Jazzitalia - Roberto Mazzoli: Falta De Setembro (Pra Rogerio e Pra Mim)
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Philology 2010
Roberto Mazzoli
Falta De Setembro (Pra Rogerio e Pra Mim)


1. Falta De Setembro
2. E Preciso Mudar
3. A Primeira Musica
4. Esta-cao
5. Pra Te Sustentar
6. Choro Pra Jorge
7. Ninguem Pode Me Responder
8. O Bebado E A Equilibrista
9. Uma Atriz
10. Comida No Rio
11. Assim Popular
12. Olhar De Baden
13. Per Sostenerti
14. Mancanza In Settembre

Roberto Mazzoli - g, classical 7 code, vo, per
Claudio Zappi - eb
Andrea Morandi - ds, per
Adailton De Souza - per
Roberto Gazzani - cl, accor
Jean Gambini - ts
Massimo Morganti - tb
Luca Pecchia - cg
Letizia Ciaccafava - vo
Lucia Santinelli - fl
Gabriele Pesaresi - contrabasso
Enzo Pertosa - cavaquinho
Matteo Verdini - p






web: www.philologyjazz.it
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Convincente quanto ben delineato il progetto di Roberto Mazzoli alla sua prima uscita discografica: ben levigato nei disegni armonici, intenso e sentito nei testi e in un canto "discreto", lontano dalle usuali iperboli che spesso caratterizzano il repertorio sudamericano.



I
l carattere e la sensibilità del giovane autore prendono forma nel fraseggio intimo, nella volontà di non enfatizzare le parole né la pronuncia portoghese: l'album sembra percorrere un diario di vita e di esperienze musicali narrato sottovoce e con passione, con discrezione, con emozione sincera sia nell' ideazione delle armonie sia nella ricerca di una velatura di "saudade" nel modus strumentale.

Il tocco chitarristico di Mazzoli è sapiente, solare, a tratti impressionistico, vicino alla tradizione del samba e allo stesso tempo originale, spontaneo, istintivo, talora incline al tipico andamento della bossa nova.

Nel senso indicato ascoltiamo con piacere "Falta de Setembro", mossa da pathos e da un lirismo coinvolgente – ben cantata nella lettura italiana – sussurrata fra accordi attenti e da un'inventiva strutturale davvero personale; allo stesso modo la "triste" "Assim popular", sostenuta da un accompagnamento tenue e da uno stile solistico di una brillantezza semplice e commossa.

Ottima la scelta degli strumentisti ospitati, sempre equilibrati ed in linea con l'intenzione essenziale dell'album, quella di esprimere "dentro un raggio di sole / un albeggiare che a volte fa male…i desideri, i sogni…momenti di gioia e di pace" ("Mancanza in Settembre").

Abbiamo assistito alla presentazione dell'album presso la Biblioteca "Rinascita" di Roma; disponibile e affettuoso come sempre, Roberto ha davvero voglia di parlare della sua poetica.


Ti va una presentazione?

Certo! Il mio nome è Roberto Mazzoli e sono nato 36 anni fa a Senigallia, nelle Marche, da una famiglia di lavoratori, e sono un musicista autodidatta. Mio fratello maggiore Massimo, che per qualche anno ha studiato l'organo ed amava la musica italiana ed il pop anglosassone, mi ha fatto trovare in casa il primo strumento musicale che anch'io, ad 8 anni, ho cominciato a suonare seguito da un maestro. Ma suonare i classici del liscio della riviera non mi ha mai convinto. Così, a 13 anni, decido di passare alla chitarra elettrica folgorato dall'ascolto di" Mannish Boy" di Muddy Waters. E così prosegue a cascata il percorso che dal blues di Robert Jonhson passa per l'hard rock, la psichedelia, con escursioni nel punk e nella new wave, passa per i grandi cantautori italiani e stranieri, scivola nel grunge, si immerge nella world music ed approda timidamente al jazz attraverso Miles Davis, Chet Baker e Stan Getz. L'adolescenza se ne era andata da un pezzo e i dischi che ascoltavo ora portavano il nome di Coltrane, Bill Evans e Dexter Gordon. Studiavo il sax in quel periodo e Parker era un must ma non sono mai riuscito ad entrare davvero nella meraviglia del linguaggio bop, era troppo difficile! Poi mi ero distratto ancora mettendomi a studiare la fisarmonica con Simone Zanchini, attratto dal klezmer e da Antonello Salis ma, anche in questo caso, lo studio si è interrotto dopo qualche anno per l'eccessiva ambizione, o almeno così penso oggi. La chitarra rimane il filo conduttore però, che diviene oggetto di studio a fasi alterne, principalmente di natura classica. Nel frattempo mi laureo in Psicologia con una tesi sulla psicologia della musica e comincio una carriera da lavoratore precario che, nel 2009, trova il suo acme quando decido di dedicarmi (quasi) a tempo pieno, all'attività di musicista. Paradossalmente la mia natura eccessivamente curiosa, e credo un po' ansiosa, si rivela in questa fase molto utile, poiché il mio piccolo polistrumentismo mi apre le porte del rapporto con il teatro, nel quale alla musica viene richiesto un compito speciale, quello di evocare atmosfere e suggestioni, in una dimensione densa di emotività davvero molto interessante. E poi c'è il Brasile, naturalmente!

Come hai scoperto la musica brasiliana?

Guardandomi indietro credo di poter affermare che la prima origine sia stata, su un piano inconsapevole, la grande passione che ho nutrito intorno ai 17 anni per Pino Daniele. Lo dico ora poiché ricordo che già diversi anni fa, prima dell'incontro vero con la MPB, mi divertivo a riarrangiare alcuni dei suoi brani che preferisco in chiave bossa nova, e lo facevo spontaneamente, per puro divertimento. Poi per puro narcisismo autobiografico sono solito datare l'incontro travolgente con il portoghese brasiliano il 10 luglio 2006, a Perugia, quando ho assistito al concerto in solo di Caetano Veloso ad Umbria Jazz. Delicatezza, eleganza, umanità, unite ad interpretazioni in grado di evidenziare ogni singola sfumatura di bellezza contenuta nelle melodie cantate. Comincia così, dalla mattina successiva, l'ascolto dei maestri, il perfezionamento sullo strumento e lo studio della lingua portoghese, lo studio del canto e l'inizio timido di una prima composizione. L'incanto della Musica Popolare Brasiliana prende corpo assieme ad un incontro decisivo, con Rogerio de Oliveira, carioca residente in Italia, ex percussionista di Luiz Gonzaga, che mi comunica il samba, il balanço, attraverso dischi, filmati, piatti tipici, cachaça, libri e film fino ad un intenso viaggio a Rio de Janeiro, più di un anno dopo. L'amicizia con Rogerio De Oliveira, proprio come dice Vinicius De Moraes quando afferma che "la vita è l'arte dell'incontro", è stata la chiave di volta della mia decisione di affrontare la musica brasileira. Ci siamo conosciuti per mezzo dei suoi figli che frequentavano un centro culturale in cui ero attivo fino al 2008, io ero appena impazzito per la meraviglia del rapporto melodia/armonia che c'è nella mpb, e lui ha cominciato a frequentare la mia sala prove la domenica pomeriggio portandosi un furgone pieno di percussioni. Mentre io provavo a cantare accompagnandomi Chega De Saudade, lui insegnava ad un gruppo di aspiranti musici il samba, passando il pandeiro, la cuica, il surdo, il tamborim, ecc. fra le mani dei ragazzi mostrando come andavano suonati, improvvisando per ore piccoli gruppi di batucada. Non ho potuto fare a meno di unirmi a loro e così, senza mediazioni che non il ritmo, siamo diventati conoscenti e poi grandi amici. Mi ha passato dischi indimenticabili, mi ha cucinato la farofa e la fagiolata carioca, mi ha insegnato a pronunciare il portoghese ed ha scritto un paio di testi per me (Esta-çao e Assim Popular). Poi, nel dicembre 2008, si è unito a me nel viaggio a Rio de Janeiro, dove non tornava da 8 anni. Mi ha portato nelle periferie a 50 km dal centro, dai suoi parenti e poi a Copacabana, da un suo amico (lo Jorge a cui è dedicato lo choro), e da li la spiaggia, i locali della Lapa, dove ho conosciuto musicisti eccezionali come Carlinhos Leite (chitarrista di Jacob do Bandolim), Rogerio Souza, un chitarrista di 7corde e produttore di Niteroi da cui ho preso delle lezioni e Ronaldo do Bandolim, bandolinista del Trio Madeira. Quest'ultimo mi ha portato con se nelle notti carioca e mi ha fatto suonare dal vivo in una festa privata al quartiere della Tijuca davanti a una corposa tavolata di brasiliani della classe media, esperienza che ho vissuto come una specie di iniziazione (racconto tutto in Comida no Rio), come il suggestivo rito dell'Umbanda a cui ho poi partecipato. Poi il passaggio a Bahia, per la seconda parte del viaggio, la parte "africana"...

Quali autori consideri punti di riferimento?

La lista sarebbe molto lunga, dato il rapporto straordinario tra quantità e qualità che il continente Brasile ci offre da molti anni…Si tratta di un universo esteso e variegato che in me produce fasi di innamoramento ed approfondimento che si susseguono…Antonio Carlos Jobin è da considerarsi, a mio avviso, uno dei più importanti compositori di musica popolare del '900. Potrà apparire una esagerazione ma, basta ascoltare la versione di "Luiza" con Edu Lobo per sperimentare una vetta del "Bello" artistico. Pensa che una volta per decidere se acquistare o meno, in libreria, una interessante enciclopedia della musica tascabile, sono andato a vedere se Jobim appariva tra le voci del 900 e, non avendolo trovato, ho abbandonato il mio proposito! Amo moltissimo Chico Buarque, anche come scrittore di romanzi, Caetano Veloso, autentico rappresentante della "antropofagia" brasileira insieme a Gilberto Gil. Che dire poi di Baden Powell?... del giovane Yamandù Costa e di Hamilton de Hollanda? Guinga, raffinatissimo e imprevedibile….poi mi viene da saltare ancora indietro…Noel Rosa, Cartola, ovviamente Pixinguinha, Ernesto Nazareth, Moacir Santos….La delicatezza intellettuale e popolare di Vinicius De Moraes, Dorival Caymmi, Aldir Blanc, Milton Nascimento, Ivan Lins, Djavan…Ma, avendo io una predilezione per il samba, il compositore dalla cui sensibilità mi sento più attratto, in questa fase, è certamente Joao Bosco. Mi piace da matti! Però debbo aggiungere che, a fianco della tradizione autorale, va ricordata quella interpretativa, di notevole spessore…basti pensare al samba sublime di Joao Gilberto, di Toquinho, alla vocalità di Elis Regina e di Maria Bethania, Rosa Passos e Ney Matogrosso. In ogni caso, va detto, si tratta di una ipotesi di lista che non può davvero rendere giustizia, data la straordinaria ricchezza della MPB…Perché non citare il Trio Madeira, Rogerio Souza, Seu Jorge, Mart'nalia e Teresa Cristina. Vabbè mi fermo..ma di sicuro mi accorgerò di aver tralasciato nomi importanti!

Oltre ad aver scritto "Assim popular" con De Oliveira, di un solo brano non sei l'autore; rileggi "O bèbado e a equilibrista" di Joao Bosco, perché questa scelta?

Innanzitutto perché è una canzone bellissima che, come Chega De Saudade, rappresenta un punto di riferimento nella cultura brasiliana che ho avuto modo di conoscere, se la intoni, tutti la cantano insieme a te, come alcuni brani di Chico Buarque, penso a Quem te viu, Quem te ve, sembrano patrimonio collettivo. La sua ricchezza armonica e melodica, unita alla irresistibile pulsazione del balanço con cui Joao Bosco suona la chitarra e canta (faccio riferimento alla versione live in solo) hanno fatto sì che la scelta avvenisse in modo spontaneo. E poi Joao Bosco è davvero fantastico, ha scritto e scrive cose che non mi stancherò mai di ascoltare e studiare. Nella composizione del pentagramma hai scelto "brevi quadri" espressivi, secondo la tradizione del samba e della bossa nova… La composizione è un territorio dell'inconscio che, quando emerge, deve affiancarsi alla dedizione e alla continuità, allo studio e alla ricerca, all'ascolto e alla distrazione. Ha un suo tempo specifico, assolutamente cangiante e sfuggente. Non ricordo chi lo disse ma trovo appropriata quella definizione che afferma che le canzoni nascono dall'intuizione di un autore e poi vivono una vita propria. Decidono loro cosa diventano e come, poiché la musica è un fatto prima relazionale che personale, si interfacciano col mondo e si trasformano senza previsione, durante una prova, un concerto o nel dormiveglia. In "Falta de setembro" c'è tutto un periodo molto intenso della mia vita, che ricorre nei testi e nelle partiture, c'è samba e bossa nova, uno chorinho e un brano chitarristico…c'è un immaginario che dipinge una serie di incontri per me importanti. Non è facile per me ragionare sulle mie canzoni, temo sempre di cadere nella autoreferenzialità, perciò posso soltanto dire che sono canzoni oneste, non so se son belle. Anche perché vorrei che emergesse uno stile, un embrione di stile, il più possibile personale, non so fino a che punto ciò emerga, ma non sta certo a me dirlo! So di essermi goduto moltissimo, con lentezza e dedizione, la scelta degli arrangiamenti e dei musicisti a cui li ho affidati, tutti davvero bravissimi, che ringrazio di cuore, per la capacità di cogliere le indicazioni non scritte sulle parti. E' stata una esperienza di grande partecipazione! Forse non ti ho ancora risposto, sono "brevi quadri espressivi" perché son canzoni, nel senso proprio del termine, non mi ritengo all'altezza di scrivere altro! Questo disco è un ringraziamento, un omaggio, forse anche un mezzo di divulgazione di una cultura musicale che ha cambiato la mia vita, che mi ha fatto recuperare un rapporto di unicità con la chitarra, con la voce, con la composizione, che mi ha restituito piacere e relax nel rapporto con la passione vitale che ho per l'arte musicale…

Musica brasiliana e musica italiana, due repertori lontani ma vicini…

Bisogna dire che la musica popolare brasiliana, grazie al successo planetario che negli anni 60 e 70 ha avuto la bossa nova, è riuscita a conquistare uno spazio d'espressione, di contaminazione, di imitazione un po' ovunque. Il rapporto con l'Italia, per quanto io sia in grado di parlarne, è molto stretto in relazione alla fortissima emigrazione nostrana in quel paese da più di cent'anni, in musica alla fascinazione che la tradizione Operistica italiana ha prodotto nella borghesia brasiliana, la canzone napoletana ed il Festival di Sanremo, che ispirò molti concorsi di canzoni omologhi. La mia piccola esperienza di italiano immerso per un po' di tempo nella classe media carioca mi ha rimandato una grande affezione per la cultura italiana intesa in due direzioni: una calcistica e l'altra legata all'immagine della "Dolce Vita" felliniana, a Mastroianni, Sofia Loren e Peppino di Capri!  Ma, a parte gli scherzi, tutti conosciamo la frequentazione assidua che gli artisti brasiliani hanno manifestato per il nostro paese, da Vinicius a Chico Buarque, da Toquinho a Joao Gilberto e l'amore per il suono tropicale di Ornella Vanoni, Sergio Endrigo, alle citazioni di Piero Piccioni ed Ennio Morricone…fino a Fiorella Mannoia. Da una parte la qualità della MPB, quando arriva, provoca una attrazione forte, e dall'altra, probabilmente esiste un sentire comune tra due culture così lontane ma così caratterizzate per l'attenzione alla cura della melodia, alla cantabilità ed alla narrazione. Anche se oggi in Italia, mi pare che ciò sia molto lontano dalla quotidianità della proposta musicale maggioritaria.

Quali musicisti del panorama attuale consideri davvero di attenzione?

Io, senza dubbio alcuno, vivo una lunga fase post-moderna, nel senso che dopo tanto inseguire ed ascoltare le novità discografiche, sono anni che procedo all'indietro, nel desiderio di colmare buchi e ricercare la bellezza nel passato, nel jazz, nella MPB, nella musica classica, in certa musica black. Mi sento uno studente che ha moltissimo da imparare. Nel mio disco, dopotutto, c'è musica che potrebbe avere una quarantina d'anni buoni!! Trovo notevolissimi Yamandù Costa e Guinga nel panorama brasiliano, ma aspetto con ansia il nuovo lavoro di Chico Buarque e spero Joao Gilberto incida ancora! Trovo che Gianluca Petrella e Dado Moroni siano in ottima forma, ma ho voglia di Shorter e Hancock, ascolto con grande piacere il lavoro dei Sinenomine di Alessandro Girotto ed il secondo cd del quartetto di Alice Ranieri.

Quali sono i tuoi progetti?

Promuovere questo lavoro, suonarlo dal vivo, il più possibile, giocare con gli arrangiamenti e trasformare i brani attraverso l'interplay con i compagni musicisti. Crescere come cantante, chitarrista e compositore, perciò scrivere, studiare e ricercare. Divertirmi, stupirmi, senza mai prendermi troppo sul serio, raccontare storie, incontrare persone, fare amicizia. Far sapere che di persone come Paolo Piangiarelli, il mio produttore della Philology, ce ne vorrebbero moltissime, per l'amore sincero che ha per la musica e per la fiducia che ha nei giovani emergenti. Ma, sempre che io me lo meriti, chissà se in questo paese è ancora possibile…

Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia







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Data pubblicazione: 02/05/2010

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