"Quattro battiti cardiaci = uguale Quartetto. La musica di questo cd è ancora
incentrata sulla canzone folk, il poema e la lunga meditazione. ‘Calls and responses':
quattro differenti ritmi che ricorrono allo stesso tempo con unisono melodico. Noi
amiamo ancora danzare a tempo e cambiare ritmo quanto ci pare". (…) "Il componimento
musicale assume tre nomi: Grido, Preghiera e Chiamata. Grido d'amore, pace, libertà.
Preghiera per tutti coloro che hanno bisogno. Chiamata alle armi per coloro che
vogliono combattere la giusta battaglia".
Così introduce il presente album,
Sound Unity, il titolare
del William Parker Quartet, e riportarne le esatte parole si ritiene possa
dirla lunga sulla sua impostazione concettuale prima ancora che musicale, nonché
sulla profonda sensibilità di questo artista.
A tratti boppeggiante, spesso con robuste venature free, qualche volta
non lineare ma sempre poggiato sulla nervatura contrappuntistica del leader,
e soprattutto fresco, magari non necessariamente innovativo (certi aspetti si potevano
già cogliere nei trii di Branford Marsalis e la stessa estetica di Albert
Ayler o
Archie Shepp aveva già condotto al parossismo certe forme libere
di improvvisazione a suo tempo innestate da
John Coltrane,
Ornette
Coleman ed Eric Dolphy), il cd è anche connotato da quella effervescenza
che solo un concerto live di jazz senza briglie può offrire: non a caso è registrato
dal vivo, durante il tour canadese del 2004,
parte al "Vancouver International Jazz Festival" e parte alla Sala Rossa del "Suoni
per il popolo festival" di Montreal.
Vi si possono ascoltare alcuni fra i più validi improvvisatori del nostro
tempo: lo spigoloso sax contralto di Rob Brown, la squillante tromba di
Lewis Barnes, la vivificante energia dei tamburi di Hamid Drake, ed
ovviamente lo stesso contrabbassista, William Parker, definito "guida
dell'attuale scena avanguardistica del jazz", "uno dei pochi indiscussi giganti
della musica free contemporanea". Più di venti uscite a suo nome, con diverse
formazioni – The Curtis Mayfield Project, Little Huey Creative Orchestra, In Order
to Survive, William Parker's Quartet – dal settetto fino al solo album "Lifting
The Sanctions". La più riuscita è la combinazione in quartetto, proprio con
siffatti meravigliosi musicisti, già "compagni di mille avventure". Ma fra le sue
collaborazioni non mancano altri jazzisti di straordinaria levatura, dai senior
Ed Blackwell, Don Cherry, Bill Dixon, Milford Graves,
Billy Higgins, Sunny Murray, al più giovane Matthew Shipp.
Vari gli affreschi resi dalle singole tracce, tutte divertenti e coinvolgenti.
Ispirata a Frank Lowe è Hawaii,
cantabile e quasi estiva nel cicaleccio fra ancia e pistoni, zigzagante e sciolto
il contralto sopra la dritta linea del contrabbasso, quest'ultimo in seguito artefice
di un pluri-fraseggiato assolo; mentre è dedicata al trombettista Don Cherry
Wood flute song, più
spinta sia nel timing che nelle circonvoluzioni del saxalto, strapazzato
fino al limite del gracidante ma al contempo – e questo è il bello – continuamente
portato ai margini (se mai Brown possa incontrarne!) delle potenzialità sonore dello
strumento; brucianti le piroettanti note della tromba, senza contare gli spumeggianti
sbuffi della batteria – circa tre minuti di break all'interno di questo brano
–, ritmo filante come un treno, in ottima combinazione con il contrabbassista, tanto
da non potersi dire chi sia in effetti ad imprimere il drive.
Poem for June Jordan, scritta
in memoria della sensibile poetessa newyorkese venuta meno nel
2002 – pochi sanno che Parker è anche lui poeta,
ed il poema, infatti, ha pure dei versi –: tema scarno, di pretesto per i solisti,
fra cui spicca la sordinata tromba, sotto la quale quel tema viene costantemente,
ma non ossessivamente, puntualizzato da Parker, finché non giunge il prezioso dialogo,
sempre tematico, fra tromba e sax, intenso ed avvincente, seppur breve.
"Una chiamata a tutti coloro che possono udire per unirsi – unirsi ma non
rinunciare alla propria individualità" è definita
Sound Unity, traccia rappresentativa
dell'intero album, che incarna perfettamente l'iridescente vitalità che promana
dalla musica del gruppo: un pedale continuo del contrabbasso, su cui intrecciano
le proprie voci i due fiati – ora all'unisono, ora in acuti stridori, ora in avvincenti
dialoghi estemporanei –, i quali si distinguono per il proprio intervento solistico,
ciascuno liberamente poggiato alla scarna configurazione ritmica punteggiata da
Parker, e quindi affrancato da qualsiasi altro schema di rigidità, se non
quello della coralità d'approccio… e proprio a questo aspetto inneggiano nelle intenzioni
il brano ed il cd tutto. Ma nei circa 21 minuti di questa composizione c'è pure
posto per lunghe improvvisazioni da parte di ciascuno dei jazzisti, con ottima presa
sia sull'ascoltatore che sul pubblico presente, come lascia intendere l'approvazione
alla fine di ciascun turno. Ammiccante e suadente
Harlem, dondolante il suo
motivo, colorati in blues gli assolo, un incedere elegante che rivela l'approfondita
conoscenza delle radici della musica afroamericana; radici che Parker ha
posto a bandiera della propria concezione musicale. Notevoli in questo pezzo anche
le dinamiche, particolarmente curate in sede di contributo improvvisativo da parte
del leader, scortato dalle figurazioni rutilanti e spandenti di Drake.
Ed infine Groove, che nel disegno del basso vagheggia
qualcosa dei ritmi e delle atmosfere tipiche dei tempi in levare caraibici, su
cui si adagia, placido, l'unisono motivico di sax e tromba. Il pezzo forse più
rassicurante della sequenza, ottima conclusione di un ottimo cd. Antonio
Terzo per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/06/2006
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