di Marcello Migliosi
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Chiude la trentaquattresima edizione di Umbria Jazz, un milione di euro di incassi |
15 luglio 2007
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Un milione di euro di incassi, 45 mila spettatori paganti, quasi 300 concerti,
450 artisti, due palchi all'aperto, più teatro Morlacchi, oratorio Santa Cecilia
e il grande spazio dell'Arena Santa Giuliana. L'edizione di Umbria Jazz di quest'anno
chiude con questi numeri e all'insegna del grande jazz della tradizione. Il bilancio
della manifestazione è stato tracciato in conferenza stampa dal direttore artistico,
Carlo Pagnotta. I concerti di George Benson-Al Jarreau,
Jarrett-Peacock-DeJohnette,
Metheny-Mehldau
e Sonny
Rollins hanno registrato il tutto esaurito all'Arena Santa Giuliana
e quelli di
Caine-Fresu,
Giovanni
Allevi e
Francesco
Cafiso al Teatro Morlacchi. Pagnotta ha anche parlato del "caso"
Jarrett:
"Ho apprezzato il passo indietro - ha detto - ma, in ogni caso, il 'boccino'
in mano lo voglio io". Era inevitabile, come avevamo annunciato, il "Patron"
del Festival non è uomo da tornare facilmente sulle sue decisioni: "Anche se
- ha detto - noi tutti amiamo la musica di Jarrett". Il Direttore artistico
si è soffermato anche sul livello qualitativo dell'edizione che si è appena conclusa:
"Il livello altissimo dei concerti - ha detto - con una sola delusione
di Sly & the Family Stone, dato in America come un grande ritorno e che invece
qui si è rivelato un flop dal punto di vista artistico". "Per il resto, tutto
bene - ha sottolineato ancora Pagnotta - a partire dai musicisti italiani".
Secondo Pagnotta, Umbria Jazz ha comunque confermato una linea artistica
che tende a rappresentare la musica ad ampio spettro: quest'anno è stata un'edizione
molto purista impostata sul jazz vero e proprio e non è detto che in futuro si faccia
la stessa scelta o si proponga una cosa un po' diversa. All'incontro con i giornalisti
specializzati, nella sala stampa del quartier generale del Brufani hotel di Perugia,
è intervenuto anche il sindaco di Perugia, Renato Locchi. Il sindaco ha osservato
che è andata bene anche la sovrapposizione del festival con l'Assemblea internazionale
della società di geofisica e geodesica, ed ha sottolineato che il ritorno per la
città è stato enorme, così come per tutto il territorio che va da Bastia, Assisi,
Spello, fino al Trasimeno e a Gubbio, le cui strutture ricettive hanno registrato
il tutto esaurito. Locchi ha anche ricordato la visita del ministro per i
beni e le attività culturali, Francesco Rutelli, il quale ha confermato i
3,5 milioni di euro per il completamento di San Francesco al Prato, che è stata
una sede storica di Umbria Jazz fino al terremoto del '97 e che fra due anni potrebbe
quindi tornare ad esserlo. Soddisfazione è stata espressa anche dall'assessore alla
cultura della Regione Umbria, Silvano Rometti, il quale ha osservato che
Umbria Jazz conferma il suo ruolo di manifestazione traino per l'immagine della
regione.
Brad Mehldau e Pat Metheny insieme ad Umbria Jazz, dopo un lungo tour europeo |
14 luglio 2007
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Il concerto di
Pat Metheny
e Brad Mehldau
ad Umbria Jazz è stato, con tutta probabilità, il migliore tra quelli dell'Arena
Santa Giuliana. Una lunga suite in due: piano e chitarre, insieme. Un passaggio
dalla new age di Pat nel jazz delle dita di Brad. L'effetto è stato quello di avvolgere
l'Arena, stracolma di gente. "Unrequited", scritto
da entrambi è stato letteralmente sublime! "Annie's Bittersweet
Cake", come d'altro canto "Make Piece",
"A Night Away", "En
La Tierra Que No Olvida", "Ring of Life"
- tranne "Vera Cruz" scritta da Milton Nascimento
- tutte scritte dal chitarrista americano. Il lungo tour europeo dei due grandi
artisti è arrivato a Perugia, ma in Italia,
Metheny
e Mehldau
avranno davanti ancora otto concerti. All'inizio della performance di Perugia piano
e chitarra da soli, un po' come nel passato accadde per
Evans
ed Hall.
L'effetto è stato notevole, anche se - proprio a causa del sovrapporsi delle frequenze
e dei ruoli - a volte la convivenza sarebbe potuta sembrare impossibile. Poi, sul
palco, sono saliti Larry Grenadier al basso e Jeff Ballard alla batteria.
Metheny
ha raggiunto un dominio sulle chitarre pressoché assoluto. Un virtuosismo parossistico:
I suoi "hammer on" ed "hammer off" il suo glissato...la sua velocità, la chitarra,
per meglio sarebbe dire "le chitarre", sono esattamente un prolungamento del suo
corpo. In verità è stato proprio
Metheny
a dominare la scena. In quattro la musica ha preso corpo e come succede sempre nel
jazz, è dal vivo che il suono trova la sua sublimazione, e la perfetta ma ovattata
dimensione della sala di incisione vira verso una emotività comunicativa che non
può prescindere dal pubblico. "Lauderdale Waltz"
è stata incisiva come mai! Le "chase" sempre precise, puntuali e i soli - pur se
brevi - ma ripetitivi. C'è stato tempo anche per "Fear
and Trembling" e per "Say the Bother's Name",
sempre scritte da
Pat Metheny. Gran parte della scaletta è ripresa dai due cd. Da
notare che praticamente tutto il materiale compositivo di questa partnership è stato
realizzato apposta per l'occasione. Non si tratta quindi del solito repertorio di
standard che costituisce un facile territorio di incontro perché condiviso da tutti
I jazzmen.
Metheny e
Mehldau
non hanno quindi scelto la strada più semplice, ma il risultato ha dato loro ragione.
Jarrett chiede scusa per il suo comportamento, "tiepide" reazioni da Umbria Jazz |
13 luglio 2007
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"...He asked me to extend his apology to you, Umbria Jazz, the City of Perugia
and the audience as regards his choice of words. He did not mean to insult the City
of Perugia when he said “this goddamn city”. He was not talking about Perugia itself.
He was only trying to say strongly that if there were photos the trio would stop
playing and leave. He could just as easily have said this in New York or Paris...".
La firma è quella di Steve Cloud, il manager di
Keith
Jarrett. Il pianista, che nella serata del concerto all'Arena Santa
Giuliana, aveva insultato pubblico e città di Perugia, oggi - con una mail indirizzata
a Carlo Pagnotta (direttore artistico del Festival) si scusa del suo comportamento.
E Pagnotta risponde: "Fa piacere che l'uomo Jarrett, secondo quanto riferito
da Cloud, abbia fatto un passo indietro e che in parte recupera la frattura che
lui stesso aveva creato con il grande artista che tutti amiamo". Una tiepida
reazione dunque, ma era da immaginare. Pagnotta non è uomo che torna facilmente
sulle sue decisioni e
Jarrett
l'ha fatta davvero grossa. La traduzione della frase che abbiamo riportato in testa
al pezzo (riassunta) suona più o meno così: quando ha detto "this goddamn city"
(questa dannata città)
Jarrett
(a detta della mail) non intendeva parlare di Perugia in sé, cercava solo di dire
in modo chiaro e forte che se ci fossero state foto il trio avrebbe smesso di suonare
e se ne sarebbe andato. New York o Parigi non avrebbero fatto differenza, in sostanza,
ma la rottura c'è stata. e di questo è consapevole anche Cloud che avrebbe potuto
dire la stessa cosa se si fosse trattato di New York o Parigi". "Comprendiamo
e rispettiamo - ha scritto Cloud - la decisione di non avere più
Jarrett
in futuro a Umbria Jazz". Il manager ha concluso che anche quello che è accaduto
ha rafforzato la convinzione che "probabilmente la musica e l'arte di
Jarrett
saranno in futuro servite meglio se presentate esclusivamente in sale da concerto,
fuori dai rischi e dai problemi che le condizioni meteo e le foto dei concerti all'aperto
sembrano presentare".
Ornette Coleman, solo ad Umbria Jazz e a Pescara. Il sassofonista del Texas riconcilia il pubblico con Umbria Jazz |
12 luglio 2007
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Certo è che, dopo la "villania" di
Keith
Jarrett, il pubblico di Umbria Jazz aveva fatto il suo ingresso nella
mega Arena di Santa Giuliana con un atteggiamento al limite tra il disilluso e l'offeso.
Difficile era ritrovare la magia perduta durante il concerto di
Jarrett,
difficile era riassaporare il jazz nella sua essenza. Solo un "vecchio" della musica
afroamericana avrebbe potuto compiere l'impresa di riconciliare il palco con la
platea e quell'uomo, quel sassofonista, altri non poteva essere che
Ornette
Coleman. Il musicista texano (di Forth Worth) - uno dei maggiori innovatori
del movimento free jazz degli anni 60 - ha restituito a tutti la gioia dell'ascolto,
pagando un debito che non era certo suo.
Ornette
- che tra l'altro ha firmato anche la prefazione del libro "Jazz tales" di Vittorio
Franchini ed Elena Carminati del Corriere della Sera - è un signore settantasettenne,
un signore nei modi, nel suono e nella vita. Ma sul palco dell'Arena Santa Giuliana
di
Coleman ce n'erano due. Sì perchè
Ornette,
alla batteria, si è portato il figlio Denardo. In sezione ritmica anche tre
bassisti: Al McDowell al basso elettrico, Charnet Moffett al contrabbasso
pizzicato e Tony Falanga con l'archetto. Tutti e tre i modi di suonare questo
meraviglioso strumento che il jazz, più di ogni altra musica, ha affrancato dal
ruolo di strumento gregario e complementare per farne un "solista" a tutti gli effetti:
libero e virtuoso. Per altro con Charles Moffett, nel
1962 fonda un trio sperimentale, nel gruppo
anche David Izenzon; dopo il celebre Town Hall concert, in cui viene anche
eseguito il suo primo quartetto d'archi, si ritira dalla scena musicale per tre
anni, durante i quali studia la tromba e il violino, che suona con tecniche non
ortodosse. Nel concerto perugino il quintetto ha riletto vecchi temi come
Turnaround e quella splendida elegia della solitudine
che é Lonely Woman, assieme a composizioni più
recenti come Song X (quella che
Coleman
incise con
Pat Metheny). Molte di queste appaiono in versioni leggermente diverse
anche in Sound Grammar, il disco uscito dopo
cinque anni di silenzio e premiato con il Pulitzer. Ma la sorpresa è quella cover,
se il termine non è impertinente, della Suite per solo violoncello di Bach nella
quale Falanga gioca a fare il Pablo Casals delle registrazioni His
Master's Voice. Finale a sorpresa.
Coleman
chiama sul palco chiunque voglia cantare, ed un paio ci vanno davvero. Uomo schivo
e riservato,
Ornette
inizia la carriera in orchestre di rhytm'n'blues ed è presto affascinato dalle linee
intricate dei boppers, ma le difficoltà tecniche e di apprendimento della teoria
musicale lo portano a formulare un nuovo sistema musicale, l'armolodia, termine
che si utilizza spesso per indicare lo stretto rapporto tra lo sviluppo delle melodie,
sempre liriche ed intense, e l'andamento libero delle armonie che spesso non hanno
dei centri tonali precisi ma offrono un ampio margine di manipolazione.
Keith Jarrett insulta Perugia e il pubblico di Umbria Jazz e Pagnotta gli dà il "ben servito" |
11 luglio 2007
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Sale sul palco, insulta i cameraman, I fotografi, si imbestialisce per
un colpo di flash arrivato dalla platea, insulta la città di Perugia e se ne infischia
totalmente dell'articolo 21 della Costituzione italiana, sulla libertà di stampa
e il diritto di cronaca, si mette a suonare, dà sempre le spalle al pubblico e non
ringrazia mai. Tutto questo per circa 100 mila euro di compenso.
Keith
Jarrett, ieri sera ad Umbria Jazz, ne ha fatta una di troppo e Carlo
Pagnotta, il direttore artistico del grande festival perugino, gli ha dato il
ben servito. "Capisco tutto - ha detto il direttore artistico - perfino
l'ossessione delle telecamere, ma non si può insultare un pubblico e addirittura
una intera città per colpa di qualche flash. L'artista Jarrett é sublime, l'uomo
molto discutibile. Dispiace assistere ad una simile schizofrenia tra questi due
aspetti, perché vorremmo sempre, da un artista che amiamo, anche comportamenti conseguenti.
Sono venuti in tanti da centinaia di chilometri pagando fior di quattrini per lui,
non possono essere trattati così. Ovviamente, anche la parolaccia volata dalla platea
è da condannare, ma ormai il clima si era rotto e non per colpa del pubblico. E
poi, all'inizio, quell'insulto di Jarrett alla città – "Damn city" -... Ci siamo
sentiti e abbiamo deciso che con lui abbiamo chiuso. Resterà sempre parte della
storia di questo festival, ma faremo a meno della sua musica". Eppure Dio l'ha
dotato di una mano "divina", la sua creatività e la sua capacità di suonare il piano
sempre in modo coinvolgente è formidabile. Nonostante un "Fazioli" (il piano) amplificato
da "cani" (senza offesa per gli amici a quattro-zampe) – sembrava un piano elettrico
da due soldi – e la sua cafonaggine, il concerto è scorso via a partire dalla celebre
"Green dolphin street", poi "Late
lament" di Paul Desmond. Di
Dave Brubeck,
Jarrett & C. hanno suonato "It's a raggy waltz",
del grande pianista del Modern Jazz Quartet, John Lewis, "Django"
e "Joy spring" di Clifford Brown. Al
termine del secondo set, più breve del primo per lasciare spazio ai bis, il brusco
epilogo. Tra gli spettatori si è acceso un dibattito tra i contestatori, che stigmatizzavano
un rapporto di "ingratitudine" dell'artista con il suo pubblico (ed è volato qualche
fischio, e perfino qualche insulto), e quelli più inclini a comprenderne le ragioni.
Per chi segue la vita artistica di
Jarrett,
comunque, non si é trattato certamente di un episodio inedito, tutt'altro. Anche
Umbria Jazz più volte ha dovuto fare i conti con stranezze e capricci. E pensare
che tutti, nessuno escluso – nonostante gli insulti – avevano ascoltato il concerto
in religioso silenzio…ma questo appartiene già alla storia passata di Umbria Jazz....
Enrico Rava, l'anima del jazz italiano. Bollani: non convince il suo "esperimento" con gli archi |
9 luglio 2007
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Se
Enrico Rava – con il suo quintetto parzialmente rinnovato – ha convinto
e si attesta sempre più come uno dei musicisti di riferimento del jazz made in Italy,
l'esperimento di
Stefano
Bollani non ha affatto convinto. I due, in suite separate ovvio, hanno
suonato ieri sera all'Arena di Santa Giuliana in occasione di Umbria Jazz
2007. "Sand"
è stato il primo brano di
Rava.
Ancora una volta il trombettista – consapevole del valore di chi gli è accanto –
lascia sempre più spazio ai suoi musicisti e segnatamente si fa riferimento a
Gianluca Petrella.
Un'autentica furia umana al trombone. "Echoes of duke",
"Certi angoli segreti", "Happiness
Is to win a big prize in cash", "Flee jazz"…brani
a cavallo tra il passato remoto e prossimo del quasi settantenne trombettista di
Trieste. Il quintetto, lo stesso che ha registrato The Words And The Days,
uscito lo scorso febbraio per la raffinata etichetta di Manfred Eicher, suona
benissimo nella sua compiuta classicità, e
Gianluca Petrella
vi insinua, con il suo trombone, perturbazioni sonore senza però infrangerne gli
equilibri. Grande il supporto di Rosario Bonaccorso al contrabbasso, protagonista
di un solo – a pedale monotonale – assolutamente "aggraziato" e mai ripetitivo.
Ma nel corso del concerto di
Rava
c'è stato spazio per tutti, per il pianista
Andrea Pozza
e anche per il batterista
Roberto
Gatto, protagonista – per altro – di un solo, per così dire, non propriamente
jazzistico, ma indubbiamente apprezzato dal pubblico. Tra i brani presentati anche
"Bella", "Diva",
"Le solite cose" e "The
fearless five". Circondato dai Solisti di Perugia, orchestra da camera
solitamente alle prese con il Barocco italiano,
Bollani
ha presentato in pratica Italian Lessons, appena
uscito in cd per la Giottomusic. Composizioni dello stesso
Bollani
e di Mirko Guerrini, che ha curato anche arrangiamenti e direzione. Nell'orchestra
anche il contrabbassista perugino Daniele Mencarelli. Il clima della musica
è quello del novecento "classico". Musica seria, meditata e strutturata con cura,
il cui effetto però non è stato ammaliante come ci si aspettava. Il critico Franco
Fayenz per esempio ha espresso un no categorico, dinieghi anche tra gli altri
"guru" del giornalismo italiano. Dal canto nostro non possiamo esimerci dal dire
che, scorso via "Felipe" – il primo brano -,
il resto del concerto ci è sembrato, via via, sempre più un esperimento acerbo.
Non vogliamo dire che
Bollani
possa, in questa fase della sua vita artistica, essere tacciato di presunzione né
che non abbia il coraggio di osare, ma l'esperimento con I Solisti di Perugia ci
è sembrato piuttosto "asettico". Composizioni colte, è vero, ma suonate senza l'indispensabile
filo rosso che unisce musicisti di diversa estrazione. E' vero i suoi scherzi musicali
su Mozart, Beethoven e Verdi (per non uscire dal tema della serata) hanno divertito
gli spettatori ma in sé il concerto è apparso statico e privo di quel calore cui
il "folletto" ci ha abituati.
Roberto Fonseca per i primi "palati fini" e il "solito" Richard Galliano... |
9 luglio 2007
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Ha dedicato "El niejo" ad Ibrahim
Ferrer, indimeticato cantante del "Buena vista sociale club", Roberto Fonseca.
Il pianista cubano, ieri sera all'Arena Santa Giuliana, ha messo il suggello al
primo fine settimana di Umbria Jazz. Fonseca, con la sua band, ha aperto
il suo concerto con "Cortes de Jorge a Paola",
poi "Congo arabe" e "Suspiro".
Tutte sue composizioni. Dopo la inaugurazione con Al Jarreau e George
Benson e la serata dedicata al pop, con Dionne Warwick, il pianista de
"la Isla bonita" ha realmente aperto il programma per "Palati fini" del festival
di Perugia. Ottima la sua mano destra, veloce raffinata ed estremamente ritmica.
Non altrettanto si può dire dell'altra mano, con la quale – ma forse volutamente
– Fonseca si limita ad appoggiare gli accordi e ad esaltare i turnaround
a vantaggio degli altri musicisti. Come scritto, nel corso del concerto c'è stato
tempo per una dedica al grande del Buena vista social club. Con Ibrahim Ferrer
Fonseca aveva suonato nell'ultima parte della carriera dello straordinario
cantante cubano. La sua performance ha offerto anche "En
el comienzo" e "Zamazuzu" e "Triste
allegria". E' la discendenza diretta del filone Chucho Valdes-Michel
Camilo. Ma Fonseca è qualcosa più di uno che suona bene il piano
(e occasionalmente le tastiere): è un musicista vero che scrive temi suggestivi
e ha saputo dare al suo gruppo Zamazu (spettacolosa la sezione ritmica) una
forte personalità. E' una musica che affonda le radici nel suono di Cuba, ma si
sente che Fonseca è un cubano che ha girato il mondo e ha tenuto le orecchie
bene aperte per assimilare tutto. La definizione di rappresentare il seguito dei
famosi vecchietti cubani rispolverasti da Ry Cooder, appioppatagli da una rivista
americana, gli va stretta: Fonseca è già il futuro di Cuba. Anche Zamazu
dunque ha sorpreso, ed il celebrato disco omonimo che lo ha fatto conoscere al mondo
non gli rende giustizia. Dal vivo, con questo gruppo, Fonseca offre di meglio.
Non ha sorpreso affatto
Galliano
con il progetto Tangaria, una formula che vede assieme alla fisarmonica del
leader il violino ed una sezione ritmica molto compatta. "Galliano – scrive
il critico Occhiuto - è sempre bravissimo, suona il tango come se fosse di Buenos
Aires e la musica popolare francese come il francese che è". Inoltre almeno
uno del quintetto, il violinista Alexis Cardenas, è un virtuoso che potrebbe
suonare Paganini. Resta il fatto che con
Galliano,
artista molto amato dal pubblico italiano, cambiano le formazioni e i contesti musicali
ma non cambia mai la musica, mentre una qualche evoluzione sarebbe auspicabile,
almeno nel repertorio, che continua a tenersi stabile tra l'eterna
Spleen ed i temi di Piazzolla. E' stata
quindi la benvenuta una rivisitazione di Erik Satie, con quell'aria di incantato
esoterismo che il compositore francese racchiude.
"Lady pop" all'arena di Santa Giuliana |
7 luglio 2007
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"I know I'll never love this way again",
prodotto da Barry Manilow, non ci crederete ma è ancora il suo cavallo di
battaglia. "Lady pop", Marie Dionne Warwick, ha ammaliato il pubblico
del Santa Giuliana. L'arena era quasi in religioso silenzio quando la sessantasettenne
cantate di East Orange (Usa) ha cominciato a cantare. Una voce sottile, quasi inadeguata
ai grandi spazi…meglio i teatri, commentano I critici. Sì, in effetti, la voce di
Dionne, può sembrare non adatta al mega spazio dell'Arena di Umbria Jazz, ma innegabilmente
avvolge e coinvolge. La magia è scesa sul pubblico…un pubblico colto che non si
è certo lasciato sfuggire il momento in cui la sua voce è cambiata. Marie Dionne
Warwick lo ha fatto nello spazio del concerto dedicato al Brasile, con qualche
accenno ad Antonio Carlos "Tom" Jobim. Tanto per ricordarne alcuni: "Jobim
Medley", "Aquarela do Brasil", e
poi "Do you know the way to san Josè" di
Bacharach, dove la cantante americana si è assolutamente trasformata. Sempre
all'insegna della più grande eleganza stilistica, Dionne ha dato fondo alle sue
risorse vocali. Non c'è stato tempo nemmeno per un bis dato che sul palco doveva
salire un altro mostro sacro della musica jazz: Henri Salvador. Figlia di
Mansel Warrick and Lee Drinkard, cominciò cantando il gospel con la sua famiglia,
avviando la carriera come professionista dopo aver conseguito la laurea all'Università
di Hartford. Il suo primo singolo, Don't make me over, uscì nel
1962; il suo cognome fu riportato in maniera
erronea sulla copertina del disco (in realtà si chiama Warrick), tanto che da quel
momento la parola errata divenne il suo cognome d'arte, 'Warwick'. Il pezzo ebbe
un discreto successo, ben presto seguito da "Anyone who had a heart", nel
1964, ma fu la celebre "Walk on by" a
consacrare la cantante al successo mondiale. Per lei hanno scritto in tanti, Hal
David è fra questi, ma in particolare il suo connubio migliore è quello proprio
con Burt Bacharach. Per Dionne, il compositore pianista di Kansas City ha scritto
ben 21 pezzi. L'incontro con i songwriter e produttori Burt Bacharach e Hal David
è stato determinante per la carriera di Dionne Warwick che nei primi anni
60 ha interpretato le loro canzoni insolitamente complicate rimanendo attaccata
a quel repertorio anche dopo la separazione da essi. Inizialmente fu Bacharach a
suggerire a Marie Dionne Warrick, giovane cantante dall'educazione musicale di radice
gospel, di registrare alcuni demo per lui cantando le canzoni scritte con Hal David.
Così nacque il suo primo singolo, "Don't Make Me Over", nel
1962, prodotto dal celebre duo. Tra le sue ultime
interpretazioni si ricordano quelle contenute nell'album del
1995 "Aquarela Do Brazil" (Arista Records),
nel 1998 "Dionne Sings Dionne", una collezione
del suo miglior repertorio, prodotto dalla River North Records ed il duetto con
la nipote Whitney Houston. Nel concerto del Santa Giuliana c'è stato spazio
per tutto il suo repertorio da "Anyone who ha a heart",
a "I Say A Little Prayer" che insieme a "What
the world needs now is love", "Alfie",
"I'll never fall in love again" e "That's
what friends are for" rappresentano, forse, i più grandi successi di
Dionne Warwick. Non eccezionale la sua band, che, in ogni caso, ha saputo
fornire puntualmente il sostegno alla regina della musica popolare americana.
La Musica di Frescobaldi ad Umbria Jazz 2007, con Gianni Coscia |
7 luglio 2007
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Tra le novità di quest'anno, ad Umbria Jazz, brilla di luce propria il
quartetto, diretto da
Gianni Coscia,
che ha proposto le composizioni di Girolamo Frescobaldi. Un concerto, quello dell'oratorio
di Santa Cecilia, che ripropone il festival come momento anche di proposte inconsuete
e stimolanti.
Gianni Coscia si è presentato sul palco con
Enzo
Pietropaoli al contrabbasso,
Dino Piana
al trombone e Fulvio Sicurtà alla tromba. Di sé dice. "Sono un suonatore
di fisarmonica e non un fisarmonicista". Frescobaldi è stato riletto con naturalezza,
e con la stessa naturalezza si è sviluppato sul palco. In sostanza non si è avvertito
per nulla – in quanto non esisteva – nessun tipo di macchinoso marchingegno realizzato
allo scopo di "Umbria Jazz". Chi ha avuto la fortuna di ascoltare I brani proposti
si sarà accorto di quanto sia stato semplice e naturale – pur nella difficoltà armonica
– di traslare i brani le strutture di polifonia del nostro Rinascimento in strutture
armoniche jazz: il tutto in gradevolissima normalità! D'altronde chi di storia della
musica si intende saprà che nella città della "Musica felice" (New Orleans, a dirla
come Vittorio Franchini del Corriere della Sera) e nelle sue corti eran di casa
sia la tromba che il trombone. Paolo Occhiuto scrive: "Il clima del concerto
è stato quello di una assorta malinconia, tranne qualche episodio, come Il ballo
dei pastori, in cui il quartetto si abbandona ad una contenuta gioia di movimento".
Quella di
Gianni Coscia è la riprova di come il jazz made in Italy si sia, oramai,
definitivamente allontanato dagli stilemi jazzistici di oltre Oceano.
Coscia,
con il suo combo, si riappropria, in vero, di quello che è il nostro repertorio
nazionale. Di
Coscia scrivemmo, tra i tanti, anche in un articolo del 18/06/2005.
Erano i tempi in cui – a Metronome – il "suonatore di fisarmonica" dedicava le sue
note ad un grande dello strumento:
Gorni Kramer... Questa sera, all'Arena, Henri Salvador e
Dionne Warwick. Consigliamo poi di non perdere il concerto di mezzanotte
al Teatro Morlacchi, on stage: "Giovani Allevi..."
Jarreau e Benson aprono il cartellone dell'Arena S.Giuliana |
6 luglio 2007
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Si sa, non sempre – anzi quasi mai – la critica va a braccetto con il
pubblico. E quanto è successo ieri sera all'Arena Santa Giuliana, in occasione del
concerto ad Umbria Jazz di Al Jarreau e George Benson, ne è la riprova.
L'impressione che si è ricevuta dalla "macchina" musicale messa in piedi sul palco
non è stata delle più convincenti ma, per contro, il pubblico – giovane e no – ha
dimostrato di apprezzare tantissimo i due musicisti. Ad un certo punto del concerto
di George Benson, una valanga umana – assolutamente composta e pacifica –
è arrivata dalle "retrovie" fin sotto il palco attratta da un irresistibile desiderio
di ballare sui ritmi funky di Benson. Il metronomo ad "80", evidentemente,
fa sempre il suo effetto, no? Il duo è arrivato a Perugia per presentare l'album
realizzato insieme: "Givin' it up". Il Cd è
stato registrato lo scorso ottobre e con questo lavoro hanno vinto due Grammy.
Al Jarreau, dall'alto dei suoi sessantacinque anni, è apparso in forma smagliante:
la "sua anima soul scorre" sulle pieghe della sua pelle. E' l'espressione
più pura e virtuosistica del vocalismo, non ha limiti – né ne pone alla sua fantasia
-, canta col cuore e non solo con la voce. Già dal primo brano è stato uno sfavillio
di note. Tante le cover presentate dal cantante di Milwaukee. Una su tutte "Your
song" di Elton John e Bernie Taupin, la cui rilettura,
in verità, è stata da "brivido": forse si sarebbe commosso anche Sir John. Il gruppo,
in cui si sono alternati due bassisti e due pianisti, era formato da: Larry Williams
e David Witham al pianoforte, Joe Turano alle tastiere e ai sassofoni,
Chris Walzer e Stanley Banks al basso, Michael O'Neil alla
chitarra e Mark Simmons alla batteria. L'impatto sonoro era, indubbiamente,
trascinante. D'altronde il funk ha questa caratteristica: fa ballare! Tanto per
ricordare di cosa stiamo parlando val bene indicare che il funk è un termine coniato
negli Stati Uniti d'America. Erano gli anni cinquanta e si voleva indicare le caratteristiche
ritmiche e sonore presenti in diversi ambiti musicali. Inizialmente il termine fu
usato nel jazz per indicare un approccio musicale rude e libero da sofisticazioni,
legato al blues, con riff ripetitivi e con un ritmo incalzante. In seguito l' aggettivo
funky fu utilizzato sempre più anche in altri ambiti musicali come il soul ed il
R&B. Il concerto è scivolato via su brani come: "We're
in this togheter", "Take five", ma
anche "Mornin'", "Roof
garden", "Long come tutu" e "Summer
Breeze". Che dire di George Benson, l'impressione è sempre la
stessa: sulla chitarra una sorta di icona, un po' meno – anche perché sul palco
non c'era esattamente uno qualunque accanto – la voce. Resta, in ogni caso, un crooner
raffinato e suggestivo: il pubblico s'è mosso proprio mentre eseguiva i suoi brani
del passato. Fu Tommy LiPuma che, con una geniale intuizione, disse a
George Benson di cantare qualche brano, il resto lo racconta la storia:
Breezin', nel 1976,
vinse il Grammy e fu il primo disco di jazz a colorarsi di "platino" per le vendite.
Al Jarreau e George Benson insieme ad Umbria jazz |
5 luglio 2007
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Due
mostri sacri della musica funcky, due tra i più musicali ed estrosi artisti del
panorama funk-jazz mondiale, Al Jarreau e Geroge Benson. Saranno loro
ad inaugurare l'edizione 2007 di Umbria Jazz.
Nella prima giornata di concerti 30 sono gli appuntamenti previsti dal cartellone,
su cui spicca, per l'appunto, il concerto dei due "mitici" che insieme hanno registrato
un album che si intitola: "Givin' it up". Il
Cd è stato registra lo scorso ottobre e con questo lavoro hanno vinto due Grammy
che vanno ad aggiungersi nel palmares di Al Jarreau che di premi ne ha vinti
cinque e in quello di Benson che sta a quota otto. I due artisti americani
ora stanno promuovendo il disco e la loro occasionale partnership con un lungo tour.
Dopo Perugia ci saranno altre quattro date italiane. Il concerto va verso il "tutto
esaurito", come accadde due anni fa a Umbria Jazz quando Benson e Jarreau
divisero il palco nella stessa serata ma in due set diversi. Una delle tante "curiosità"
di quest'anno sarà la sfilata della Fiat 500 (quella nuova) insieme alla marching
band dei "Funk off", da qualche anno ospiti regolari al festival di Perugia.
Funk Off è reduce da un freschissimo disco per la Blue Note. Per restare
alla musica, i fans più puristi apprezzeranno il classico trio di
Cedar Walton
e il quartetto del vibrafonista Joe Loche dedicato alla memoria di Milt
Jackson. Musica non stop in piazza con soul e blues, mentre "after midnight"
aprirà la discoteca per una session di dj, novità assoluta del festival.
Cheryl Porter e la Banda della Polizia a Perugia |
4 luglio 2007
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Sarà la la "potente", "commovente", "ispirata" ed "elegante" voce di
Cheryl Porter,
ad inaugurare - nell'anteprima del teatro Morlacchi di Perugia - l'edizione
2007 di Umbria Jazz. La grande cantante nera
di Chicago sarà accompagnata sul palco dalla Banda musicale della polizia di Stato.
Le note dei 105 maestri d'orchestra, diretti da Maurizio Billi, accompagneranno
la voce di
Cheryl
Porter e - si legge in un comunicato della questura -, in
una sapiente miscela di jazz e blues, offriranno ai numerosi spettatori presenti
un repertorio rappresentativo dei migliori brani di alcuni tra i più grandi compositori
di jazz. Paola Saluzzi condurrà la serata, presentando i brani eseguiti dalla
banda che - prosegue la nota -, per l'alto profilo artistico delle sue interpretazioni
e la qualità dei programmi proposti, si qualifica tra le migliori orchestre di fiati
internazionali. Il motto di
Cheryl Porter
recita: "Canterò ogni volta che il Signore mi dirà di cantare, obbedendo alla
volontà di Dio". Ed è proprio così... da dieci anni Cheryl ha dedicato la sua
carriera ad una missione in musica: quella di portare un messaggio di unità ad un
mondo diviso, di fraternità ai popoli in guerra, e di pace interiore a chi ascolta
la sua musica. Cheryl racconta il testo delle canzoni come se fossero delle storie,
"ti prende con sé per un viaggio fatto di emozioni… ti rivela l'essenza della
sua anima… ti racconta i suoi segreti." Dopo aver vinto una borsa di studio
in canto lirico presso la prestigiosa Northern Illinois University, ha intrapreso
gli studi di canto classico sotto la guida del basso Myron Myers e con la
soprano Edna Williams. Come soprano drammatico, accompagnata da varie orchestre
americane, ha cantato i ruoli delle grandi dive di Puccini, Rossini e Verdi. Ricorda
Cheryl: "Il mio sogno allora era quello delle grandi voci dell'Opera; successivamente
trasferitami in Italia, mi sono resa conto che la musica Europea non era la "storia"
che volevo raccontare, e che invece nella gente c'era un grande bisogno nei riguardi
del messaggio universale espresso dalla musica Spirituals e Gospel. Ho capito che
la musica può costituire un "ponte" per andare "oltre" la routine di ogni giorno,
per ampliare la nostra spiritualità, per avvicinarci alla nostra anima e scoprire
il Dio che abita dentro ognuno di noi". Grazie all'ampio spettro di capacità
vocali ed alla sofisticata miscela di Spirituals, Classica, Jazz e Gospel, Cheryl
ha avuto modo di collaborare e condividere il palco con molti artisti, alcuni dei
quali veramente leggendari: si possono citare Paolo Conte, Katia Ricciarelli,
Tito Puente, Mariah Carey,
Take 6,
The Blues Brothers, ed inoltre Gen Rosso, Paquito D'Rivera,
Marshall Royal,
Dave Brubeck,
Amii Stewart,
Claudio Roditi, Bob Mintzer, Hal Crook, i Brecker Brothers,
e David Crosby. Nel 2003 è stata invitata
a partecipare come voce gospel alla cerimonia e al ricevimento del matrimonio del
Maestro Luciano Pavarotti, dove ha condiviso il palco con Andrea Bocelli
e con Bono degli U2. Dal 2004 collabora
attivamente, come voce solista, con la Banda Musicale della Polizia di Stato, diretta
dal M. Maurizio Billi; in particolare, si segnalano un CD prodotto dal Ministero
dell'Interno, la trasmissione di un concerto avvenuta su RaiUno, e un Concerto per
la Pace in Gerusalemme. Ha registrato più di 20 CD di Spirituals, Jazz, e Gospel,
e più di 40 singoli. Nel corso della sua carriera ha avuto modo di esibirsi in 15
paesi (toccando America, Europa, Medio Oriente, Sud America e Caraibi), per un pubblico
di fan sempre più numeroso. Le sue straordinarie doti vocali, le cui potenzialità
le permettono di spaziare in modo assolutamente naturale e disinvolto dal gospel
al jazz, dal blues al pop, l'hanno condotta a collaborare con alcuni dei più importanti
musicisti americani, quali Marshall Royal,
Dave Brubeck,
Bob Mintzer, Hal Crook, i Brecker Brothers, Ron Modell,
mentre la pop-star Mariah Carey l'ha voluta fra i propri vocalists nel suo
recente tour europeo. Esibitasi in numerosi festivals europei tra cui il Montreaux
Jazz Festival ed il nostrano Pistoia Blues con i Blues Brothers
2000 e David Crosby, la Porter vanta altresì
parecchie partecipazioni in lavori di artisti nostrani: Sabrina Salerno,
Fiorello, Paolo Conte, Funky Company, perfino Katia Ricciarelli.
A Perugia l'hotel del "Jazz" |
3 luglio 2007
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"In
viaggio nel jazz" con la fotografia, "La grande libreria del jazz", "Talent jazz"
happy hour con nuovi talenti, "Azienda in jazz", "Mostra mercato del vinile usato
e da collezione", e poi cinque concerti. La "Hotel Giò jazz area", che inaugurerà
i suoi spazi – auditorium da 700 posti compreso – il 9 di luglio, si apre con tutta
questa serie di eventi che, nel periodo compreso tra il 6 e il 15 di luglio, accompagneranno
l'edizione estiva di Umbria Jazz. Un pavimento che riproduce la tastiera di un pianoforte,
e poi la hall dedicata alle leggende pianistiche della musica afroamericana:
Monk, Brubeck, Silver, Ellington, Evans, Hancock
ed altri ancora. Piani d'epoca, sax che si illuminano, gigantografie, una sala dedicata
a New Orleans…insomma così l'Hotel Giò Jazz Area racconta la musica nera, quasi
come fosse una realtà museale. 76 le camere dedicate al jazz, l'auditorium – come
già detto – e 26 sale riunioni, tutte tematizzate in chiave jazz. Foto e riproduzioni
su tutte le pareti, le firme sono illustri: Carminati, Ninfa, Belfiore.
"Sono mancati i tempi tecnici per raccordarsi con Umbria Jazz - ha detto
oggi in una conferenza stampa uno dei titolari, Valeria Guarducci - ma
noi auspichiamo una collaborazione nei prossimi anni. Intanto però parliamo di jazz,
parliamone bene e tutto l'anno perché è un forte elemento di attrazione per il turismo
umbro, l'unico evento da 'tutto esaurito' insieme a Eurochocolate. E quando la città
è piena, è piena per tutti". Per Valeria Guarducci "é necessario che
l'Umbria, e Perugia in particolare, investano sul vino e il jazz, che sono i valori
aggiunti del suo territorio".
Al via l'edizione 2007 di Umbria Jazz |
2 luglio 2007
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Keith
Jarrett e il suo trio, il sestetto del "colossus"
Sonny Rollins,
poi
Ornette Coleman…Umbria Jazz, quest'anno, offrirà ai "palati fini"
di che emozionarsi. Una edizione nel segno dell'ortodossia, con date in elusiva
o quasi. Fino al 15 luglio (dal 6), nei nove spazi del centro di Perugia, oltre
250 concerti. Musica nelle piazze, nei giardini, nell'Arena di Santa Giuliana, ma
anche nei teatri, nei ristoranti e nei luoghi di ascolto di "sempre" del jazz. Musica
nel centro storico da mezzogiorno a tarda notte, a pagamento e gratuita, al chiuso
e all' aperto, per conoscitori o semplici curiosi. Il giorno della inaugurazione
Perugia ospiterà anche la presentazione della nuova Fiat 500. Ad Umbria jazz
2007 anche la coppia
Pat Metheny
- Brad Mehldau
e quella Al Jarreau - George Benson,
Enrico Rava,
Paolo Fresu,
Stefano
Bollani con un nuovo progetto pianoforte più archi, Dionne Warwick,
Gilberto Gil, Carlinhos Brown, Henri Salvador e i redivivi
Sly & the Family Stone. Molto jazz dunque, ma anche qualche concessione ad
altre espressioni, più popolari, della black music. Il cartellone del festival comprende
Joe Lovano e Dave Douglas, il trio di Ramsey Lewis e quello
di Cedar Walton,
la big band di Charles Tolliver, il quintetto dell' argentino Dino Saluzzi.
Forte il numero dei musicisti italiani il duo pianistico
Enrico
Pieranunzi -
Dado Moroni,
Doctor 3,
Renato
Sellani con Gianni Basso, l' Ottetto di
Gianluigi
Trovesi, un progetto di
Gianni Coscia
su Frescobaldi, il duo Sellani-Rea,
Franco D'andrea,
i trombettisti
Flavio Boltro e
Fabrizio Bosso,
i sassofonisti
Rosario Giuliani e
Francesco
Cafiso. Il nuovo quintetto di Giovanni Tommaso, intitolato
Apogeo, a trent'anni esatti dallo scioglimento del mitico Perigeo. Ci sarà anche
il "fenomeno" italiano del pianoforte,
Giovanni
Allevi. Tra le novità del festival, il pianista cubano Roberto Fonseca,
considerato come una specie di erede del patrimonio Buena Vista Social Club (ha
accompagnato negli ultimi anni di carriera Ibrahim Ferrer) ed il bluesman Keb
`Mò. Contemporaneamente al festival si svolgono le clinics tenute dagli insegnanti
della Berklee School of music di Boston, sotto la guida di Larry Monroe
e Giovanni Tommaso. Circa 200 giovani musicisti arrivano a Perugia da tutta
l' Italia, e anche dall' estero per perfezionare la padronanza del linguaggio del
jazz con un metodo didattico sperimentato da molti tra i più importanti artisti
del jazz e della musica popolare.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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Data pubblicazione: 02/07/2007
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