Ridotto dello Spasimo - Brass Group Palermo
Jean-Loup Longnon Quintet
4 gennaio 2005
Jean-Loup Longnon (tp), Flora Faja (vc),
Mauro Schiavone (p),
Riccardo Lo Bue (b),
Giuseppe Urso (d)
Gigi Cifarelli & Friends
7 gennaio 2005
Gigi Cifarelli (g, vc),
Mauro Schiavone (p),
Riccardo Lo Bue (b),
Giuseppe Urso (d)
di Antonio Terzo
foto di Lucio Forte (per il Brass Group)
Francia e Italia a confronto al Blue Brass, dove a cavallo dell'Epifania si sono esibiti il trombettista francese Jean-Loup Longnon (4 gennaio) ed il chitarrista Gigi Cifarelli (7 gennaio).
E probabilmente, il confronto vede vincitrice l'Italia per mano non soltanto del "Cifa" nazionale, ma anche della sezione ritmica, tutta locale, che nelle due serate ha accompagnato l'ospite di turno: Mauro Schiavone al piano,
Riccardo LoBue al contrabbasso e Giuseppe Urso alla batteria.
Senza timore d'esser tacciati di campanilismo, piuttosto piatto è stato il concerto del francese, nonostante vantasse la presenza della sabbiosa voce di Flora Faja, vocalist palermitana che sa certamente usare le particolari qualità della propria ugola. Un suono impastato e poco chiaro costituisce la caratteristica di
Longnon: non che difetti in articolazione – sebbene, pigiando i tasti con le falangi anziché con i polpastrelli delle dita, il suo modo di suonare risulti "anomalo" – ma resta prevalentemente sul registro medio, tanto che in certe sfumature potrebbe sembrare un flicorno, senza tuttavia la profondità tipica dello stesso. Pochi gli slanci sui sovracuti, molto pertinenti ma troppo sporadici in più di un'ora e mezza di concerto, specie per chi si presenta come trombettista che incarnerebbe sonorità in odor di bebop.
Accattivante e vario, invece, il suo repertorio, un jazz leggero che spazia da standard arcinoti a song di "sinatriana" memoria, che la voce di Flora Faja riesce a rendere in modo immediato ad un eterogeneo uditorio.
Divertente il suo modo di presentare, in italiano stentato ma comunque comprensibile, apre il concerto annunciando Just friends, avviato da un solo di tromba con
tacet di tutta la band, poi la voce della Faja, spinta nei vocalizzi ma caratterialmente asciutta, contornata dalle note di passaggio del trombettista che nell'assolo si appoggiano abbondantemente sulla melodia, con scorrerie di frasi morbide ed allungate, intercalate da cenni lievemente boppeggianti. Arpeggiato il fraseggio di
Schiavone, buono il pulse di LoBue, il cui punteggiato soliloquio si armonizza in combinazione ritmica con
Urso. Segue I begin to see the light (Duke Elligton), con un nervoso giro di
Longnon al wha-wha che alternativamente soffoca e risalta le rare note più alte. Numero buffo per l'inserimento-avvitamento della sordina con rullata di suspense della batteria per My love is here to stay, soffusa l'atmosfera creata dall'introduzione del francese, dissonanze monkiane emanano dal piano di Schiavone che intreccia le sue trame lasciando intendere soltanto alla fine la bellezza della tessitura.
Longnon
cura più il costrutto melodico-armonico che non l'intelligibilità del suo intervento. È poi la volta di Cherokee, con applicazione di nuova sordina per note stridenti nel rapido ma sempre appannato percorso solistico di
Longnon, spedito ed articolato invece quello di Schiavone, ancora una magmatica combinazione per
Urso-LoBue, l'uno a rimarcare con la cassa i gravi accenti dell'altro, quindi i changes fra tutti i componenti del quintetto. Innamorato della musica, polistrumentista le cui prime note si posarono sul piano, è con questo strumento che il parigino accompagna una Satin Doll la cui rilettura ne mette in luce le doti di fine arrangiatore nonché la padronanza della tastiera. Uno dei suoi scorci d'improvvisazione più apprezzabili si riscontra in Fly me to the moon, con studiato ma riuscito approccio da parte della
vocalist, e dopo la pausa On Green Dolphin Street, aggraziata nell'esposizione della cantante. Fra gli altri brani eseguiti da menzionare la divertente The Lady is a Tramp, molto orecchiabile, ed una toccante Body & Soul, forse il brano più coinvolgente della serata: sol che
Longnon stava al piano e non alla tromba! Introduzione triste e malinconica per la voce della
Faja, arpeggi a profusione con fondo swingante e trascinante che rende particolare l'adattamento di questa celebre pagina di intramontabile jazz. Supportato appena da contrabbasso e batteria, il risultato finale è che Longnon sembra quasi più accessibile e comunicativo al piano che non alla tromba.
Di ben altro coinvolgimento il concerto di Gigi Cifarelli, anch'esso incentrato su un repertorio prevalentemente di
standard nonché qualche blues in cui i musicisti riescono a creare una magia che nel precedente concerto è del tutto mancata.
Si comincia con Blue Bossa, un brano di
Kenny Dorham – tanto per scaldarsi – quasi tutto incentrato su due soli accordi minori intervallati di un tono, con
Cifarelli che si limita ad accennarne il tema per poi passare la palla al piano che subito – nonostante la evidente scordatura – enuncia tutta la fluidità del suo fraseggio. Affascinante la tecnica stoppata di Cifarelli, con una serie di periodi ripetuti per interi chorus nelle varie modulazioni armoniche e citazioni, grande fantasia esecutiva sostenuta da un trio ritmico ben all'altezza della situazione. Scambi fra Urso che "doma" la batteria ed il leader con scat in unisono alla chitarra – costruita da un
artigiano palermitano, una "Mimmo Moffa", come dichiarato con orgoglio dal Cifa stesso – e poi imitazione vocale del contrabbasso, senza chitarra e con supporto del piano. Quindi Stormy Monday, un blues su cui i quattro musicisti si lasciano davvero andare alla musica: lineare, scorrevole e brillante l'assolo di
Schiavone, uno dei tanti della serata, pregnante quello del chitarrista che si mostra padrone della tecnica "à la Wes Montgomery" con impiego del pollice, spazzolando gli accenti su tutte e sei le corde e trascinando il gruppo a raddoppiare il tempo, subito catturato dal vigile Urso. Il "turn-around" finale contribuisce ad allungare la chiusura del pezzo, senza tuttavia stancare. Versatilità nella musica di
Cifarelli e nel suo modo di proporla, chiedendo al pubblico cosa abbia di più "C'est une chanson qui nous ressemble / Toi qui m'aimais, moi qui t'aimais" (Les fFeuilles mortes) rispetto a "S'avisse fatt' a nato, chille c'a fatt'a mme" (Malafemmena), per sfoderare una voce "profondo blues", parte-nopea e parte-negroide (mi si passi l'abusato gioco di parole) con cui se la canta tutta con tanto di improvvisazione impreziosita da sfreccianti scale d'abbellimento e proseguire con Roma nun fa la stupida, questa volta con tutto il gruppo, "softly jazzy", morbidamente jazzata, le mani di
Schiavone ad articolare un monologo direttamente uscito dalle Orchestre Rai dei vari Pino Caruso e Pino Calvi, sonoramente pertinente al contesto … E lo stesso Cifarelli se ne compiace guardandolo suonare. Altro assolo ricco di fantasia che strappa l'applauso del numeroso pubblico mentre il pezzo intanto si cambia più volte d'abito ritmico in samba, bossa nova, beguine e via così.
Dal CD With the eyes of a child, The long and winding road, dell'indimenticabile coppia Lennon-McCartney, che Cifarelli canta con profonde ed insospettabili doti canore, inoltrandosi in un sentiero solistico con garbo "bensoniano" e concludere in solitudine con Yesterday, giusto per restare nel mondo dei quattro ragazzi di Liverpool. Una chiosa natalizia arriva con il medley Silent Night e White Christmas, entrambe in versione jazz, la seconda espressa con una punta di blues, quindi Dream jam, dedicata al bebop, un turbinante rhythm-change che non fa altro che confermare la pluralità di stili e linguaggi di cui non soltanto l'ospite della serata è capace, ma anche i giovani musicisti che ne incorniciano l'esibizione. Un po' in ombra, forse, il buon
Riccardo LoBue, che pur facendo egregiamente la sua parte resta l'unico a non riuscire a ritagliarsi un proprio assolo, causa certamente l'esplosiva – ma mai tracotante – esuberanza del chitarrista, che in molti frangenti, suonando o cantando, si appropria anche della parte del basso. Un momento di trascinante musica in pianoless gli interscambi fra
Cifarelli ed Urso, fondati proprio sul solido LoBue.
Ancora un ultimo pezzo degno di nota è My Funny Valentine, dedicata allo scomparso Stefano Cerri, impegnatosi in studio forse per l'ultima volta proprio nella registrazione del menzionato disco del chitarrista milanese. Inizia
Schiavone che scorta dolcemente la cordiale voce di Cifa fino alla seconda strofa per l'ingresso degli altri compagni di palco. Intenso il suo solo arricchito dai piatti di Urso, ed infine un pedale in doppio "scat e chitarra".
Un concerto che conferma Gigi Cifarelli fra i chitarristi più versati della penisola, in grado di richiamare, con il suo stile (non soltanto alla chitarra) un pubblico ricettivo e desideroso di buona musica, di là dai generi e dalle etichette.
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Data pubblicazione: 09/01/2005
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