Franco
D'Andrea è un musicista che ama riflettere sui significati umani e psicologici
delle forme musicali e metterli alla prova. Lo abbiamo visto vivere l'esperienza
del piano-solo come un viaggio musicale alla scoperta di sé e lo troviamo, come
in questo concerto, in grado di offrire la sua concezione della musica allo sviluppo
di altre sensibilità, quelle degli undici musicisti che compongono l'ensemble, tutti
piuttosto giovani e poco noti al grande pubblico.
Il ‘Franco
D'Andrea Eleven' esiste oramai dal 1998
e va considerato come una delle esperienze più innovative e stimolanti che il panorama
del jazz attuale può offrire per un simile organico.
L'aspetto
che rende peculiare la ricerca di
D'Andrea
nella scrittura per ensemble è l'utilizzo intensivo del riff, ossia di brevi frasi
ritmico-melodiche che permettono di caratterizzare immediatamente la composizione.
Questa tecnica potrebbe far pensare magari alla risoluzione di un problema espressivo
attraverso un ritorno nostalgico al passato ma non è certo questo il caso.
D'Andrea
è un musicista dotato di una sensibilità modernissima, di un gusto continuo di sperimentare
e, insieme, di una meditata conoscenza della storia del jazz. Così quei riff che
si possono ascoltare ripetuti ostinatamente magari nella grande lezione di Count
Basie, qui sono come delle tracce latenti, nella alternanza degli interventi
dei solisti vengono allusi e si ammira la coerenza dei loro assoli mai appesantiti
dalla lunghezza e sempre interni al mood delle composizioni.
Certamente
fra gli undici musicisti diverse sono le personalità musicali e non tutte ci hanno
colpito allo stesso modo. Merita di esser segnalato il meraviglioso solo di Achille
Succi al sax tenore: collocato ad introdurre il sesto brano del concerto - tutti
gli altri musicisti in silenzio - si è sviluppato con un misto di lirismo e fraseggi
ispidi come se Lester Young e le nuove tecniche esecutive introdotte col
free jazz potessero convergere in un'unica voce.
La presenza invece del leader ha agito sullo sviluppo della musica dalla
lunga distanza. Posto alla sinistra dell'ensemble e delegata la funzione di richiamare
i temi,
D'Andrea è stato parco anche negli interventi da solista: talvolta dava
un sapore contrappuntistico raddoppiando le voci di altri musicisti, altre volte
esordendo in una composizione (bellissima la parodia dello stride nel brano di chiusura
del concerto) con dei soli costruiti quasi come dei preludi. Chi scrive ha potuto
ammirare ancora una volta la sua immaginazione che è esuberante, si diverte procedendo
per brevi pennellate o infiorettando un tema con abbellimenti o sottoponendolo a
variazioni, il tutto retto da una tecnica superba. In questo concerto poi, e da
alcune sue recenti incisioni, ci sembra di poter dire che egli abbia reso le due
tendenze estreme del suo stile, quella verso l'astrazione e quella lirica, protagoniste
di un gioco ancora più fluido, come fossero finalmente divenute un'occasione l'una
per l'altra.