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Intervista a Jaques Morelenbaum
28 novembre 2003 - Palermo, Teatro Orione
di Antonio Terzo

A tutta prima il nome di Jaques Morelenbaum può forse non dir nulla, ma gli amanti di musica brasiliana lo hanno certamente visto almeno una volta nella loro vita affiancare Antonio Carlos Jobim nella Nova Banda. Altri lo ricordano in tournée con il pianista giapponese Ryuichi Sakamoto e la moglie Paula nel concerto-omaggio all'insegnamento di quel grande maestro della tradizione brasiliana. I fan di Sting non possono d'altronde non averlo notato nel DVD e nel CD relativi alla raccolta di brani dell'ex Police, in riedizione acustica: il meraviglioso violoncello che fa riscontro alla voce del "pungiglione" inglese è proprio il nostro uomo. E se dunque il suo violoncello è ascoltato in tutto il mondo, è giusto allora che si conosca anche il nome di chi lo suona.

A.T.: Morelenbaum non è esattamente un cognome brasiliano …
J.M.: Sono Brasiliano da tre generazioni, la famiglia di mio padre veniva dalla Polonia, mio padre, nato lì, si trasferì in Brasile quando io avevo tre anni. Invece la famiglia di mia madre era originaria della Russia, mia madre è nata in Brasile, prima generazione.

A.T.: Il suo nome è abbinato a vari generi di musica, brasiliana, pop-music, jazz: che musica suona Jaques Morelenbaum?
J.M.: Faccio musica, non m'è mai piaciuto specializzarmi solo in un tipo di musica, fin da quando ero giovanissimo. Ho suonato in orchestre sinfoniche giovanili, in gruppi con repertorio rinascimentale, ascoltavo i Beatles quando cercavo di imparare la chitarra, e suonare musica pop. È ciò che desideravo: imparare la musica, non solo classica, barocca, rock, jazz o altro… Ciò che faccio in ambito musicale è lavorare come violoncellista, come arrangiatore, direttore, produttore.

A.T.: Suona molti strumenti, com'è che ha scelto il violoncello?
J.M.: Non direi che suono tanti strumenti, mi arrangio con molti strumenti: mi piace suonare un po' di piano, il basso elettrico… Mia madre era insegnante di piano, e mio padre, anche lui musicista, lavorava all'Opera Theater a Rio de Janeiro quando sono nato, così fin da piccolino l'orchestra è stata come una famiglia per me. Ho cominciato con il piano quand'ero ragazzino, poi a dodici anni, desiderando suonare un altro strumento ho scelto il violoncello, perché ero innamorato del suo suono.

A.T.: Il suo è un violoncello elettrico…
J.M.: Sì, ho scovato questo strumento in particolare tre anni fa in Giappone, mentre stavo lavorando con Sakamoto e fui molto sorpreso che un violoncello elettrico potesse avere un tale bel suono, così lo acquistai, inizialmente solo per esercitarmi ad una prova, perché è diverso da un violoncello normale, e il risultato musicale è stato molto buono, specie per questo gruppo in cui svolgo anche la funzione di bassista: questo strumento mi permette di equalizzare in un registro davvero molto basso. Mi soddisfa per il tipo di musica che suono.

A.T.: La sua carriera è strettamente legata ad importanti nomi della cultura brasiliana, in particolare musicisti: Antonio Carlos Jobim, Caetano Veloso, Egberto Gismonti, Milton Nascimento. Vuole ricordare qualche episodio di qualcuno di loro?
J.M.: Ce n'è moltissimi di episodi… Mi piace ricordare una cosa relativa a Jobim, la mia prima prova con lui. Mi invitò ad unirmi alla sua band e per me fu come un sogno, fin da quando ero molto giovane l'ho considerato il mio idolo, un grande maestro, una grande personalità. Così mi presentai a questa prova, pieno di rispetto, e gli chiesi: "Maestro, cosa vuole che suoni?" e lui mi rispose "Suona quello che ti pare". Il fatto che lui mi desse tanta libertà mi stupì molto. Questa per me fu già una prima lezione personale, perché la responsabilità che discendeva dalla libertà che mi lasciava era tale che davvero ero preoccupato di come avrei reso il suo universo musicale, e cercare di mantenere la stessa eleganza, la stessa qualità della sua musica è stato una sfida per me.

A.T.: Ha mai incontrato il grande Vinicious DeMoraes o lavorato con lui?
J.M.: No, mai di persona. Anche lui per me è uno dei grandi… Ero molto giovane ma non ancora noto nella scena musicale. L'ho conosciuto solo come grande artista, sono andato a tanti suoi concerti.

A.T.: Per Jobim ha prodotto Passarim, che la rivista Jazziz ha riconosciuto come "una delle più straordinarie registrazioni degli anni '80": è un buon pretesto per parlare un po' di jazz. Jazz e musica brasiliana: il loro intreccio.
J.M.: Oggi, con Internet e tutta la tecnologica che abbiamo, è ogni giorno più facile mescolare ed influenzarsi a vicenda e penso che per molti anni ci sia stato un interscambio di influenze fra musica brasiliana e musica nordamericana. Sicuramente la bossa nova ha avuto notevoli influenze sul cool jazz, e altrettanto certamente anche il cool jazz ha avuto tanta influenza sulla bossa nova. Per esempio Miles Davis ha registrato quell'album con Gil Evans, Quiet Nights, in cui suona Corcovado di Jobim, e nello stesso disco ha pure inciso una canzone folk brasiliana che si chiama Prenda Minha, con il titolo Song no. 2. Quindi, riguardo alle affinità fra musica brasiliana e jazz, ciascuno di questi due modelli eredita una buona dose di influenza dall'Africa, nel ritmo, nel mood, ed entrambi risentono anche d'influenze dall'Europa, nell'armonia, nella melodia. Così, in generale c'è molto in comune fra loro, ma sicuramente, per il loro particolare significato, questi due generi si sono sviluppati in modo diverso.

A.T.: Fra le collaborazioni più fertili c'è quella con Ryuichi Sakamoto: come vi siete conosciuti?
J.M.: Ci siamo incontrati tramite Caetano Veloso, attraverso il mio primo lavoro con Caetano, un disco intitolato Circuladô , che si avvaleva anche della collaborazione di Sakamoto. Dopo quell'album, Caetano mi invitò ad unirmi alla sua band, e quando venne presentato l'album a New York, mi fece conoscere Sakamoto e lo stesso anno Ryuichi mi chiamò a lavorare con lui. Così cominciai a recarmi quasi ogni anno in Giappone per suonare la sua musica.

A.T.: Il primo album che ha fatto per lui era Smoochy?
J.M.: Sì, esatto. E dopo quello ne pubblicammo un altro intitolato 1996, e quella fu la prima volta che suonai in concerto con lui, in trio: violino, violoncello e piano. Poi Sakamoto ha conosciuto Paula [Morelenbaum, la moglie del violoncellista, n.d.r.] – in effetti lei aveva preso parte in Smoochy – e nel 2000 Paula mi raggiunse a Palermo quando con Sakamoto venimmo a suonare qui…

A.T.: Era il disco M2S?
J.M.: No, M2S venne dopo… No, era l'anno della tournée europea con Sakamoto e Paula venne come moglie, non da artista. Fu allora che Paula ci propose l'idea di fare un album in trio per suonare Jobim, e quello divenne M2S, che vuol dire "2 Morelembaun e Sakamoto"!

A.T.: Ma come avete sentito con Sakamoto che la vostra collaborazione avrebbe generato una tale suggestiva atmosfera musicale?
J.M.: Fin da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme, perché sin dall'inizio abbiamo sentito d'avere molte cose in comune, forse per questo mi ha invitato la prima volta a suonare con lui, nel 1992: tutt'e due abbiamo una formazione classica, entrambi interessati alla musica come espressione generale, ci affascina la musica di tutto il mondo, tutti i generi, tutti gli stili. Fra i generi musicali che a lui piacciono di più, per mio personale orgoglio, uno è la musica brasiliana, specialmente quella di Jobim. Così, mentre io in Brasile ero un giovane Brasiliano che ascoltava i Beatles, lui in Giappone era un giovane Giapponese che ascoltava Antonio Carlos Jobim! Per questo conosce molto a fondo questa musica, come m'ha dimostrato fin dal primo momento, ed è stato molto contento di sapere che ero stato tanto vicino a Jobim, con il quale ho lavorato per dieci anni… Ryuichi è così sensibile, un musicista molto delicato, elegante. Insomma, abbiamo pensato che avessimo molto da suonare insieme!

A.T.: Casa (2002) e A Day in NYC (2003) sono le ultime uscite discografiche: impossibile non notare la loro estrema vicinanza temporale, sebbene il "concept" sia essenzialmente identico. S'è trattato di non perdere il "momento magico" dell'intesa con Sakamoto?
J.M.: Sono uno conseguenza dell'altro: dopo aver registrato Casa, abbiamo iniziato il tour per promuoverlo, e, mentre giravamo, la nostra musica maturava sempre più, secondo un concetto di "fraternità"… Con noi suonavano anche un chitarrista ed un percussionista, e sentivo che la musica stava crescendo. Così ho cominciato a pensare di registrare questo "progresso" con un disco live. Purtroppo questo non fu subito possibile per ragioni tecniche, così, terminato il tour, ci siamo rivisti a New York per un concerto e poi siamo andati in studio, alla "Hit Factory", e abbiamo registrato in un sol giorno, come si fosse in concerto, senza pubblico, ma suonando quello stesso repertorio. Quest'album ha il sapore di un live, perché non c'è alcuna sovrapposizione da studio.

A.T.: In presa diretta… Ma anche nel CD Casa ci sono due tracce dal vivo, alla fine…
J.M.: Quello dipende dalle diverse edizioni, in realtà. Improvisation è una "bonus track" dell'edizione giapponese, perché è necessario inventarsi sempre qualcosa per evitare le importazioni, soprattutto dato che lì i dischi costano davvero tanto. Allora la casa discografica in quella versione giapponese ha inserito due tracce registrate mentre eravamo in Giappone per il tour.

A.T.: Dopo aver parlato di Morelenbaum in generale, del suo rapporto con i grandi, Morelenbaum e Sakamoto, resta da trattare il tema Morelenbaum e la sua splendida moglie, Paula: è difficile lavorare con la propria moglie, sempre insieme, fianco a fianco tutto il giorno?
J.M.: Ma lo facciamo orami da così tanto tempo, come compagni di musica, dato che anche lei ha cantato per dieci anni con Jobim, prima che entrasse a far parte di un gruppo vocale. Ho prodotto io il loro compact disc, e poi anche il primo disco a suo nome, intitolato Paula Morelenbaum. Ed in effetti non è semplice lavorare con la propria moglie, perché c'è sì tanta intimità – e questo talvolta va bene – ma stare insieme troppo a lungo, pure quando si lavora…!

A.T.: Paula ha cominciato con il jazz?
J.M.: Ci siamo conosciuti a scuola di musica, lei studiava piano, cantava in un quartetto di cui io ero direttore. Secondo quella che è la mia concezione di musica, questo quartetto era ad ampio raggio d'interesse, si suonava classica, musica popolare brasiliana. È in quel gruppo che lei ha cominciato professionalmente.

A.T.: Per cosa pensa verrà ricordato Jaques Morelenbaum in un ipotetico libro della "Storia della Musica"?
J.M.: Non penso che ciò avverrà mai… Posso dire che amo la musica, che è una necessità nella mia vita, e ritengo di essere molto fortunato di poter lavorare con qualcosa che amo davvero. La musica per me non ha senso se non si è davvero sinceri, davvero profondi. La musica è parte della vita di ogni essere umano, penso una parte molto bella, ed a me piace lavorare con questa bella parte della realtà umana. Sono uno che lavora sodo e mi piace ciò che faccio.








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Data pubblicazione: 08/12/2004

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