E' una bella domenica mattina di
ottobre, soleggiata e quieta, per le vie di Milano. Eppure oggi il pubblico è quello
degli eventi importanti. Il tram si svuota completamente,
alla
fermata di via Manzoni, davanti al teatro. L'enorme atrio non basta a contenere
tutte le persone in fila alla biglietteria ed anche la grande galleria antistante
è piena di persone che si salutano, si abbracciano, si ritrovano, in attesa di poter
assistere a questo importante evento. Entriamo.
Il
Teatro Manzoni è letteralmente stipato. Dal palco si riesce ad abbracciare con lo
sguardo tutta la platea e non si fa fatica a riconoscere anche i volti di molti
jazzisti, in mezzo a quel pubblico così numeroso. Non si tratta di un concerto qualunque.
Dave Holland
rivolge un cordiale saluto a tutti e scherza sull'orario alquanto insolito per un
concerto di jazz…
Il quintetto è quello di
Extended Play, composto,
oltre che dallo stesso
Holland,
da musicisti del calibro di Chris Potter, Robin Eubanks, Steve
Nelson. Alla batteria c'è Nate Smith il più giovane del gruppo, che fu
scoperto da Betty Carter e che collabora con
Holland
dal 2003.
Trascorre solo qualche secondo, la luce si attenua e ci troviamo avvolti
da un'atmosfera letteralmente magica. Si ha la sensazione che non sia più mattina.
La musica è estremamente raffinata, senza eccessi, con qualche concessione solo
ai fiati, in particolare al sax di Potter, che riesce a comunicare emozioni
fortissime. Colpisce la limpidezza del suono del contrabbasso di Holland.
Le sue frasi sono di una chiarezza e di una luminosità timbrica sorprendenti.
Tutto
sempre senza strafare, con grandissimo gusto e senso della misura. Anche il vibrafono
e la marimba di Steve Nelson sono suonati in punta di martelletti. Nelson
si inserisce al momento giusto con puntualizzazioni armoniche molto raffinate
e mai invadenti. Gli assolo che esegue sono rarefatti, a volte composti da frammenti
tematici ripresi e ripetuti. Poche le concessioni al virtuosismo.
E
ancora una volta tanto, tanto gusto. Il trombone di Eubanks privilegia le
note gravi, i sax tenore e soprano di Potter (grandissimo!) percorrono tutta
la gamma delle sfumature timbriche possibili. Da note calde e sommesse, fino a delle
incursioni furiose, per poi rientrare abilmente nella misura. E assoli di batteria
da ovazione.
I brani seguono fluidi.
Easy Did It, assoli di
Eubanks e Nelson con una trascinante impro collettiva al termine.
Full Circle, con un
assolo di sax da brividi seguito da un altrettanto grande solo per trombone, sax
dal timbro roco sul finale. Poi tocca al vibrafono. Riprende il tema, questa volta
a due voci sax/trombone. Bell'incastro ritmico di Smith, che all'inizio e
alla fine del brano gioca con un tempo composto.
Lucky Seven, tempo dispari,
di grande effetto. Poi un brano di Steve Nelson, nel quale Holland suona
con l'arco e Smith sfiora la batteria con le spazzole. Ma dopo un avvio ovattato,
il brano esplode con un crescendo spettacolare e con un'improvvisazione vorticosa
della marimba. Alla fine, un po' come il genio che torna nella lampada, tutti rientrano
pacatamente, ed il brano si chiude con le stesse sonorità che aveva presentato all'inizio.
Segue un brano dalle atmosfere "desertiche", molto suggestivo ed evocativo che infonde
un profondo senso di calma.
Concerto
impeccabile con grandissime dinamiche all'interno dei singoli brani, ma sempre caratterizzato
da un gusto ed una raffinatezza magistrali. Al termine, si leva una vera ovazione
da parte del pubblico che applaude in piedi e non sembra fermarsi più. Non amiamo
giudizi né classifiche, ma non si può non rendersi conto di avere appena ascoltato
uno dei migliori quintetti jazz al mondo. Forse il migliore, attualmente.
I musicisti si dimostrano pazienti e disponibili ad accontentare chiunque
desideri avere un loro autografo e si soffermano a lungo sul palco a firmare, salutare,
stringere mani. Riesco persino a scambiare qualche parola piena di emozione con
Dave Holland
e Chris Potter e li ringrazio per questo concerto che sicuramente ricorderò
a lungo. Non vedo il batterista, sul palco, provo quindi ad attenderlo all'uscita
degli artisti ed eccolo finalmente comparire, mentre fuori c'è già pronto il grande
camion su cui dovranno caricare gli strumenti. Saluto nuovamente Holland
che attraversa in quel momento il cortiletto, "scortando" personalmente la grossa
custodia del suo contrabbasso, proprio fino al camion. Mi incammino anch'io verso
l'uscita e solo allora mi accorgo...che c'è sempre il sole.
A mesi di distanza, la locandina con quei cinque autografi la sola prova
che si è trattato di un evento reale, perché, in tutta sincerità, la sensazione
che mi è rimasta addosso, ogni volta che ripenso a quel concerto, è di aver partecipato
ad un sogno collettivo...