«Ciao Michele, ma cosa stai suonando?»
«Sto facendo degli esercizi sul II-V-I...
sai, studio jazz...»
«Ma come, fai jazz col
flauto ?!?»
Quante volte mi sono sentito dire questa frase! Certo nell'immaginario collettivo è
difficile associare il flauto al jazz, ma è importante sapere che anche questo
strumento ha alle sue spalle una propria cultura jazzistica, probabilmente non
molto nota ai più, e comunque poco
considerata, se non ignorata, dalla maggior parte dei flautisti classici.
E' chiaro che per la sua debole sonorità il flauto non si
adatta facilmente a tutti i contesti, e necessita quasi sempre di una buona
amplificazione e di una adeguata scelta dei brani da eseguire; tuttavia sembra
essere sempre maggiore il numero di flautisti interessati al jazz e all'
improvvisazione, ed è auspicabile che al flautista del terzo millennio venga
richiesto di saper spaziare dai concerti
di Mozart all'improvvisazione su di una bossa nova di Jobim.
Sono del parere che didatticamente al flautista di oggi
vada offerto tutto, la possibilità di avere un bel suono e una buona tecnica
come quella di potersi esprimere attraverso l' improvvisazione; di conseguenza,
l' insegnante moderno deve essere in grado di mostrare tutte le vie percorribili
dal flauto e fornire una visione più ampia delle possibilità dello strumento e
del flautista stesso.
E' questo lo spirito che animerà la sezione dedicata al
nostro caro flauto traverso.
LA STORIA DEL FLAUTO
Il flauto è uno strumento antichissimo, che nel corso del
tempo ha subito trasformazioni significative, attraverso una evoluzione che ha
coinvolto materiali e forme fino a farlo diventare lo strumento che oggi
conosciamo. Proprio per questo mi sembra doveroso cercare di riassumere la sua
storia, definendone i momenti principali.
Tutti i popoli delle civiltà antiche hanno adottato
strumenti a fiato simili al flauto dei giorni nostri; flauti diritti e traversi
furono usati dagli antichi Cinesi ("Jo" e "Tsche"), dagli
Egizi ("Mem" e "Sebi"), dagli Indiani ("Suffarah").
E' nell'antica Grecia che il flauto acquista un
importante valore artistico, grazie alla diffusione di due diversi flauti: il
"Flauto di Pan", formato da un
numero di canne inizialmente variante da tre a nove, digradanti in lunghezza,
chiuse da un lato e unite dalla cera, e altri tipi di flauti definiti
genericamente "aulos", che ebbero maggiore diffusione del flauto di
Pan; questi aulos si dividevano in
"monauli", formati da una sola canna, e "diauli", formati
da due canne divergenti ma con un'unica imboccatura. La costruzione di questi
flauti fu imitata dai Romani, che chiamarono gli aulos col nome di
"Tibie", essendo spesso costruiti con le tibie degli animali, oltre
che con canne, legno e avorio.
L'utilizzo delle tibie viene a decadere con l'avvento
del Cristianesimo e con il conseguente sviluppo della musica vocale-corale: gli
strumenti musicali ricordano i riti pagani, e vengono quindi abbandonati. Per
il flauto si apre così un periodo di abbandono che si accentua durante il
Medioevo.
La rinascita del flauto ha luogo nel
1300, specialmente
in alcuni paesi dell'Europa occidentale e centrale (dove l' uso delle tibie
non era stato del tutto accantonato), con l'apparire di alcuni flauti detti
"diritti" oppure "a becco", così detti per la
caratteristica dell'imboccatura, chiamati anche "Flauti dolci" per
il loro suono dolce e vellutato: avevano otto fori, con quello più alto situato
sul dorso dello strumento e quello più basso chiuso con una chiave;
curiosamente, non era stabilita l'esatta posizione delle mani per la tenuta
dello strumento, e ogni strumentista poteva scegliere quella a lui più
congeniale. La denominazione romana di questo strumento non è più tibia, ma
"Flauto", derivato dal latino flatus-flare (soffio-soffiare) o
secondo alcuni storiografi dalla combinazione delle tre note fa-la-ut.
Simili al flauto a
becco sono il "Recorder", diffusosi in Inghilterra verso il
1350, e
il "Flageolets", che compare in Francia nel
1500. Nello stesso
periodo il flauto dolce si sviluppa in Italia, specie a Firenze e Venezia dove
sorgono fabbriche di importanza europea, e intorno a questo strumento comincia
a fiorire una vasta letteratura musicale.
Contemporaneamente ai flauti diritti erano apparsi anche
altri strumenti detti "Flauti Traversi" o "Traversieri": si
suonavano in posizione trasversale da destra a sinistra, si costruivano di
bossola, con tubo cilindrico di un solo pezzo e di forma piuttosto tozza; nella
parte superiore, chiusa da un tappo, vi era il foro dell'imboccatura, mentre
in corrispondenza delle dita centrali vi erano altri sei fori. Questi strumenti
si erano inizialmente diffusi in Francia, Germania ed Inghilterra, ma non
incontrarono subito il favore dei musicisti: dovettero passare molti anni prima
della loro completa affermazione. Caratterizzati da un suono brillante e
timbrato, acquistarono notevole notorietà soprattutto grazie all' utilizzo
nelle fanfare militari della Svizzera, le cui truppe mercenarie , molto
richieste dagli stati europei nelle numerose guerre di allora, ne divulgarono
ovunque l' uso.
Con l'avvento del
flauto traverso ha così inizio la storia del flauto moderno. Per la sua
costruzione si adoperavano legni pregiati (bossolo, ebano, granatiglia, cocco)
e anche l'avorio, con raffinate guarnizioni di madreperla, argento, oro.
Dal
1600 in poi lo strumento si evolve continuamente: si
comincia a fabbricare di forma conica per irrobustire i suoni bassi; si suona
trasversalmente da sinistra a destra, cioè nella direzione opposta rispetto a
come si suonavano i primi traversieri; si arricchisce di fori e chiavi per
ottenere semitoni e trilli; viene ideato da Giovanni Gioacchino Quantz il
tappo a vite che
applicato alla testata rendeva più facilmente traspositore lo strumento; viene
diviso da Denner nei tre pezzi di testata, corpo e trombino.
All'inizio del
1800 il flauto traverso raggiunge livelli di perfezione grazie a costruttori
eccelsi, come Giovanni Ziegler, operante a Vienna. Ziegler aveva dotato i suoi
flauti di 17 fra chiavi e doppie chiavi, permettendo di suonare passaggi
considerati impossibili e di avere accesso anche alle tonalità più difficili:
tutti i flautisti adottarono questo strumento, definito flauto di sistema
antico.
L'attuale flauto è quello che si basa sul sistema
Boehm, o sistema moderno, frutto di sperimentazioni e modifiche compiute dal
flautista e compositore tedesco Teobald Boehm (1794-1881). Egli si avvalse
delle sperimentazioni compiute in precedenza da un flautista dillettante,
William Gordon, il primo ad usare tubi cilindrici in lega mettallica anzichè in
legno ed un meccanismo di chiavi ad anelli che permetteva di azionare due
chiavi con un dito solo. Inoltre Boehm studiò le leggi acustiche relative alla
colonna d' aria vibrante nei corpi sonori, determinando le proporzioni esatte
tra l' aria e il diametro massimo dei fori; dette forma parabolica all'interno
della testata e stabilì la forma e l'esatta posizione del foro di imboccatura.
Dopo anni di tentativi falliti ed esperimenti, Boehm
riuscì a determinare la giusta struttura dello strumento, lasciando alla
testata la forma conica e al corpo quella cilindrica. Nel
1847 presentò al
mondo il suo strumento, la cui fabbricazione ebbe inizio nel
1855 per opera
delle ditte "Godfroy & Lot" di Parigi, e "Rudall Carte &
C." di Londra. Successivamente vennero apportate alcune modifiche al
flauto Boehm: il flautista francese Van Steenkiste sostituì la chiave del
sol
diesis aperta con quella chiusa, mentre il flautista italiano Giulio Briccialdi
ideò la chiave indipendente del si bemolle; al sistema delle chiavi ad anelli
subentrò quello a tastiera, più funzionale; vennero applicate delle placche di
appoggio per le labbra, dette "imboccature", sul foro della testata,
chiusa a sua volta da un sughero, fissato in maniera tale da consentire le vibrazioni
della colonna d'aria e di regolare l'intonazione dello strumento.
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Data ultima modifica: 02/04/2016
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