Sibongile Khumalo & The Jack De Johnette
Group Intercontinental
Catania, 28 marzo 2007, Teatro Sangiorgi, Etnafest, "Traditions Forward"
di Enzo Fugaldi
foto di Davide Anastasi
Sibongile Khumalo -
voce
Jack Dejohnette
- batteria
Byron Wallen - tromba, flauto, conchiglie
Jason Jarde - sax soprano ricurvo, sax alto, percussioni
Danilo Perez
- pianoforte
Jerome Harris - chitarra basso, basso elettrico, percussioni
Inserito all'interno di una rassegna che vede Catania distinguersi e primeggiare
per l'eccelsa qualità delle proposte sotto la direzione artistica di Gianni Morelenbaum
Gualberto, il concerto dello scorso 28 marzo ha visto - in esclusiva per l'Italia
- una delle primissime esibizioni live del nuovo progetto di una delle grandi
leggende della musica dei nostri tempi,
Jack DeJohnette,
per molti il numero uno al mondo del drum set.
DeJohnette
non è solo uno degli accompagnatori più efficaci che si possano desiderare in un
gruppo, ma a sua volta leader di formazioni che hanno arricchito l'affresco della
musica afroamericana di nuove sfumature di colore, alla riscoperta delle proprie
radici più profonde.
Il suo nuovissimo progetto è un evento musicale ben fuori dall'ordinario,
che supera i confini tra le musiche possibili: unisce un trio di base ben collaudato
composto, oltre che dal leader, da
Danilo Perez,
la cui statura musicale è cresciuta fino a farne una delle realtà più sorprendenti
del pianoforte jazz odierno, da Jerome Harris, presenza musicale infaticabile
e inconfondibile, da due fiati afro-britannici eredi di una tradizione iniziata
a Londra alcuni decenni addietro, e dalla carismatica mezzo-soprano sudafricana
Sibongile Khumalo, affermata interprete lirica e della tradizione vocale
della propria terra.
Esperimento
dunque ad alto rischio, per le profonde differenze di partenza tra i musicisti in
gioco al di fuori del nucleo di base del trio. L'esito - formidabile - è imputabile
sia alla lucidissima progettualità musicale del leader che alla totale versatilità
della cantante, pronta a improvvisare a lungo con splendidi vocalizzi sulle sapide
armonie di
Perez e Harris, sui ritmi mai scontati della batteria, duettando
con i fiati con tecnica e fantasia improvvisative sorprendenti, davvero inusuali
in un'interprete lirica. I brani proposti, tutti diversi eppure peculiarmente omogenei,
si basano su strutture complesse, ben lontane da schemi abusati, valorizzando al
massimo le potenzialità di ogni singolo musicista e modellandosi sulle qualità e
specificità di ciascuno.
Sin
dal primo brano Priestess of the Mist, un lungo
ipnotico crescendo composto da
DeJohnette
che partiva da suoni d'atmosfera prodotti dal risuonare dei piatti all'avvicinarsi
del microfono, la voce si inseriva con sicurezza e autorità, qualificandosi come
elemento centrale fortemente caratterizzante il progetto musicale, integrandosi
compiutamente con gli assoli del sassofonista – che faceva un moderato e attento
uso dell'elettronica - e del pianista. Il secondo brano,
Panama Libre di
Danilo Perez,
introdotto dalle manipolazioni di suono del sassofonista - forse leggermente sacrificato
dall'utilizzo di uno strumento poco versatile come il soprano ricurvo, e certamente
più convincente nei momenti in cui usava il sax alto - era giocato su una superba
interazione fra il suntuoso pianismo di
Perez
e le fantasiose poliritmie di
DeJohnette,
in un frenetico reciproco inseguirsi con la voce. Nel brano seguente, il ritmo di
matrice africana sottolineato dalle conchiglie di varie misure suonate dal trombettista
(che ne faceva un uso più parsimonioso del noto trombonista
Steve Turre),
sorreggeva una intensa canzone dal testo in inglese composta e arrangiata da
Sibongile Khumalo, Little Girl, ed un altrettanto
intenso assolo di tromba, giocato su note lunghe e sovracuti, per poi sfociare in
un duo di chitarra basso e sax che coinvolgeva progressivamente tutto l'ensemble.
Le seguenti due composizioni erano di due compositori sudafricani,
Inner Peace di Timba Michize, caratterizzata
dal bel tema orecchiabile e da un sorprendente gioco di rimandi e rispecchiamenti
improvvisativi fra tromba e voce, e Rojal Blue
di Abdullah Ibrahim, introdotta da un lungo assolo di batteria sottolineato
da discreti interventi del pianista, con un dinamico assolo di sax alto e l'unico
spazio solistico concesso a Jerome Harris. L'ultimo brano,
Two Guitars Chant, solare e cantabile, composto
dallo stesso batterista, è stato il momento più memorabile dell'intero concerto,
introdotto dal piano solo. Per bis, una breve e intensa canzone per voce e pianoforte,
con un Perez
concentratissimo che non nascondeva tutto il suo entusiasmo per l'evento.
Non sono ancora previste registrazioni discografiche per questo gruppo:
si attende dunque un'etichetta e un produttore attento e avveduto che provveda a
immortalare su disco uno dei più entusiasmanti progetti musicali del jazz di questi
ultimi anni.
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Data pubblicazione: 17/06/2007
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