Brad Mehldau Trio
Dolce Vita Jazz Festival. La Palma, 10 luglio 2003
di
Dario Gentili photo
by Antonio Demma e Daniele Molajoli
Dolce Vita Jazz Festival
2003
Brad Mehldau - pianoforte
Larry Grenadier
- contrabbasso
Jorge Rossy
- batteria
Stasera La Palma club è esaurita in ogni ordine di posto, una corrente ininterrotta di persone già dalle otto si accalca ordinatamente all'ingresso, i ritardatari, per così dire, dovranno accontentarsi di assistere in piedi a uno degli eventi più attesi del Dolce Vita Jazz Festival: il concerto del trio di Brad Mehldau.
L'ingresso dei musicisti è accolto da un'ovazione che tradisce l'attesa e le aspettative per assistere all'esibizione di uno dei pochi jazzisti che sia riuscito a esportare la sua musica oltre la nicchia dei fedeli appassionati di musica jazz. Non deve essere facile soddisfare il desiderio diffuso di essere spettatori di un concerto eccezionale per chi come Mehldau ha un'attività live quasi frenetica in ogni angolo del mondo, che non può permettersi di sacrificare la qualità musicale. Inoltre, è anche molto difficile accontentare contemporaneamente il purista e il fruitore occasionale della musica jazz. Cominciamo subito a vedere come è andata.
Senza troppe cerimonie, Mehldau si è seduto di fronte al pianoforte su uno sgabello abbassato quasi ad altezza terra e assume immediatamente quella postura non certo da Conservatorio di musica che tradizionalmente ormai ne accompagna le esibizioni: rannicchiato sul piano, con la testa incavata che si adagia sulla spalla destra; per non menzionare,
mentre suona, che non raramente incrocia le braccia, attirandosi il rimprovero di qualsiasi insegnante di pianoforte. Anche l'estetica romantica dell'artista ispirato fa spettacolo, anch'essa è tra le attese del pubblico. Tuttavia, naturalmente, la vera protagonista sarà la musica che, lo anticipiamo, lascerà l'impressione di aver assistito non a un concerto come gli altri di Mehldau. Quanto meno perché, questa sera, il pianista americano ha suonato un'anticipazione del suo nuovo lavoro che, prescindendo dal fatto che non tutti i brani originali hanno ancora un titolo, è sembrato assolutamente pronto per la pubblicazione. Per chi segue con attenzione e puntualità l'evoluzione del lavoro musicale di Mehldau, l'impressione è quella di un ritorno alle sonorità che lo hanno fatto conoscere in tutto il mondo, legate agli albums con il trio; sembrerebbe che il suo progetto più recente,
Largo, che ha diviso critica e pubblico per le eccessive concessioni alle tendenze musicali in voga, soprattutto la musica lounge, abbia rappresentato soltanto una parentesi nella sua produzione. Ripetiamo, si tratta soltanto di un'impressione che potrebbe essere smentita tra qualche mese all'uscita del cd, dunque se non avete amato Largo non compratelo a scatola chiusa, eppure i brani ascoltati alla Palma sembra abbiano la propria dimensione naturale nel trio.
Comunque, è il Mehldau che ci si aspettava. Nel primo brano emerge la sua sensibilità per le melodie classiche alla Chopin, mentre nel secondo pezzo ritorna il gusto swingante anni '50 e un po' retrò dei suoi primi lavori. Conferma il suo particolare talento nel suonare contemporaneamente con le due mani due diversi temi, soprattutto nel secondo brano del secondo set, con la sinistra che suona un tema estremamente semplice, che fa da ritmica anche per il basso e la batteria,
che si ripete identico durante l'intera esecuzione, catturando il pubblico in un vero e proprio stato d'ipnosi. Un brano decisamente affascinante, che di certo non farà rimpiangere i suoi pezzi più noti. In generale, pur non arrischiandosi in territori inconsueti, stasera Mehldau ha espresso al meglio le qualità del suo jazz che critica e pubblico gli riconoscono: contro ogni cedimento a un virtuosismo pianistico fine a se stesso, è evidente la grande attenzione per l'effetto espressivo di ogni singola nota suonata; Mehldau è uno di quei pianisti capaci di far suonare il silenzio tra le singole note, che non teme negli assoli quella sorta di orror vacui, che deve essere immediatamente riempito da nuove note e nuove idee. Inoltre, ancor più che in passato, i suoi pezzi rompono lo schema classico del jazz tema-assoli-tema, sono fluidi e armonicamente organici, senza decise variazioni di ritmo, e le frequenti concessioni che fa al blues, in particolare nel finale dei pezzi, scaturiscono da passaggi quasi impercettibili. Forse è proprio questa caratteristica, oltre alla spiccata sensibilità per la melodia, che avvicina il jazz di Mehldau a un pubblico più variegato di quello esclusivamente jazzofilo.
Molto suggestivi sono state le versioni che Mehldau ha proposto di pezzi altrui, che presumibilmente faranno parte anch'essi di questo fantomatico nuovo lavoro. Che, come ormai è sua caratteristica, non sono attinti soltanto dal grande patrimonio standard del jazz, ma spesso e volentieri, sono letteralmente strappati e trasfigurati dalla musica pop.
È il caso di
Viver de amor di Toninho Horta che, nonostante non abbia affatto smarrito le atmosfere latine, ha acquisito completamente il tono espressivo della musica di Mehldau; ancora più decostruita è
50 ways to leave your lover
di Paul Simon, la cui melodia originale è frammentata in innumerevoli brandelli, che improvvisamente emergono tra l'improvvisazione alla stregua di limpide citazioni melodiche. Entrambi i set si chiudono, invece, con standards del repertorio jazz: la breve e intensa
Alfie di Burt Bacharach e, degna di una menzione particolare,
Lilac wine, portata al successo da Nina Simone. Proprio a Nina Simone, recentemente scomparsa, Mehldau dedica la sua versione e uno dei momenti migliori del concerto: l'esecuzione è molto sobria, le note sono scandite con la massima nitidezza e, pertanto, il pezzo risulta estremamente toccante e suggestivo; per esperienza personale posso testimoniare che molti di coloro che hanno assistito al concerto proprio di questo brano hanno serbato il ricordo più vivo.
Non senza prima menzionare, qualora ce ne fosse bisogno, un'altra performance
ineccepibile di Larry Grenadier e Jorge Rossy, la cui misura e sensibilità nel suonare ne fanno la sezione ritmica ideale per la musica di Mehldau, ma lui certo lo ha compreso molto prima e meglio di noi, siamo arrivati al bis, l'unico brano del vecchio repertorio di Mehldau. Non serve aggiungere altro, oltre che il pubblico ha tributato un applauso di molti minuti a un concerto che, evidentemente, è riuscito a soddisfare pienamente le attese e le aspettative, anche le più diverse.
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 15.546 volte
Data pubblicazione: 23/07/2003
|
|