Con coraggio, Punto zero mette in secondo piano finalità di intrattenimento per perseguire un jazz che si inserisce nel solco della musica d'avanguardia contemporanea.
Sfruttando le possibilità del looper, il sax di Mauro Manzoni e la chitarra di Mauro Campobasso impastano una materia sonora costituita dalla ripetizione ossessiva di microstrutture che si addensano in armonie per poi ridissolversi in uno spazio vuoto.
Sebbene proprio il tipo di influenza reciproca tra composizione e tecnologia in
Punto zero potrebbe spingerci a rintracciare riferimenti e contiguità coi protagonisti dell'esperienza minimalista degli anni sessanta (come Terry Railey, Steve Reich o Philip Glass), tuttavia la libertà espressiva dell'improvvisazione di
Manzoni e Campobasso, affatto subordinata ad un rigore geometrico-cristallino della composizione, se ne allontana; la loro improvvisazione piuttosto si infiltra, si espande, liquida, nei paesaggi interiori suggeriti di volta in volta.
Ne scaturisce un senso di sospensione, spesso quasi di angoscia; il suono del soprano riverbera ricordando il sapore metafisico di alcuni lavori di Garbarek mentre la chitarra ha un timbro sempre scarnificato ed essenziale.
In questa esperienza di duo i segni della musica, nella loro essenza di ripetizione, tendono ad evocare una relazione con i segni di altri linguaggi, in particolare con l'universo delle immagini (e questo è un fattore chiave che Campobasso riconosce consapevolmente nel suo percorso di ricerca).
La musica di Punto Zero cattura ed inquieta perché si percepisce complementare ad altro (proprio all'immagine?) e ci costringe a cercare quello che manca, quello che non si vede: induce dunque, in qualche modo, anche noi ascoltatori (ed è sempre un merito) a ricercare.
Francesco Lombardo per Jazzitalia