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Südtirol Jazz Festival 2021
Going Upstream

25/06-04/07 2021
di Vincenzo Fugaldi

Sud Tirol - Alistair PayneSud Tirol - Andras Des RangersSud Tirol - Andrej ProzorovSud Tirol - Attilio SepeSud Tirol - Crescent MoonSud Tirol - Daniel Moser
Sud Tirol - Des - HavedSud Tirol - Deus Ex QuartetSud Tirol - Enrico ZanisiSud Tirol - FazerSud Tirol - Fazer
Sud Tirol - Fenyvesi - SzandaiSud Tirol - George DumitriuSud Tirol - Ghost Horse - Kill The VulturesSud Tirol - Guy Salamon GroupSud Tirol - Kadri Voorand
Sud Tirol - Joachim BadenhorstSud Tirol - KapucircusSud Tirol - KapucircusSud Tirol - Lucas MembrillaSud Tirol - Marta Raviglia
Sud Tirol - Massimiliano MilesiSud Tirol - Matteo BortoneSud Tirol - Matthias LegnerSud Tirol - Mihkel MalgandSud Tirol - MyndSud Tirol - Orges Toce
Sud Tirol - Sanem KalfaSud Tirol - Sergio BolognesiSud Tirol - Stefano TamborrinoSud Tirol - Teis SemeySud Tirol - Tony CattanoSud Tirol - Xavi Torres
Sud Tirol - Guy SalamonSud Tirol - TrainingSud Tirol - Young Shouts
click sulle foto per ingrandire

Dopo una forzata interruzione nel 2020, lo storico festival altoatesino ha ripreso le proprie attività con un'edizione intitolata "Going Upstream". Andare controcorrente è una caratteristica di questo festival, che promuove soprattutto, entro cornici di ragguardevole bellezza, artisti giovani prevalentemente europei. Riannodando i fili dei propositi per il 2020, si sono dunque ascoltati principalmente musicisti austriaci, ungheresi, tedeschi, finlandesi, danesi olandesi e anche molti italiani. Chi scrive ha seguito i concerti a partire dal pomeriggio del 28 giugno, molti premiati da una partecipazione di pubblico consistente, anche nelle serate che coincidevano con gli eventi calcistici di richiamo.

Nella sezione "Nuova generazione jazz", per il progetto promosso dalla associazione I-Jazz volto a promuovere i giovani musicisti italiani nel paese e in Europa, il secondo giorno si sono avvicendati sul palco della accogliente Bonbonniere dell'Auditorium Haydn tre gruppi italiani, per tre densi showcase introdotti da Enrico Bettinello: il primo era dedicato a Vocione, il duo voce-trombone di Marta Raviglia e Tony Cattano. Pur non agevolato dall'insolita collocazione (ore 10:30 del mattino), sicuramente provato dalla lunga assenza dai palchi, un po' costretto dai tempi previsti a selezionare drasticamente dal vasto repertorio, il duo ha dato tuttavia testimonianza della propria creatività fuori dagli schemi, garantita dalla vastità degli interessi musicali della Raviglia - anche apprezzatissima docente - e dalla intrigante interazione con il fantasioso trombonista. Hanno poi ceduto il palco a un piano trio capitanato dal contrabbassista Matteo Bortone, con Enrico Zanisi al pianoforte e Stefano Tamborrino alla batteria. Il gruppo, ClarOscuro, ha all'attivo un disco pubblicato da CamJazz, dal quale ha tratto alcuni dei brani originali eseguiti, insieme ad alcuni nuovi, con il consueto buon interplay. Il terzo set della mattina ha lasciato maggiormente il segno: il quartetto Young Shouts di Silvia Bolognesi, con Emanuele Marsico (tromba, voce), Attilio Sepe (alto), Sergio Bolognesi (batteria). Del quartetto è uscito un disco nel 2019, «aLive Shouts. An Homage to Bessie Jones», su etichetta Fonterossa. Bessie Jones era una folksinger africana-americana scoperta da Alan Lomax, e i brani che Bolognesi le ha dedicato sono una delle cose migliori che il jazz italiano sta esprimendo al momento, un progetto che a volte ricorda la carica dei Roots Magic. Con dietro la forte spinta del contrabbasso, che non si finirebbe mai di elogiare per quanto ha assimilato e fatto propria la grande lezione chicagoana, i tre giovani musicisti sono stati entusiasmanti nei loro voli solistici, mentre il trombettista ha mostrato anche considerevoli doti vocali, a volte con convincenti toni progressive, interpretando con perizia la bellissima song You Better Mind, nell'originale a cappella ma qui arrangiata strumentalmente.



Nello spazio del Parco Cappuccini di Bolzano, arredato per l'occasione con allegri e colorati materiali circensi e ribattezzato Kapucircus, nel quale si sono tenuti gli eventi principali del festival, George Dumitriu, rumeno attivo in terra olandese, ha proposto in solitudine "Monk on viola", un'interessante rilettura di alcune composizioni di Thelonious Monk attraverso il suo eclettico punto di vista a cavallo tra cultura classica e jazzistica, fra buona tecnica e amore per l'opera monkiana.

Il consueto appuntamento al Parco Semirurali era riservato a un grande organico, ben tredici elementi, l'Euregio Collective, che ha eseguito una composizione del sassofonista Damian Dalla Torre insieme a Felix Römer e Richard Köster dedicata all'acqua nei suoi diversi stati di aggregazione, gassoso, liquido e solido, dal titolo "Floating – Reflections on Water". Inusuale la formazione, con due bassi, due vibrafoni, due batterie, chitarra, tastiere, fiati e voce, e suggestivo il concerto. Un interludio letteralmente acquatico, con il tastierista Römer intento a far risuonare l'elemento in una pentola amplificata, e altre sezioni differenti per mood, un'opera costruita e complessa. Nella giornata seguente, una piccola formazione facente capo al medesimo collettivo, un quintetto denominato Euregio Improvisers ha suonato dopo la proiezione del documentario "Spin-Off", che ha mostrato le attività del festival durante l'anno di forzata interruzione.

Dopo il quartetto austriaco Sketchbook (sax tenore, clarinetto basso, chitarra e batteria) con interessanti e vari brani originali tra jazz e rock eseguiti con cura e maestria, il Kapucircus ha accolto un trio denominato "Black Sea Songs" che schierava, insieme al già citato Dumitriu alla viola e alla chitarra elettrica, la voce e l'elettronica di Sanem Kalfa e i clarinetti del belga Joachim Badenhorst, già presente in anni passati al festival con la sua Carate Urio Orchestra. Un'esplorazione dei canti folclorici del Mar Nero affidati alla assertiva e affascinante voce della Kalfa, impreziositi dagli strumenti a corde e a fiato, una proposta suggestiva di non facile presa, che concedeva ampio spazio al clarinettista che ha riconfermato le sue notevoli doti solistiche, e ampio spazio all'improvvisazione di ciascuno.

Badenhorst la mattina successiva, nel rigoglioso spazio verde del giardino di Palais Toggenburg, ha portato il progetto "Zero Years Kid", concepito su disco in duo con Sean Carpio, una celebrazione della sua caratteristica vocalità supportata dai clarinetti e da una loop station, oltre ad altri strumenti elettronici utilizzati per supportare, modificare e armonizzare la voce, intenta a un canto di matrice pop impreziosito dagli interventi strumentali, con alcuni momenti di pura improvvisazione e con l'utilizzo di basi preregistrate e di ritmi dance.

Nell'incomparabile cornice paesaggistica dello Stanglerhof residency a Fiè allo Sciliar, due musicisti tedeschi, Max Andrzejewski e Johannes Schleiermacher, si sono ritirati per alcuni giorni per dedicarsi alle loro sperimentazioni. La loro residenza ha generato un incontro creativo in cui i loro diversi strumenti (batteria, tastiere e pianoforte Andrzejewski, sax tenore e flauto Schleiermacher) si sono incrociati in una prassi improvvisativa calda ed entusiasmante. Il batterista era già noto al pubblico altoatesino per aver suonato in trio con Kalle Kalima e Greg Cohen, e in varie occasioni con Matthias Schriefl.

Mentre il gruppo ungherese Deus Ex Quartet non è parso particolarmente incisivo, forse a causa della giovane età dei componenti, il quintetto bavarese Fazer (Martin Brugger, basso; Matthias Lindermayr, tromba; Paul Brändle, chitarra; Simon Popp e Sebastian Wolfgruber, batteria), esibitosi sia sul Renon al Feltuner Hütte che successivamente nel giardino dell'Hotel Laurin, ha dato buona prova, con una ritmica solida e affiatata, grazie al metronomico basso di Brugger, fondatore del gruppo, il perfetto accordo tra i due batteristi, il lavoro armonico del chitarrista e le parti solistiche affidate soprattutto alla tromba, con valide composizioni originali. Un pizzico di voglia di rischiare in più gioverebbe sicuramente ai Fazer, che presentano comunque ottime potenzialità.

Due esibizioni a Bolzano, al Kapucirkus e nella serata finale al Batzen Hausl anche per la musica balcanica del quartetto Orges & The Ockus-Rockus Band, di base in Austria ma con un cantante-chitarrista albanese e un sassofonista ucraino. Musica coinvolgente e divertente come in un film di Kusturica, basata sul canto funambolico di Orges Toçe e sul dinamico sax soprano di Andrej Prozorov.

Mynd è un quartetto tutto italiano, composto da Mirko Pedrotti al vibrafono, Manuel Marocchi alle tastiere, Massimiliano Milesi al sax tenore e al synth e Daniele Cavalca alla batteria. Le interessanti composizioni di Marocchi, melodiche e varie per atmosfere, con richiami al progressive, ben arrangiate, hanno felicemente caratterizzato il set, con una menzione speciale per il tenore di Milesi, che si conferma uno dei più interessanti sassofonisti italiani in attività, ma tutto il quartetto ha fornito buona prova di sé.

Per la seconda volta al festival, dall'Estonia, Kadri Voorand, in duo con Mihkel Mälgand, si è esibita nel giardino del Parkhotel Holzner sul Renon. La cantante e polistrumentista, accompagnata da basso e contrabbasso, ha mostrato la sua nota verve improvvisativa, ricca di tecnica e di humour, iniziando la performance con voce e violino, per poi passare al pianoforte, filtrando a tratti la voce con l'elettronica per armonizzarla, deformarla, trasformarla. Creativa e suadente, sulla solida base ritmico-armonica del basso ha anche parlato in tedesco e in italiano, oltre che in inglese, lingua che utilizza spesso anche nel canto insieme all'estone, interpretando alcune delle sue incantevoli composizioni come Like Yoko And John, la cover di Michael Jackson, They Don't Really Care About Us, la coinvolgente Ageing Child, la realistica I'm not in Love.

Altro grande evento è stato l'incontro inedito, promosso dal festival altoatesino con quattro giorni di intense prove, tra il gruppo Ghost Horse (Dan Kinzelman, Filippo Vignato, Glauco Benedetti, Gabrio Baldacci, Joe Rehmer e Stefano Tamborrino) e il duo statunitense Kill The Vultures (Anatomy e Crescent Moon). L'incontro tra l'agguerrito gruppo italiano (non possiamo non considerare Kinzelman e Rehmer nostri connazionali) e l'hip-hop del duo ha visto solo due brani tratti dal repertorio dei Ghost Horse, mentre i rimanentì erano arrangiamenti dei brani dei Kill The Vultures. La formazione (tenore-trombone-tuba, euphonium-chitarra baritona-basso e contrabbasso-batteria, oltre a dei flautini e piccoli oggetti percossi) ha vestito di jazz creativo le notevoli performance rap di Crescent Moon, autore anche dei testi e di alcuni versi improvvisati con esiti coinvolgenti, differenziati mediante l'uso di diverse strumentazioni, una commistione di linguaggi – non inedita, anzi da tempo abbastanza praticata nel jazz statunitense più avanzato - che ne evidenziava i tratti simili e ne rimarcava le differenze, creando una bella tensione dialettica. Grande successo e gran pienone, nonostante la coincidenza con un'importante serata calcistica.

Una bella sorpresa è venuta dal Guy Salamon Group. Di base ad Amsterdam, guidato dal batterista e pianista israeliano Salamon, il gruppo comprende olandesi, portoghesi, scozzesi, danesi e catalani, ed esegue composizioni originali dell'estroso e carismatico leader. Il gruppo, che si colloca direttamente sulla gloriosa scia del Dutch Jazz, si muove con dimestichezza fra swingante tradizione jazzistica, atmosfere nostalgicamente klezmer, senso umoristico, strampalate presentazioni, con alcuni brani tratti dal disco «Unfollow The Leader» del 2019, compresa la title track, la romantica E Sheli, il finale Blues For Jaja. Tra i solisti, tutti interessanti, il pianista Xavi Torres, protagonista di validissimi interventi, il chitarrista Teis Semey, il trombettista Alistair Payne, ma è l'insieme della band che funziona. A seguire, il trio Abacaxi del collettivo francese Coax con il chitarrista Julien Desprez, con la sua estetica radicale, estrema e coerente, hard, rumoristica, tuttavia a tratti parossisticamente monocorde.

La parte finale del festival si è svolta in due splendide cornici naturali: San Genesio e il Passo delle Erbe. Protagonisti i componenti del quartetto ungherese Rangers del batterista András Dés, i sax tenore e soprano di János Ávéd, il chitarrista Márton Fenyvesi e il contrabbassista Mátyás Szandai. Il gruppo si è integrato alla perfezione con gli scenari naturali, avendo recentemente inciso un disco ispirato ai suoni dei boschi. A San Genesio ha eseguito i brani del disco senza soluzione di continuità, collegandoli con momenti improvvisati. Dés suona un set percussivo minimalista, che utilizza in modo personale, e ha utilizzato anche vari legnetti e i massi presenti nel bosco durante la suggestiva performance, tutta tenuta entro toni moderati, come per non disturbare il silenzio della natura circostante. Ben riuscito l'equilibrio nel quartetto, con la chitarra acustica che dispensava arpeggi limpidi e fondamentali nell'economia del progetto, e il contrabbasso puntuale che consentiva al percussionista di spaziare liberamente. Nella giornata conclusiva, il quartetto si è frazionato in due duetti (batteria-sax e chitarra-contrabbasso), il primo ha proposto una coinvolgente improvvisazione totale, mentre il secondo ha optato per un set delicato, melodico, un intreccio tra corde meditativo e sussurrato principalmente di matrice folk-rock, estremamente gradevole, con momenti dedicati anche a noti standard del jazz. La chiusura, che ha riunito l'intero quartetto all'interno della confortevole Utia De Börz a causa delle condizioni atmosferiche, ha beneficiato dell'atmosfera calda e raccolta, dando al gruppo ancora una volta il modo di esprimere le proprie concezioni musicali.

Un plauso come sempre alla competente direzione artistica e al puntuale staff del festival, attorniato da giovanissimi volontari entusiasti e capaci.







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Data pubblicazione: 06/09/2021

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