Parma Jazz Frontiere
26 novembre - CASA DELLA MUSICA ore 21.00 Baraka Speech Quartet Amina e Amiri Baraka voce Dave Burrell piano William Parker contrabbasso
di Marco Buttafuoco
A distanza di ben 45 dall' uscita de "Il popolo
del blues", un testo che rivoluzionò a suo tempo il modo di guardare
alla storia della musica afro-nord americana, Amiri Baraka /Leroi Jones
continua ad essere al centro della discussione artistica e storica sul jazz, sulla
negritudine, sull' arte e l' impegno civile. Anche perché l' età (74 anni) non ha
affatto né rallentato l' attività poliedrica né diluito l'ardore rivoluzionario
di Amiri, che continua a girare il mondo per denunciare la politica americana e
la condizione del suo popolo nella società statunitense.
Di quanto il vecchio leone abbia ancora gli
artigli affilati e sia ancora in grado di ruggire aggressivamente (e dolorosamente)
si è avuto la prova in una reading poetico che l' artista ha tenuto a Parma, nell'ambito
di Parma Jazz Frontiere). Sul palco, insieme a lui, la moglie Amina,
quasi ieratica nel portamento e struggente nel modo di declamare i testi (bellissima
la prima lettura ispirata a "Strange fruit")
Accanto a loro un duo di musicisti come
William Parker
e Dave Burrell. Semplicemente il meglio dell' avanguardia newyorkese. I due
non si sono però avventurati, se non nella parte finale, sul terreno dell' informalità
e della sperimentazione, del free jazz. Hanno suonato anzi brani conosciuti e noti
in maniera molto tradizionale. "Night in Tunisia"
suonava antica, come un vecchio rag time, colonna sonora di qualche club di Harlem
o di Chicago dell' inizio del ventesimo secolo.
Nelle parole infuocate dei due poeti, nel loro modo di porgere il testo
al pubblico c'era in realtà tutta intera la tradizione nero americana. Soprattutto
quella della chiesa. Le parole di Amiri e Amina sembravano sempre sconfinare nel
canto, come i sermoni dei predicatori debordano nel gospel. C'era sacralità e vita
quotidiana nelle due voci e nelle musiche del duo, un urlo rabbioso ed una preghiera,
ansia di cambiamento sociale e amore sconfinato per la tradizione, denuncia aspra
e malinconia. D'altronde, aveva affermato lo stesso Baraka presentando la
sera prima la sua performance e la sua concezione dell' arte "il vero nucleo
costitutivo della identità afro-americana è la musica". Senza di essa non si
da conoscenza dell'anima dei discendenti degli schiavi deportati dall' Africa. E
la musica ha sottolineato qualsiasi passaggio della loro storia: dai canti di lavoro,
alla musica corale religiosa, al blues, che segnò il passaggio dalla condizioni
di schiavi a quella di proletari urbani e rurali, fino al rap che è l' espressione
della vita di oggi.
Certo è mancato, non poteva essere diversamente, un elemento essenziale
della espressività afro-americana: la corrispondenza, l' interazione fra artista
e pubblico, fra chi parla ed ascolta. Ascoltavi Amiri e pensavi al Malcom
X interpretato da Denzel Whashington, a quegli infiammati sermoni punteggiati
dai commenti dei presenti, che quasi ne scandivano il ritmo. Pensavi anche, perché
no, al
James Brown predicatore nei "Blues Brothers". Baraka,
è un grande estimatore di Brown. Eravamo tutti attenti e coinvolti, appassionati
anche, ma i versi di Amiri erano qualcosa di altro, di molto diverso rispetto al
nostro modo di ascoltare, di rapportarci ad un evento artistico. L'eterno, affascinante
problema, di cosa siano il jazz ed il blues, di quanto i linguaggi afro americani
siano o possano essere linguaggi universali. Di quali frutti siano germogliati da
quelle radici profonde. E' finita però con Baraka a parlare con il pubblico
ed a vendere libri ed opuscoli autoprodotti (L' establishment culturale USA non
lo ama certo particolarmente) e con i musicisti che parlavano con i presenti.
La sera prima, davanti allo stesso Baraka, due eminenti americanisti
italiani, Franco Minganti e Giorgio Rimondi, avevano presentato un
volume a lui dedicato. Un libro dalla struttura un po' insolita: la prima parte
dedicata ad una serie di saggi sul già Leroi Jones,, sulla sua inquieta ed
a volte incoerente avventura intellettuale. Esponente dell' avanguardia letteraria
prima, poi militante dei gruppi radicali degli anni 60 nero, poi musulmano (il suo
nome attuale deriva da quel periodo poi superato) ed in ultimo marxista leninista.
Oltrechè ovviamente critico insigne di jazz, poeta, narratore, drammaturgo. Un incrocio
frenetico di esperienze, un ansia continua di strade nuove che partano sempre però
da un punto preciso: dall' esperienza sociale ed artistica di quei milioni di donne
ed uomini sradicati a forza dalla loro terra d' origine e scaraventati in un mondo
nuovo ed incomprensibile, ostile. La seconda parte presenta invece scritti inediti
di Amiri. Racconti come "The screamer", scritti come un lungo assolo di un
sax, quasi con piglio coltraniano. Squarci autobiografici, poesie intrise di feroce
tenerezza, abbaglianti bagliori critici sul jazz e sulla sua vicenda. Difficile
cogliere il meglio in una proposta tanto ricca e quasi debordante.
Probabilmente bisognerebbe leggere il libro partendo proprio dalla seconda
parte. Lasciarsi trascinare dalla corrente, commuoversi sul bellissimo epitaffio
che Baraka dedica a Miles, sentirlo raccontare la musica di Ellington,
Ornette, Monk, Sun Ra, Coltrane. Immergersi nell'atmosfera
densa del locale in cui si agitano i suoi screamers ed uscire con loro in processione
danzante sulle strade del ghetto, Ascoltare i suoi ricordi su Mingus (la pagina
di Baraka va ascoltata come una musica). Seguire il suo lucidissimo ragionamento
sui nessi che collegano
James Brown
e il R&B al gospel ed al free jazz, i trombettisti di New Orleans a Dizzy.
Per immergersi poi nel vasto paesaggio critico tratteggiato dagli autori
dei saggi. Approfondite riflessioni che mettono in luce anche i limiti del personaggio:
l'incoerenza, l' arroccamento in un nazionalismo culturale non sempre produttivo,
una certa contraddittoria misoginia. Fra di esse, ma per soli motivi di spazio,
cito il saggio di G. Cane dedicato alla diffusione in Italia de "Il popolo
del Blues" (ed allo stato attuale del jazz)e il glossario Barakiano di Giorgio
Rimondi.
In ogni caso di Baraka, non si può fare a meno se si vuole capire
come e quanto la musica afro americana sia espressione di una vicenda storica lunga,
complessa, drammatica ed affascinante. Non si può fare a meno di leggere "Il
popolo del Blues". Non si possono non fare i conti con la sua voce libera ed
aspra, anche se spesso il suo concetto, molto totalizzante ed assoluto, di negritudine
non può essere completamente condiviso
Amiri Baraka Live
Amiri Baraka reciting Lowku New York, Central Park Summerstage 8/2/07
Lunch Poems A noontime Poetry Reading Series Amiri Baraka 1 november 2007 - University of California - Berkley