Franco Cerri
Chitarrista Jazz, Compositore e Didatta
Tesi di Laurea di:
Marco Vitali
Relatore:
Prof. Vincenzo Caporaletti
Anno Accademico 2007/2008
- Parte 1 -
Prefazione
Devo anzitutto ringraziare il professor Vincenzo Caporaletti che mi ha consigliato
ed aiutato nel prendere la difficile decisione di elaborare una tesi su
Franco Cerri.
Inizialmente ero spaventato dall'idea di intraprendere una ricerca su un chitarrista
fondamentale del panorama non solo italiano ma mondiale. Successivamente ho accettato
questa sfida e mi sono appassionato sempre di più a questo lavoro. Man mano che
andavo avanti vedevo crescere in me la voglia di non lasciare nulla al caso e di
trattare l'argomento in modo esaustivo e preciso.
Man mano che progredivo nello studio mi sono anche reso conto che esiste tutto un
altro mondo nel quale si è sviluppata la musica jazz, rispetto a quanto da me creduto.
Inizialmente ero abituato ad ascoltare e seguire soltanto la "scena" Americana e
poco mi interessavo a quello che era accaduto e che succedeva nel mio paese. Grazie
a questa ricerca ho aperto gli occhi ed ho scoperto moltissimi grandi artisti italiani
che non conoscevo, e ho potuto così colmare parte delle mie lacune. Nella trattazione
della biografia e della relativa discografia di
Franco Cerri
ho iniziato a reperire informazioni anche su moltissimi artisti con i quali il maestro
ha collaborato. Ho avuto anche avuto la fortuna di poterlo intervistare nella sua
scuola di Milano. In quella occasione sono venuto a contatto con una vera e propria
icona del jazz, una persona stupenda che si è dimostrata molto disponibile nonostante
i moltissimi impegni. Nell'agosto del 2008 il
maestro insieme alla sua band ha tenuto un concerto a Recanati dopo quasi venti
anni. Come lui stesso ha sottolineato commosso durate la propria esibizione l'ultima
volta che aveva suonato in questo paese era in compagnia di suo figlio Stefano.
In questa occasione ho potuto vedere all'opera un musicista che non sente affatto
il peso degli anni e ascoltare di persona quello che ero abituato a sentire sui
dischi. Anche in questa occasione ho avuto il piacere di fare una breve chiacchierata
con lui e di illustrargli i miei progressi e le mie difficoltà. Credo che questo
lavoro sia servito notevolmente alla mia crescita musicale e umana.
Marco Vitali
Novembre 2007
Introduzione di Franco Cerri
Prima di cominciare la trattazione della mia tesi di laurea vorrei riportare
in modo integrale la parte iniziale dell'intervista fatta a
Franco Cerri.
Di questa sua premessa mi ha particolarmente colpito che nonostante tutto il successo
ottenuto negli anni
Franco Cerri
sia rimasto una persona discreta, disponibile e molto professionale.
«Prima di iniziare vorrei fare una piccola introduzione. Vorrei anzi tutto
dire che sono una persona che non ha mai assistito ad una lezione di musica in vita
sua. Tutto ciò che conosco lo ho imparato da solo. Sento la mancanza della parte
accademico didattica che mi avrebbe senz'altro aiutato a capire bene le cose. Muti
mi diceva sempre che ero fortunato perché non ero mai venuto a contatto con la scienza
infinita che è la musica. Con questo oceano. Lo diceva anche Stravinskij! So un
sacco di cose ma non so i loro nomi specifici. Non mi interessano le scale, le faccio
ma non so che si chiamano così né mi interessa. Suono in modo automatico. Quando
si suona non c'è tempo per pensare, non posso pensare se mettere una scala misolidia
o una pentatonica, la musica va avanti! So leggere e scrivere la musica ma ho imparato
tutto da solo. Pensi che durante la mia carriera molti ragazzi che ho incontrato
mi hanno accusato di essere la causa di molte cose che oggi si studiano. Ho avuto
la fortuna di riuscire a percepire con immediatezza la musica che viene eseguita
e suonare di conseguenza. Amo quello che faccio, mi piace il jazz e la musica e
mi ritengo molto fortunato di avere avuto questa opportunità…"»
[1].
Il Contesto Storico: il Radicamento del Jazz in Italia
Diamo un sintetico sguardo preliminare al panorama musicale da cui è emersa la figura
di Franco
Cerri.
Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale In Italia si conosceva poco della
rivoluzione musicale che stava avvenendo negli Stati Uniti con la diffusione della
musica jazz. Questo genere musicale nasce e si sviluppa in America agli inizi del
Novecento dall'incontro, grosso modo, di elementi melodico-armonici di origine europea
e di elementi timbrico-ritmici di derivati dalla cultura afro-americana. Questa
visione piuttosto schematica, in ogni caso, è stata messa molto in discussione:
cfr. Gerhard Kubik, "Presenza della musica africana nel jazz", in Jean
Jaxques Nattiez, Enciclopedia della musica, Einaudi,
2001, pp. 1064-1101).
La parola "jazz" deriva il suo significato originario
dalla sfera sessuale. Non si conosce l'esatta data di nascita del jazz come genere
ben definito e distinto ma il termine jazz entra nell'uso corrente intorno al 1913-1917
[2]. Il primo disco di jazz è stato realizzato
a New York nel 1917 dalla Original Dixieland Jazz Band formazione guidata dal trombettista
italo americano
Nick La Rocca[3].
Nonostante i maggiori contatti avvennero durante il secondo conflitto mondiale il
jazz si diffuse in Italia anche negli anni precedenti. Questo genere musicale si
sviluppò e diffuse in Italia grazie all'avvento prima del disco e poi della radio.
L'esordio radiofonico di questo genere musicale avviene nel 1926 a Milano dove viene
trasmesso un programma animato dalla jazz band del maestro Stefano Ferruzzi
[4]. Inizialmente il costo dei vari apparecchi
era piuttosto elevato ma il regime fascista e lo stesso Benito Mussolini intuirono
subito l'importanza del mezzo per la propaganda politica ed attuarono dei piani
per la riduzione dei costi. Contribuirono così anche se in maniera involontaria
ad una prima diffusione della musica afro–americana[5].
Nel 1927 uscì The Jazz Singer,
(Il cantante Jazz) di Clan Crosland, considerato il primo film sonoro della
storia,, anche se in realtà era stato preceduto da altri esperimenti.[6]
La sincronizzazione tra il suono e la scena proiettata fu così trasmessa per la
prima volta e il film prodotto dalla Warner Brothers riscosse un enorme successo
di pubblico. Fu trasmesso al Warner's Theatre di New York il 6 ottobre. La colonna
musicale non fu appositamente composta ma comprendeva composizioni classiche, arrangiamenti
fatti per l'occasione e canzoni del repertorio del cantante Al Jolson
[7]. Il film arrivò nelle sale Italiane l'anno
successivo [8]. Il film è costruito sulla
figura del famosissimo cantante Al Jolson che risulta essere anche l'attore che
esegue i brani [9].
Negli anni 1928 e
1929 si riscontra un boom nelle vendite dei dischi.
I prezzi variavano dalle 8 alle 32 lire in base al formato (20 o 30 centimetri)
[10]. Già negli anni successivi al primo conflitto
mondiale fiorirono nel nostro paese alcune orchestre che proponevano la musica americana
anche se la diffusione della musica jazz rimase un fenomeno ridotto. Molti musicisti
attivi in America emigrarono infatti in Europa dopo il crollo della borsa di Wall
Street e la conseguente crisi del 1929. Molti di loro si ritrovarono senza lavoro
e furono spinti a cercare una situazione più favorevole all'estero
[11]. Il jazz che arrivò in Italia era di
due matrici: quella di colore (hot) per lo più strumentale e improvvisativa
e quella bianca (straight) orchestrale e basata sulla ripetizione continua
del tema che passava a turno ai vari strumenti [12].
E' senza dubbio il secondo filone che si è diffuso maggiormente in Italia. Nella
versione orchestrale era assente la parte improvvisativa e la musica proposta serviva
ad accompagnare i balli [13].
I maggiori esponenti che hanno contribuito alla diffusione della musica
jazz nel nostro paese furono: Pippo Barzizza, Angelo Cinico Angelini,
Carlo Zeme con le loro orchestre. Nell'orchestra di Barzizza coesistono strumenti
ad arco propri della tradizione europea, fiati, contrabbasso e batteria derivati
dalle big band americane e anche la fisarmonica [14].
L'ispirazione dai quali prendevano spunto era quella delle grandi orchestre d'oltre
oceano ma a differenza delle stesse quelle italiane erano stabili perché avevano
dei finanziamenti pubblici. Questo contribuì alla loro longevità tanto che rimasero
attive dal 1935 al
1942 [15]. Un altro esponente di
spicco di questo periodo è
Gorni Kramer. Kramer (una delle prime collaborazioni importanti di
Franco Cerri)
è stato uno dei primi compositori ed esecutori attivi in Italia negli anni trenta.
Fisarmonicista e compositore di Mantova, Kramer con il suo complesso ristretto si
ispirava al quartetto di
Benny Goodman e al Quintette du Hot Club de France Di Stéphane
Grappelly e Django Reinhardt [16].
Durante la seconda metà degli anni 20 fino alla prima metà degli anni
30 la musica jazz, che fino a quel momento non era stata troppo ostacolata dal regime
fascista, inizia ad avere le prime censure verbali. Queste si fecero durante gli
anni sempre più dure e pressanti [17]. Le
interdizioni effettive arrivarono più tardi [18].
La musica afro - americana era infatti espressione privilegiata delle nazioni con
le quali l'Italia del regime fascista era entrata in attrito
[19]. Il termine jazz che fino agli anni ‘30 era utilizzato regolarmente
per radio inizia a diradarsi. Come se non bastasse, il 3 ottobre 1935 l'Italia intraprese
la campagna per la conquista dell'Etiopia e il regime non voleva diffondere per
radio musiche di origine africana: anzi, cercò di rilanciare le musiche di origine
italica[20]. Una delle rarissime eccezioni
fu l'esibizione a Torino del trombettista e cantante
Louis Armstrong
(New Orleans, 4 ago 1901 – 6 lug 1971) nel
1935. Suonò insieme alla sua orchestra per due
sere poi a causa di problemi al labbro dovette disdire. E' stato l'unico caposcuola
del jazz (hot) insieme al clarinettista Sidey Bechet che si è esibito in Italia
prima della seconda guerra mondiale. Nello stesso anno venne fondato a Milano il
circolo Hot Jazz [21].
Nel 1938 l'Italia si avvicina alla Germania
di Hitler e sono promulgate anche nel nostro paese le prime leggi razziali. L'avvento
della legislazione razziale porta alla scomparsa dei repertori jazz via radio
[22]. Nel 1942
arriva anche il divieto di vendita dei dischi americani
[23].
Tutti gli artisti del periodo furono costretti a modificare i titoli dei
brani del repertorio americano che eseguivano e presentarli come pezzi italiani
per non imbattersi negli interventi di censura del regime fascista. Si tramutarono
così i nomi dei più celebri musicisti Americani "italianizzandoli". Così Duke
Ellington divenne il Duca,
Louis Armstrong
Luigi Braccio Forte e
Benny Goodman Beniamino Buon Uomo. Anche i titoli dei brani venivano
cambiati. Standard famosissimi quali St. Louis Blues e Stompin'
at the Savoy divennero rispettivamente Le tristezze di San Luigi e
Savoiardi. Questo era l'unico modo per poter suonare del jazz "di nascosto".
E' stato questo ambiente di rigida censura che
Franco Cerri
ha dovuto affrontare e nel quale è cresciuto e si è formato agli inizi della sua
carriera chitarristica [24].
Alla fine della seconda guerra mondiale con lo sbarco delle truppe statunitensi
in Italia (1943) si rilevò di nuovo una diffusione questa volta molto intensa del
jazz. I soldati americani avevano portato con loro i V disc, che devono il loro
nome da Victory Disc (dischi della vittoria), 78 giri incisi da grandi orchestre
come quelle di Glenn Miller,
Benny Goodman, Duke Ellington, Count Basie, i fratelli
Tommy e Jimmy Dorsey e da artisti come
Louis Armstrong.
Sono stati prodotti dal 1942 al
1948, ideati dal dipartimento della difesa americano
e venivano distribuiti ai militari impegnati nel secondo conflitto mondiale. Nei
prima anni Quaranta la vitalità di questa musica costituiva sollievo e svago per
i soldati. Vengono create anche delle big band militari che seguivano l'esercito
nei suoi spostamenti. Queste orchestre erano composte da un numero variabile di
elementi. L'organico di base era composto da: contrabbasso, batteria, pianoforte,
clarinetto, tromba, trombone ma poteva arrivare a comprendere fino a quattordici
elementi [25]. Dopo il secondo conflitto mondiale
viene fondata nel 1945 la rivista «Musica e
jazz» poi divenuta «Musica Jazz» [26]. Il
jazz ormai è divenuto anche parte integrante del nostro mondo.
[1] Comunicazione personale
effettuata da Franco Cerri a Milano il 20 dicembre 2005.
[2] Lewis Porter, Jazz: A Century of Changes, New York, Schirmer Books, 1997, pp.1-12
[3] Cfr Lewis Porter e Ullman, Jazz from Its Origins to the Present, Englewood Cliffs,
NJ, Prentice Hall, 1993, pp. 27 sgg.
[4] Luca Cerchiari, Jazz e fascismo, Dalla nascita della radio a Gorni Kramer, Palermo,
L'Epos, 2003, p. 18.
[5] Ibid., p. 20.
[6] Cfr. Alberto Boschi, Dal Muto al sonoro, in Gian Piero Brunetta (a cura di),
Storia del cinema mondiale, vol. II, pp. 465-486.
[7] Elvidio Surian, Manuale di storia della musica vol. 4, Milano, Rugginenti, 1995,
p. 165.
[8] Luca Cerchiari, Jazz e fascismo dalla nascita della radio a Gorni Kramer, Palermo,
L'epos, 2003, p. 56.
[9] Ennio Simeon, Manuale di storia della musica nel cinema, Milano, Rugginenti,
1995, p. 165.
[10] Adriano Mazzoletti, Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre,
Torino, Edt, 2004, p. 317.
[11] Marco Pasetto, Jazz la via della musica afro americana, Colognola ai Colli,
Demetra, 1998, p. 49.
[12] Luca Cerchiari, Jazz e fascismo dalla nascita della radio a Gorni Kramer, Palermo,
L'epos, 2003, p. 54.
[13] Adriano Mazzoletti, Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre,
Torino, Edt, 2004, p. 37
[14] Luca Cerchiari, Jazz e fascismo dalla nascita della radio a Gorni Kramer, Palermo,
L'epos, 2003, p. 24.
[15] Ibid., p. 26.
[16] Ibid., p. 29.
[17] Ibid., p. 35.
[18] Adriano Mazzoletti, Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre,
Torino, Edt, 2004, p. 66.
[19] Luca Cerchiari, Jazz e fascismo dalla nascita della radio a Gorni Kramer, Palermo,
L'epos, 2003, p. 23.
[20] Ibid., p. 70.
[21] Adriano Mazzoletti, Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre,
Torino, Edt, 2004, p. 273.
[22] Ibid., p. 81.
[23] Ibid., p. 153.
[24] Intervista personale di Franco Cerri rilasciata a Milano il 20 dicembre 2005.
[25] AA.VV., Il jazz e la sua storia, Firenze, La Biblioteca, 1998, p. 36.
[26] Marco Pasetto, Jazz la via della musica afro americana, Colognola ai Colli,
Demetra, 1998, p. 138.
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Data pubblicazione: 01/11/2009
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