Südtirol Jazz Festival 2021 Going Upstream 25/06-04/07 2021
di Vincenzo Fugaldi
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Dopo una forzata interruzione nel 2020, lo
storico festival altoatesino ha ripreso le proprie attività con un'edizione intitolata
"Going Upstream". Andare controcorrente è una caratteristica di questo festival,
che promuove soprattutto, entro cornici di ragguardevole bellezza, artisti giovani
prevalentemente europei. Riannodando i fili dei propositi per il
2020, si sono dunque ascoltati principalmente
musicisti austriaci, ungheresi, tedeschi, finlandesi, danesi olandesi e anche molti
italiani. Chi scrive ha seguito i concerti a partire dal pomeriggio del 28 giugno,
molti premiati da una partecipazione di pubblico consistente, anche nelle serate
che coincidevano con gli eventi calcistici di richiamo.
Nella sezione "Nuova generazione jazz", per il progetto promosso dalla associazione
I-Jazz volto a promuovere i giovani musicisti italiani nel paese e in Europa, il
secondo giorno si sono avvicendati sul palco della accogliente Bonbonniere dell'Auditorium
Haydn tre gruppi italiani, per tre densi showcase introdotti da Enrico Bettinello:
il primo era dedicato a Vocione, il duo voce-trombone di Marta Raviglia e
Tony Cattano.
Pur non agevolato dall'insolita collocazione (ore 10:30 del mattino), sicuramente
provato dalla lunga assenza dai palchi, un po' costretto dai tempi previsti a selezionare
drasticamente dal vasto repertorio, il duo ha dato tuttavia testimonianza della
propria creatività fuori dagli schemi, garantita dalla vastità degli interessi musicali
della Raviglia - anche apprezzatissima docente - e dalla intrigante interazione
con il fantasioso trombonista. Hanno poi ceduto il palco a un piano trio capitanato
dal contrabbassista Matteo Bortone, con Enrico Zanisi al pianoforte
e Stefano Tamborrino alla batteria. Il gruppo, ClarOscuro, ha all'attivo
un disco pubblicato da CamJazz, dal quale ha tratto alcuni dei brani originali eseguiti,
insieme ad alcuni nuovi, con il consueto buon interplay. Il terzo set della
mattina ha lasciato maggiormente il segno: il quartetto Young Shouts di
Silvia Bolognesi, con Emanuele Marsico (tromba, voce), Attilio
Sepe (alto), Sergio Bolognesi (batteria). Del quartetto è uscito un disco
nel 2019, «aLive Shouts. An Homage to Bessie
Jones», su etichetta Fonterossa. Bessie Jones era una folksinger africana-americana
scoperta da Alan Lomax, e i brani che Bolognesi le ha dedicato sono una delle cose
migliori che il jazz italiano sta esprimendo al momento, un progetto che a volte
ricorda la carica dei Roots Magic. Con dietro la forte spinta del contrabbasso,
che non si finirebbe mai di elogiare per quanto ha assimilato e fatto propria la
grande lezione chicagoana, i tre giovani musicisti sono stati entusiasmanti nei
loro voli solistici, mentre il trombettista ha mostrato anche considerevoli doti
vocali, a volte con convincenti toni progressive, interpretando con perizia
la bellissima song You Better Mind, nell'originale a cappella ma qui arrangiata
strumentalmente.
Nello spazio del Parco Cappuccini di Bolzano, arredato
per l'occasione con allegri e colorati materiali circensi e ribattezzato Kapucircus,
nel quale si sono tenuti gli eventi principali del festival, George Dumitriu,
rumeno attivo in terra olandese, ha proposto in solitudine "Monk on viola", un'interessante
rilettura di alcune composizioni di Thelonious Monk attraverso il suo eclettico
punto di vista a cavallo tra cultura classica e jazzistica, fra buona tecnica e
amore per l'opera monkiana.
Il consueto appuntamento al Parco Semirurali era riservato a un grande organico,
ben tredici elementi, l'Euregio Collective, che ha eseguito una composizione
del sassofonista Damian Dalla Torre insieme a Felix Römer e Richard
Köster dedicata all'acqua nei suoi diversi stati di aggregazione, gassoso, liquido
e solido, dal titolo "Floating – Reflections on Water". Inusuale la formazione,
con due bassi, due vibrafoni, due batterie, chitarra, tastiere, fiati e voce, e
suggestivo il concerto. Un interludio letteralmente acquatico, con il tastierista
Römer intento a far risuonare l'elemento in una pentola amplificata, e altre sezioni
differenti per mood, un'opera costruita e complessa. Nella giornata seguente, una
piccola formazione facente capo al medesimo collettivo, un quintetto denominato
Euregio Improvisers ha suonato dopo la proiezione del documentario "Spin-Off",
che ha mostrato le attività del festival durante l'anno di forzata interruzione.
Dopo il quartetto austriaco Sketchbook (sax tenore, clarinetto basso, chitarra
e batteria) con interessanti e vari brani originali tra jazz e rock eseguiti con
cura e maestria, il Kapucircus ha accolto un trio denominato "Black Sea Songs"
che schierava, insieme al già citato Dumitriu alla viola e alla chitarra elettrica,
la voce e l'elettronica di Sanem Kalfa e i clarinetti del belga Joachim
Badenhorst, già presente in anni passati al festival con la sua Carate Urio
Orchestra. Un'esplorazione dei canti folclorici del Mar Nero affidati alla assertiva
e affascinante voce della Kalfa, impreziositi dagli strumenti a corde e a fiato,
una proposta suggestiva di non facile presa, che concedeva ampio spazio al clarinettista
che ha riconfermato le sue notevoli doti solistiche, e ampio spazio all'improvvisazione
di ciascuno.
Badenhorst la mattina successiva, nel rigoglioso spazio verde del giardino
di Palais Toggenburg, ha portato il progetto "Zero Years Kid", concepito
su disco in duo con Sean Carpio, una celebrazione della sua caratteristica
vocalità supportata dai clarinetti e da una loop station, oltre ad altri
strumenti elettronici utilizzati per supportare, modificare e armonizzare la voce,
intenta a un canto di matrice pop impreziosito dagli interventi strumentali, con
alcuni momenti di pura improvvisazione e con l'utilizzo di basi preregistrate e
di ritmi dance.
Nell'incomparabile cornice paesaggistica dello Stanglerhof residency a Fiè allo
Sciliar, due musicisti tedeschi, Max Andrzejewski e Johannes Schleiermacher,
si sono ritirati per alcuni giorni per dedicarsi alle loro sperimentazioni. La loro
residenza ha generato un incontro creativo in cui i loro diversi strumenti (batteria,
tastiere e pianoforte Andrzejewski, sax tenore e flauto Schleiermacher) si sono
incrociati in una prassi improvvisativa calda ed entusiasmante. Il batterista era
già noto al pubblico altoatesino per aver suonato in trio con Kalle Kalima e Greg
Cohen, e in varie occasioni con Matthias Schriefl.
Mentre il gruppo ungherese Deus Ex Quartet non è parso particolarmente incisivo,
forse a causa della giovane età dei componenti, il quintetto bavarese Fazer (Martin
Brugger, basso; Matthias Lindermayr, tromba; Paul Brändle, chitarra;
Simon Popp e Sebastian Wolfgruber, batteria), esibitosi sia sul Renon
al Feltuner Hütte che successivamente nel giardino dell'Hotel Laurin, ha dato buona
prova, con una ritmica solida e affiatata, grazie al metronomico basso di Brugger,
fondatore del gruppo, il perfetto accordo tra i due batteristi, il lavoro armonico
del chitarrista e le parti solistiche affidate soprattutto alla tromba, con valide
composizioni originali. Un pizzico di voglia di rischiare in più gioverebbe sicuramente
ai Fazer, che presentano comunque ottime potenzialità.
Due esibizioni a Bolzano, al Kapucirkus e nella serata finale al Batzen Hausl anche
per la musica balcanica del quartetto Orges & The Ockus-Rockus Band, di base
in Austria ma con un cantante-chitarrista albanese e un sassofonista ucraino. Musica
coinvolgente e divertente come in un film di Kusturica, basata sul canto funambolico
di Orges Toçe e sul dinamico sax soprano di Andrej Prozorov.
Mynd è un quartetto tutto italiano, composto da Mirko Pedrotti al
vibrafono, Manuel Marocchi alle tastiere, Massimiliano Milesi al sax
tenore e al synth e Daniele Cavalca alla batteria. Le interessanti composizioni
di Marocchi, melodiche e varie per atmosfere, con richiami al progressive,
ben arrangiate, hanno felicemente caratterizzato il set, con una menzione speciale
per il tenore di Milesi, che si conferma uno dei più interessanti sassofonisti italiani
in attività, ma tutto il quartetto ha fornito buona prova di sé.
Per la seconda volta al festival, dall'Estonia, Kadri Voorand, in duo con
Mihkel Mälgand, si è esibita nel giardino del Parkhotel Holzner sul Renon.
La cantante e polistrumentista, accompagnata da basso e contrabbasso, ha mostrato
la sua nota verve improvvisativa, ricca di tecnica e di humour, iniziando la performance
con voce e violino, per poi passare al pianoforte, filtrando a tratti la voce con
l'elettronica per armonizzarla, deformarla, trasformarla. Creativa e suadente, sulla
solida base ritmico-armonica del basso ha anche parlato in tedesco e in italiano,
oltre che in inglese, lingua che utilizza spesso anche nel canto insieme all'estone,
interpretando alcune delle sue incantevoli composizioni come Like Yoko And John,
la cover di Michael Jackson, They Don't Really Care About Us, la coinvolgente
Ageing Child, la realistica I'm not in Love.
Altro grande evento è stato l'incontro inedito, promosso dal festival altoatesino
con quattro giorni di intense prove, tra il gruppo Ghost Horse (Dan Kinzelman,
Filippo Vignato, Glauco Benedetti, Gabrio Baldacci, Joe
Rehmer e Stefano Tamborrino) e il duo statunitense Kill The Vultures
(Anatomy e Crescent Moon). L'incontro tra l'agguerrito gruppo italiano
(non possiamo non considerare Kinzelman e Rehmer nostri connazionali) e l'hip-hop
del duo ha visto solo due brani tratti dal repertorio dei Ghost Horse, mentre i
rimanentì erano arrangiamenti dei brani dei Kill The Vultures. La formazione (tenore-trombone-tuba,
euphonium-chitarra baritona-basso e contrabbasso-batteria, oltre a dei flautini
e piccoli oggetti percossi) ha vestito di jazz creativo le notevoli performance
rap di Crescent Moon, autore anche dei testi e di alcuni versi improvvisati con
esiti coinvolgenti, differenziati mediante l'uso di diverse strumentazioni, una
commistione di linguaggi – non inedita, anzi da tempo abbastanza praticata nel jazz
statunitense più avanzato - che ne evidenziava i tratti simili e ne rimarcava le
differenze, creando una bella tensione dialettica. Grande successo e gran pienone,
nonostante la coincidenza con un'importante serata calcistica.
Una bella sorpresa è venuta dal Guy Salamon Group. Di base ad Amsterdam,
guidato dal batterista e pianista israeliano Salamon, il gruppo comprende olandesi,
portoghesi, scozzesi, danesi e catalani, ed esegue composizioni originali dell'estroso
e carismatico leader. Il gruppo, che si colloca direttamente sulla gloriosa scia
del Dutch Jazz, si muove con dimestichezza fra swingante tradizione jazzistica,
atmosfere nostalgicamente klezmer, senso umoristico, strampalate presentazioni,
con alcuni brani tratti dal disco «Unfollow The Leader» del
2019, compresa la title track, la romantica
E Sheli, il finale Blues For Jaja. Tra i solisti, tutti interessanti,
il pianista Xavi Torres, protagonista di validissimi interventi, il chitarrista
Teis Semey, il trombettista Alistair Payne, ma è l'insieme della band
che funziona. A seguire, il trio Abacaxi del collettivo francese Coax con
il chitarrista Julien Desprez, con la sua estetica radicale, estrema e coerente,
hard, rumoristica, tuttavia a tratti parossisticamente monocorde.
La parte finale del festival si è svolta in due splendide cornici naturali: San
Genesio e il Passo delle Erbe. Protagonisti i componenti del quartetto ungherese
Rangers del batterista András Dés, i sax tenore e soprano di János
Ávéd, il chitarrista Márton Fenyvesi e il contrabbassista Mátyás Szandai.
Il gruppo si è integrato alla perfezione con gli scenari naturali, avendo recentemente
inciso un disco ispirato ai suoni dei boschi. A San Genesio ha eseguito i brani
del disco senza soluzione di continuità, collegandoli con momenti improvvisati.
Dés suona un set percussivo minimalista, che utilizza in modo personale, e ha utilizzato
anche vari legnetti e i massi presenti nel bosco durante la suggestiva performance,
tutta tenuta entro toni moderati, come per non disturbare il silenzio della natura
circostante. Ben riuscito l'equilibrio nel quartetto, con la chitarra acustica che
dispensava arpeggi limpidi e fondamentali nell'economia del progetto, e il contrabbasso
puntuale che consentiva al percussionista di spaziare liberamente. Nella giornata
conclusiva, il quartetto si è frazionato in due duetti (batteria-sax e chitarra-contrabbasso),
il primo ha proposto una coinvolgente improvvisazione totale, mentre il secondo
ha optato per un set delicato, melodico, un intreccio tra corde meditativo e sussurrato
principalmente di matrice folk-rock, estremamente gradevole, con momenti dedicati
anche a noti standard del jazz. La chiusura, che ha riunito l'intero quartetto all'interno
della confortevole Utia De Börz a causa delle condizioni atmosferiche, ha
beneficiato dell'atmosfera calda e raccolta, dando al gruppo ancora una volta il
modo di esprimere le proprie concezioni musicali.
Un plauso come sempre alla competente direzione artistica e al puntuale staff del
festival, attorniato da giovanissimi volontari entusiasti e capaci.