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Order No. 9462
Distribuzione Egea Distribution

RABIH ABOU-KHALIL
Morton's Foot

1. Ma Muse m'abuse
2. Morton's Foot
3. Il ritorno del languore
4. Lobotomie Mi Baba Lu§
5. L'histoire d'un parapluie
6. O Papaia balerina
7. Dr Gieler's Wiener Scnitzel
8. Il sospiro
9. Hopping Jack
10. Waltz for Dubbya
11. The return of the Maltese

Rabih Abou-Khalil –
oud, compositions
Gabriele Mirabassi
clarinet
Luciano Biondini accordion
Gavino Murgia –
vocals
Michel Godard –
tuba
Jarrod Cagwin –
drums
, frame drums

 

Tecnica e sensualità in un CD fuori dagli schemi: l'ultimo lavoro di Rabih Abou-Khalil
Camilla Patruno

Indefinibile in una sola parola, come la sua musica.

Rabih Abou-Khalil: libanese, maestro di Oud, compositore jazz, studente di flauto classico in Germania, una formazione occidentale, uno spirito impregnato di cultura araba. L'improvvisazione del jazz, le sensuali volute di uno strumento orientale, la rigorosa preparazione tecnica: la giusta dose di «cervello» perchè non ci sia troppo sdolcinato kitch, la giusta dose di « cuore » perchè non ci sia solo virtuosismo. Un uomo dalla personalità dirompente per una musica che è linguaggio a parte.

«La cosa che mi stupisce sempre» dice «è che la mia musica è definita araba. Eppure la mia maniera espressiva non lo è. Il mio lavoro è frutto di mèlange, di influenze costanti. Comunque non credo nella cultura pura: mi hanno anche definito jazzista, e il jazz come sola cultura nuova del XX secolo scioccava perchè non era puro! Le tradizioni di oggi sono le rivoluzioni di ieri. Diciamo piuttosto che c'è un dialetto per ognuno, e nel mio "dialetto musicale" non può non venire fuori la cultura araba, anche se sottolineo che non faccio folklore arabo. Ma poi che bisogno c'è di classificare? La bellezza va goduta!»

Difficile in effetti aspettarsi una risposta inquadrante da un uomo che ha portato il quartetto d'archi – prerogativa della musica classica europea – nel pensiero musicale orientale. Abbandono dunque i tentativi di definizione dello stile per lasciarmi trasportare dall'ascolto del flusso di parole, miscuglio di idiomi diversi fra cui l'italiano, di Rabih, e soprattutto dall'ascolto della sua ultima creazione, MORTON'S FOOT.

DISCOGRAFIA:
Yara, 1999
Odd Times, 1997
Arabian Waltz, 1996
The Sultan's picnic, 1994
Roots and Sprouts, 1994
Between Dusk & Dawn, 1994
Bukra, 1994
Tarab, 1993
Al-Jadida, 1993
Blue Camel, 1992
Nafas, 1991

Anche nella scelta dei titoli, non si smentisce mai: "piede alla greca", quello dove il secondo dito è più lungo dell'alluce...che razza di metafora è?! «Eh no, bisogna lasciare il mistero, la poesia chiara non è poesia, ci dev'essere spazio per l'interpretazione. Tutti i miei titoli portano in sè ricchezza metaforica, evocazione, più possibilità di lettura».

Addentriamoci allora nell'esplorazione del CD, che arriva dopo YARA, la "cicatrice dell'anima", colonna sonora di un film turco del 1999. Che percorso ha fatto Rabih da allora?

«YARA ha segnato un momento molto significativo della mia vita. Era morto mio padre, mi sentivo traboccante di cose da dire, il disco si è fatto velocemente, è quasi sgorgato da me. Non ho un disco preferito fra i miei ma ecco, quello è stato il più intimo. Quest'ultimo? No, non parlerei di percorso. Ogni mio CD è un viaggio ma a sè, nella sensualità – perchè è cosi che vedo la mia musica, un sensuale lasciarsi avvolgere – non c'è direzione precisa».

In MORTON'S FOOT hai lavorato con tre artisti italiani, fra cui un vocalist sardo, e la presenza del vocale è una novità per te. Hai collaborato col sassofonista Charlie Marjano e il bassista Glenn Moore, come scegli i componenti del tuo gruppo?

«E' una scelta di personalità quella che faccio. E' come scegliere gli invitati per una cena, devono trovarsi bene a tavola assieme: conosco tanta gente ma perchè un banchetto riesca i convitati non devono solo andare bene singolarmente rispetto a me, ma fra loro. Non voglio virtuosisti che cercano l'a solo a tutti i costi, è l'armonia del gruppo che fa la forza. Prendiamo l'armonica. Non sono un fan di questo strumento ma quando trovo un musicista che me la fa amare, lo annetto al CD grazie alla sua personalità musicale».

Da vero mediterraneo ed esteta arabo cerca una comparazione con la figura femminile: «Lo dico sempre ai miei collaboratori, non voglio che siate come una donna bella che dopo mezz'ora mi stanco di apprezzare. Voglio che siate una donna dotata di profondità e qualità, doti che trascendono la bellezza fisica, cosi come la musica deve andare oltre gli strumenti. Il vocalist è stato un caso come quello dell'armonica. Me ne aveva parlato Michel (Godard, tuba), che lo aveva rimarcato per il suo senso del ritmo. Ciò che faccio io in realtà non è cantabile. Gavino era in Germania come sassofonista, ho deciso comunque di incontrarlo, ho sentito passare subito l'intesa. Cosi gli ho ritagliato un ruolo, ma non è l'aggiunta della voce, è come uno strumento del gruppo».

A Parigi per presentarlo hai detto che ve lo portavate dietro per trasportare le valigie, e che per non annoiarsi è entrato a far parte del gruppo.

«Oh, già, quello...La nostra musica è difficile, da fare e da percepire, le prepongo una presentazione folle perchè non voglio essere ascoltato come fossi un professore. Parlo col pubblico, la cui reazione può essere anche stimolante per me. Cerco di farlo ridere, distendere, la voglia e la capacità di essere folli sono universali e mettono nella giusta disposizione d'animo per rendere più accessibile la comprensione. E poi è un'esibizione live, che senso ha salire sul palco e fare il mio pezzo come una statua? Sorridere è fondamentale, non c'è sensualità nella seriosità».






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Data pubblicazione: 17/01/2004

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