RomaJazzFestival -
Auditorium Parco della Musica – 10 novembre 2004, Roma
di Dario
Gentili
foto di Daniele Molajoli
Charles Lloyd:
saxes, flauto
Zakir Hussain: percussioni
Eric Harland: batteria
Prima di ogni analisi che tenti di entrare nelle pieghe del concerto di Charles Lloyd,
Zakir Hussain ed Eric Harland, stasera di scena all'Auditorium di Roma, meglio essere immediatamente espliciti:
per intensità musicale ed emotiva, si è trattato di un concerto straordinario.
Consapevoli dell'impossibilità di rendere, considerando la varietà di suggestioni musicali che lo ha caratterizzato, soprattutto la densità dell'atmosfera che ha contraddistinto il concerto, passiamo al suo racconto.
Il concerto di Lloyd-Hussain-Harland fa parte della rassegna Jazz&Art
organizzata insieme
dall'Auditorium e dal jazz-club La Palma di Roma. Rispetto agli altri concerti in programma, in questo caso la contaminazione del jazz con un'altra forma d'arte aveva ben poco di sperimentale: infatti, essendo la forma d'arte prescelta il documentario di Dorothy Darr che riprendeva la registrazione dell'album Which Way is East (ECM 2004), l'ultima del grande batterista Billy Higgins, scomparso nel 2002, la serata è stata piuttosto, in ogni suo aspetto, un omaggio a Billy Higgins. La formazione stessa con cui il suo grande amico Charles Lloyd, che ha registrato con lui Which Way is East, si è presentato all'Auditorium è stata chiaramente pensata per commemorare il batterista americano: oltre al sax di
Lloyd, infatti, le percussioni del maestro indiano Hussain e la batteria del jazzista
Harland vogliono comporre insieme l'arte musicale di Higgins, ma anche rappresentare le sue due anime spirituali, quella afroamericana e quella indiana, che in lui convivevano armoniosamente, come si può evincere tra l'altro dai brani di Which Way is East.
L'omaggio a Higgins ha avuto inizio con una lunga e intensa introduzione di
Harland al pianoforte, strumento a cui Harland è tornato ancora
durante il concerto con sorprendente padronanza, a cui si sono aggiunte le percussioni di
Hussain e, solo nel finale, il flauto di Lloyd.
Per chi conosca le registrazioni e le esibizioni live di Charles Lloyd, non c'è da stupirsi di come questo grande musicista lasci sempre, non soltanto nel concerto di stasera, ampio spazio ai musicisti con lui sulla scena. Lloyd è un uomo e un musicista ben lungi da manie di protagonismo, suo interesse principale e l'armonia complessiva dell'esecuzione e, di certo, non ha bisogno di dimostrare la sua abilità tecnica. Non è un caso che ami circondarsi sempre di grandi musicisti, come quelli di stasera. Infatti, l'aspetto più impressionate del concerto è stata la perfetta sintonia ritmica che si è instaurata tra la batteria di
Harland e le percussioni di Hussain, che hanno dialogato tra loro senza mai sovrapporsi o confondersi, ma riuscendo sapientemente a intervenire chirurgicamente l'uno negli spazi lasciati in sospeso dall'altro. Nei lunghi brani eseguiti, i fiati di Lloyd intervengono sul fitto e denso tappeto sonoro di
Hussain e Harland non per spezzarne la ritmica con l'assolo, piuttosto per inciderla nel senso dell'intensità, spesso, come suo solito, rallentandone il tempo, costruendo quindi sonorità completamente avvolgenti.
Il concerto si è composto interamente di brani nuovi, che, considerando anche l'entusiastico apprezzamento che il pubblico ha loro tributato, si spera possano essere presto registrati in un album.