di Antonio Terzo
Due favolosi affabulatori di fiabe, suoni, fiati, tasti ed atmosfere… Ed anche di spettatori, attentissimi nel seguire le spiegazioni che di volta in volta introducono ogni brano prima dell'esecuzione, con deliziosi siparietti attestanti l'amicizia fra i due musicisti: Gianni Coscia e
Gianluigi Trovesi hanno incantato il pubblico intervenuto allo Spasimo con un concerto in cui hanno proposto la propria musica, una musica che parte dalle radici più popolari di Italia ed Europa, per divenire un genere universale – capace di toccare le corde di chiunque – imbevuto di improvvisazione e d'una buona dose di jazz.
La serata è dedicata ad Ignazio Garsia, direttore della struttura ospitante, il Brass Group di Palermo, il quale attualmente sta conducendo una campagna di protesta avverso le istituzioni locali, le quali, ormai da tempo, tardano ad approvare alcune normative che andrebbero a sbloccare la situazione finanziaria dell'Associazione – che per tale via ambirebbe a trasformarsi in fondazione – e con essa quella dei suoi lavoratori e musicisti, tutti professionisti, in essa impiegati.
Dopo la reciproca presentazione, via a Django di John Lewis, con riferimenti pre-bachiani: una profonda introduzione di fisarmonica, languide le suggestioni armoniche in tonalità minore, stemperate dal clarinetto di Trovesi con frasi scherzose, giri sui sovracuti di assoluta precisione e rifiniture blues. Accompagnamento rapsodico di Coscia, che prosegue con il proprio assolo, la mano quasi immobile sulla pulsantiera, ma block chords più che eloquenti.
Pesca nei ricordi del fisarmonicista alessandrino Le giostre di piazza Savona, dal luogo in cui erano montate le giostre della sua adolescenza e che oggi, invece, non soltanto non ha più i luminosi e luccicosi caroselli, ma neppure lo stesso nome: brano attraversato da vari tempi ed umori, in cui, staccati da mirabili obbligati, si accavallano il frastuono ed i diversi motivetti cantilenanti tipici dei luna park, resi in varie dissonanti tonalità, e sembra di vedere le lucine, la ruota panoramica, il tirassegno, mentre
Trovesi inserisce opportunamente alcune settime blues di profondo nitore, sia all'orecchio che all'anima. Alle danze del '500 e '600 si ispira il successivo "La follia", di matrice iberica, con ossatura medievale ed accenti jazz dati dalle pregevoli improvvisazioni… Una cadenza ternaria e ondulatoria come il mantice della fisarmonica, e le note di
Trovesi sprizzano energia su quelle onde. Puntuale il solo di fisarmonica, arioso e con molti richiami "bluesette", ed il finale, accelerando, si fa arricciato e "danzereccio".
Trovesi passa al clarinetto contralto in Mib ed introduce il nuovo pezzo, tratto questa volta dall'ultimo disco della coppia,
Round About Weill, che attinge al repertorio del grande compositore tedesco Kurt Weill, per una particolare versione di Alabama song: incalzante, dopo la pacata introduzione, Coscia indugia su uno stesso accordo, il clarinetto, adesso lento ed introspettivo, svolge i temi con grande intensità sul respiro gonfio della fisarmonica. E di nuovo il tema nervoso e scattante dell'avvio, per poi concludere lasciando gli ascoltatori ammirati. Pure Mahagonny è tratta dall'ultimo album e quindi da Weill, con influenze francesizzanti accentuate dallo staccato di
Trovesi e dall'accompagnamento in stile "musette" della fisarmonica, mentre sulla coda emergono inflessioni rag-time. Prima della pausa una composizione di
Coscia, Culo di pasta, presentato con un ennesima "gag" fra i due,
Trovesi che confessa quanto gli sia costato in psicoanalisi l'aver studiato tanto per poi ritrovarsi a suonare un pezzo dal tale bizzarro nome, e
Coscia che invece precisa che il nome ha comunque una sua ragione che verrà spiegata a tutti i presenti, ma a gruppi di tre, dopo il concerto…perché così ha detto anche a lui lo psicanalista. Ma l'ilarità del momento non viene arrestata neppure dalla musica, perché l'atmosfera spagnoleggiante induce gli astanti, su cenno di
Trovesi, ad un sonoro "Olè" sul fraseggio introduttivo di
Coscia… Il brano è diviso in tre sezioni, con un pedale del fisarmonicista su cui
Trovesi ritaglia con il suo clarinetto contralto una spirale di note, combinazioni tzigane e pluri-ritmiche ed uno sfondo di spessore melodico. Penetranti i gravi del fiatista, turbinante l'assolo di
Coscia, e dopo varie citazioni – da "Misty" a "Ciuri-ciuri" – si torna all'atmosfera spanish iniziale e chiude un improvviso schiocco a fondo scala di
Trovesi.
A riaprire le danze – è il caso di dire – Minor dance, di
Trovesi, presentata sull'esposizione del tema armonico-melodico ad opera di
Coscia, ritmo composto, quindi Trovesi, con echi da "Cielito lindo", e miagolìi vari, passaggi da scarica elettrica in un avvicendarsi delle due parti a mo' di "canone", incantevole la simbiosi dei loro spiriti musicali, che rilascia pregevoli esecuzioni.
Trovesi interrompe affermando che non essendo riuscito a scrivere il finale, si potrebbe andare avanti anche per ore a quel modo! Ma
Coscia sorprendentemente replica di avere finalmente scritto lui un finale, e dopo aver creato la doverosa suspense accenna "In the mood", fra le risate generali.
Dopo un altro brano tratto dall'opera di Weill, il momento più toccante è quello in cui i due propongono la loro personalissima versione di alcuni delle più celebri pagine musicali del
Pinocchio comenciniano scritte da Fiorenzo Carpi: e così uno dietro l'altro, a fianco dei due jazzisti, sembrano compare sul palco le figure di Lucignolo, la Fata Turchina e Pinocchio, per accompagnare questa poetica delicata rivisitazione che lascia trasognati e trasognanti. Ed in questo omaggio di sensibile bellezza, i due amici sembrano a loro volta Geppetto-Coscia e Mangiafuoco-Trovesi.
Quindi ancora Weill, le cui note, nella rilettura dei due ottimi strumentisti, assumono tratti di ironia e leggerezza che difficilmente vengono ascritti alla poetica musicale dell'autore d'origine tedesca, ritenuto piuttosto oscuro e cerebrale.
Il concerto volge a questo punto al termine, ed il duo dichiara di voler evitare il rito "uscita/rientro", sicché vengono annunciati due bis. Il primo è un brano di
Trovesi, presentato da
Coscia come «uno dei brani più brutti della storia della musica», e di contro
Trovesi «È un capolavoro!»: l'argomento del contendere è una nota "sbagliata" – per
Coscia – una "tensione armonica" – per Trovesi… Ma ancora
Coscia prosegue affermando che il brano è come una donna, non ci sono donne brutte, al limite si dice "è un tipo": «ecco, questo brano "è un tipo"!»… Fino a quando
Trovesi non parte a tessere con arpeggi la trama armonica, che si sviluppa per progressione su due tonalità e due accordi, per poi ridiscendere… Innegabile il sapore klezmer, balcanico,
Trovesi cura la linea del basso, poi verticalizza su affascinanti acuti, si adagia su varie melodie popolari, da "Á Paris" a "Tace il labbro" (valzer da "La vedova allegra" di Franz Lehàr).
Il secondo bis costituisce degna chiusura di un concerto così gustoso, sospeso fra la malinconica fragilità della coppia d'artisti, con la propria esperienza ed il proprio bagaglio di ricordi e memorie, e la passionale veracità dei due strumenti, usualmente impiegati in ambito festaiol-popolare, ma qui riscattati – specie la fisarmonica – in una dimensione più intima e toccante: si tratta de Il postino di Luis Bacalov (tema che a sua volta richiama un altro grande artista che per l'ultima volta vestì il proprio sorriso – malinconico anch'esso – in quella pellicola, Massimo Troisi), che nella distesa armonia della fisarmonica e nella intensa voce del clarinetto regala ancora un'ultima emozione.