La serata conclusiva della rassegna tenutasi nell'accogliente piazza antistante il Trullo Sovrano di Alberobello, si è articolato in un doppio set che ha visto impegnati due grandi artisti: Antonio Onorato, con un quartetto pugliese-partenopeo e Steve Grossman con il suo quintetto.
Michele Stallo, organizzatore della rassegna, dedica questa serata al movimento
World for change. D'altronde, Stallo è da tempo abnegato nel divulgare gli orrori delle guerre in generale e, in particolare, nel raccontare, con le parole e con le immagini (è un eccellente fotografo) ciò che il conflitto Usa-Iraq ha comportato dal punto di vista della violazione dei diritti umani e delle genti.
Antonio Onorato non è da meno in tal senso avendo sposato, anche lui da tempo, la causa del movimento in questione.
L'artista partenopeo è di casa in Puglia, soprattutto ad Alberobello, però la sua esibizione è passata in subordine rispetto a quella del tenor sassofonista newyorkese, tant'è che dichiara subito di essere un semplice ospite della serata e di non voler occupare eccessivo spazio.
Antonio Onorato è un artista completo, compositore policromo che tinteggia con abilità le sagome della musica jazz, svuotandole e riempiendole con contaminazioni etniche di rara intensità.
Definito spesso dalla stampa il "Metheny del Vesuvio", ma per
chi lo conosce si può oramai identificare in lui un percorso personale che va
ben oltre l'impronta metheniana e che gli permette di esprimersi al meglio come
artista originale del panorama musicale italiano.
Onorato dedica i due brani eseguiti, fortunatamente lunghi, all'Iraq da lui e Michele Stallo visitata prima del conflitto, e lì dove il chitarrista si è esibito per invocare la pace, inutilmente.
Lo "scugnizzo" (altro epiteto attribuito dalla critica) biancovestito, perfettamente intonato allo scenario circostante, imbraccia (ed imbocca) la sua Yamaha G10, da lui ribattezzata "chitarra a fiato" e, così, alle prime tenebre, rischiarate dalle luci artificiali, prende a declamare i suoi versi musicali, volutamente macchiati da un dolore ottenebrante.
Onorato troneggia sul palco e calamita l'attenzione del numerosissimo pubblico intervenuto. La sua tecnica è travolgente, le note tagliano l'aria, emozionano, intristiscono quanto basta. L'artista è rapito, chiude gli occhi e suona senza pausa le sue note evocatrici dei misteri arabi, africani; evocatrici del dolore dei popoli in guerra.
La sua lunga chioma vibra vicino lo strumento che è percosso, martoriato ma anche dolcemente carezzato. Non abbandona mai il breath controller (imboccatura simile a quella di uno strumento a fiato). Il "siderale" silenzio del pubblico è sintomatico e lascia che
Onorato possa esprimere il suo pensiero attraverso le note.
Il trio che lo accompagna, formato da Pasquale Iannarella al sax, Saverio Petruzzellis alla batteria e
Francesco Angiuli al contrabbasso, sorregge il chitarrista ed anzi ne alimenta l'inquietudine sicuramente contagiosa.
I soli di batteria e contrabbasso sono di eccellente livello, un po'
sottotono invece il sax di Iannarella che non coglie al meglio le intenzioni dei
compagni. Appassiona ed incanta Petruzzellis che schiaffeggia i piatti e carezza i tamburi anche con le mani,
donando alla batteria una rara magia.
Davvero rilevante il giovanissimo Angiuli nel suo solo di contrabbasso scalpitante ed eseguito in uno stato di soave "trance". La sua cavata, profonda, insistente ed al contempo dolce non sembra provenire dalla sua corporea fisicità. L'esecuzione del solo ammalia.
Onorato chiude il suo breve (purtroppo) set con tutta la disperazione che ha dentro, lo esaspera e fa sentire il grido di dolore di un popolo, anzi di tanti popoli in guerra. Purtroppo, tra il pubblico c'è qualcuno che borbotta e non apprezza la voluta esasperazione dei suoni, ritenendola ultronea ed eccessiva. Ma anche questa è un'opinione...
Il secondo set è dell'atteso quintetto di Steve Grossman che suona con la sua compagna di vita,
Nicoletta Manzari, sassofonista.
Grossman non è in forma e lo si intuisce subito dalle sue movenze,
sicuramente non è il grande musicista che abbiamo visto in passato. Ci
aspettiamo la sua peculiare timbrica, il suo fluido eloquio, la sua voce
robusta, ma tutto ciò si sente solo a tratti. La "nebbia" che lo avvolge gli fa
dimenticare anche i titoli dei brani e in alcuni momenti non sembra integrato
col gruppo. Manca assolutamente l'interplay, la sezione ritmica fa fatica a
mostrarsi compatta. Sinceramente sembra tutto molto improvvisato, anche se
bagliori di luce possono vedersi in alcuni fraseggi, ma sono rari. La Manzari
si alterna nei soli e contrappunta con buona efficacia anche se avremmo
preferito una maggiore incisività da parte di Grossman che alla fine, quindi,
lascia interdetti gli astanti...suona, ma manca del sufficiente scavo armonico.
Peccato veramente.
Un breve cenno sull'organizzazione: perfetto tutto, bravo Stallo nel dare un senso sociale a questa rassegna che ha visto
Giorgio Conte, Luigi e Pasquale Grasso con Antonino Di Giorgio, Stefano Sabatini, esibirsi nelle serate dal