca scientifica. In una precedente lezione avevo, infatti,
scritto che "Il cervello, nel migliore dei casi, è un posto disordinato anche
quando ci si misura con le idee più semplici (...). Gli scienziati non pensano per
linee rette. Strada facendo escogitano concetti, prove, elementi rilevanti, collegamenti
e analisi scandagliando il tutto in forma frammentaria e senza un ordine specifico
(...) in cerca di oggetti e di avvenimenti che fino a quel momento nessuno aveva
osato immaginare (...). I ‘fatti' da valutare e la loro interpretazione sono spesso
sfuggenti, e spesso mutano in relazione alle nuove domande che gli scienziati si
pongono e alle nuove tecniche che sviluppano per darvi risposta (...). I libri di
testo tendono ad essere approssimativi e superficiali nei loro resoconti degli avvenimenti
scientifici, presentando un regolare continuum di successi; di rado i lettori sono
informati delle false partenze, dei vicoli ciechi, dei fraintendimenti, o dei completi
fallimenti (...). E come Stephen Jay Gould sottolinea in una recensione dell'interessante
autobiografia (1986) del premio Nobel Peter
Medawar, lo stesso vale per gli articoli delle riviste scientifiche, il cui
stile standard ‘…interpreta male, e addirittura falsifica, i reali procedimenti
della scienza…'. La logica semplificante dei resoconti induttivisti - dall'introduzione,
ai materiali e metodi impiegati, ai risultati conseguiti e alle conclusioni tratte
- tralasciano le basilari dimensioni umane dell'ipotesi, della confusione, dell'errore
e della collegialità del lavoro" (Per quanto riguarda i riferimenti bibliografici
delle citazioni sopra riportate si veda,
Sandra Evangelisti,
"Rimaniamo
nella pratica... Unisono o non unisono?!?").
(1) Franco Fussi, Nicoletta Zuccheri, "La vocalità di Bessie
Smith, the empress of blues", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante:
Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, volume III, 2005, p. 229; Per quanto
riguarda, invece, più nello specifico, il contributo del dottor Franco Fussi allo
sviluppo della ricerca scientifica sulla voce artistica, si veda
www.voceartistica.it
(2) Andrea Carandini, Storie della terra: Manuale di scavo archeologico, Torino:
Giulio Eiunaudi editore, 2006 (1991), p. xv;
(3) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), La
voce del cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, volume III, 2005,
p. 34;
(4) Ibid. p. 41;
(5) Ibid. p. 41;
(6) Ibid. p. 35;
(7) Ibid. p. 36;
(8) Franco Fussi, Nicoletta Zuccheri, "La vocalità di Bessie Smith (July, 1892 –
September 26, 1937), the empress of blues", in Franco Fussi (a cura di), op. cit.,
volume III, 2005, pp. 225-246;
(9) Franco Fussi, Matteo Belli, "Fisiologia vocale e espressività",
http://www.voceartistica.it/home.php?Lang=it&Item=BELLI_new
(10) "Schonherr rechtsanwalte: Dr. Christian Herbst",
http://www.schoenherr.at/html/cv/herbst.de.html
(11) "Conservatorio di musica, S. Pietro a Majella",
http://www.sanpietroamajella.it/it/Home.html
(12) "Università degli studi di Napoli, Polifederico II",
http://www.unina.it/index.jsp
(13) "Massimo Borghese", http://www.massimoborghese.it/home.aspx
(14) "Giovanni La Guardia",
http://www.docenti.unior.it/paginaDocente.asp?IdDocente=227
(15) "Istituto Universitario Orientale", http://www.iuo.it/
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Data pubblicazione: 24/11/2007
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