Intervista a Pietro Iodice
Roma, 13 ottobre 2004
di Franco Giustino
Ho avuto modo di incontrare Pietro Iodice il 13 ottobre
2004, in una pessima giornata di pioggia. Per non smentire il sangue partenopeo
che scorre nelle sue vene, si è presentato all'appuntamento in ritardo!! Ma una
persona simpatica e cordiale come lui si perdona di tutto...
F.G.:
Una domanda che mi ha sempre balenato nella
mente da rivolgere ad un batterista. All'inizio, come è stata accolta dai tuoi
familiari (e dai vicini!!), la tua decisione di dedicarti ad uno strumento
"rumoroso" come la batteria...
P.I.:
(Risata) Bella domanda!! La mia fortuna è stata quella di vivere in una città
imprevedibile come Napoli, dove la gente è particolare. Ad esempio, la signora
del piano di sopra e quella del piano di sotto, erano felicissime di ascoltare
la mia musica. I problemi nascevano dal fatto che non ero solo io con la
batteria.
C'era
mio fratello con il pianoforte, gli amici che venivano a suonare a casa.
Praticamente organizzavamo dei concerti! Questo ha creato qualche problema con
il Direttore della Scuola che avevamo di fonte casa. Evidentemente stanco, ci ha
mandato i Vigili Urbani a Casa più di una volta. Mi sono quindi dovuto
organizzare, creando una cabina di mt. 1,5x1,5 insonorizzata, all'interno di una
stanza. Nella stessa stanza c'era anche mio fratello con il pianoforte, dovevamo
pertanto in qualche modo "isolarci". Alla batteria ci sono arrivato dopo aver
suonato per un certo periodo l'organo. Considera che mio Padre suonava la
fisarmonica, ed ha sempre tenuto degli strumenti in casa, chitarra, fisarmonica,
pianoforte, organo. E' stato lui che mi ha insegnato i primi rudimenti musicali,
utilizzando l'organo. Ricordo la prima cosa che mi insegnò a suonare fu "Il
tango delle capinere"! Verso i 13 anni mi comprai una batteria, vendendo una
Vespa che mio padre mi aveva regalato. La pagai £. 130.000, ancora lo ricordo
era una Hollywood bellissima, rimpiango ancora di averla data via.
F.G.: Ed il passaggio al Jazz come è avvenuto?
P.I.: Ma guarda, da piccolo suonavo nei
matrimoni. Le canzoni erano le hit del momento, i Pooh, e tutta la musica pop di
quel periodo. Poi crescendo, ho iniziato ad ascoltare qualcosa di più
"raffinato", come la P.F.M., il Banco, i Genesis, tutti quei gruppi
Rock-Progessive dell'epoca. A 16 anni ho iniziato a prendere lezioni di
batteria, con il Maestro Antonio Golino. E' stato lui – grande batterista Jazz –
ad "iniziarmi" a questa musica. Andavo a casa sua a prendere lezioni, lui
ascoltava solo Jazz. Aveva una discografia infinita, oltre ad una enorme
cultura. A lui devo molto, il suo modo di swingare mi ha decisamente
influenzato. Gli sono riconoscente per questo. Mi capitava spesso di trovarlo ad
ascoltare Buddy Rich, Elvin Jones o Max Roach, tutti rigorosamente in vinile! E'
stato per me un grande ispiratore. Spesso mi dava dei dischi da ascoltare, mi
feceva delle cassette di batteristi Jazz. Sicuramente Antonio Golino mi ha
aiutato ad arrivare prima in quello che sarebbe poi stato il mio percorso.
L'insegnamento deve essere anche questo, consentirti di anticipare l'arrivo alla
meta prefissata. Per questo, ed altro ancora, non mi stancherò mai di
ringraziarlo.
F.G.: Tra le tue numerose collaborazioni avrei
piacere mi parlassi di quella con Massimo Urbani. Un tuo ricordo.
P.I.: Con Massimo ho avuto la mia prima
esperienza di un certo spessore, appena arrivato a Roma. Con lui avevo
"suonicchiato" dalle mie parti, a Napoli ed a Caserta. Grazie ad alcuni
organizzatori di concerti che, spesso chiamavano a suonare con Massimo, delle
ritmiche locali. E' successo che alcune volte mi hanno chiamato per
accompagnarlo. Per cui, non appena mi trasferii a Roma, la prima persona che ho
contattato è stata lui. Per me è stato un momento molto intenso. Vedevo in lui
un grande, non solo tecnicamente, ma per il suo mood jazzistico. Riusciva
a farti immaginare un mondo, anche suonando da solo. Questa è la caratteristica
che contraddistingue i grandi. Questa capacità è indice di talento, di spirito.
Con il tempo sono riuscito ad apprezzare sempre di più la fortuna di aver avuto
la possibilità di stare accanto ad una persona con queste capacità. Poi, quando
rilasciò un'intervista per "Musica Jazz", dichiarando: "in questo momento mi
piace molto suonare con un giovane batterista napoletano che si è da poco
trasferito a Roma". Per me è stato un tripudio. Soprattutto
considerando che non era una persona che diceva le cose così tanto per dirle.
Custodisco quell'intervista a casa mia in una teca!! E' stata un'esperienza
che rimarrà indelebile nella mia mente. Mi mette ancora i brividi addosso.
F.G.: Nell'economia di una formazione la batteria
rappresenta un elemento fondamentale, lo strumento che detta i tempi, anche se
forse meno evidente. Ti sei mai pentito di questa scelta? Avresti voluto suonare
qualcosa di più "front".
P.I.: No devo dirti non soffro di questa cosa, mi
piace molto anche accompagnare. Spesso, dal punto di vista dello spettatore, non
sempre è uno strumento che "sta dietro", anzi si nota. Comunque per me è
irrilevante tutto ciò. Non mi pento di aver scelto la batteria, è uno strumento
che mi piace.
Mi piace anche approfondirla, per colmare alcune lacune, di natura
armonico-melodiche, che uno strumento percussivo inevitabilmente ti porta. Per
questo mi sono messo a studiare pianoforte ed armonia. Ho studiato clarinetto
per cinque anni. Ribadisco, non sento mancanze, ne' come front man, ne' come
accompagnatore o solista. La musica è comunque bello farla, sia che tu suoni il
sax, la tromba o il contrabbasso. Quando senti che quello che hai fatto
funziona, i problemi non sussistono. Rifarei questa scelta.
F.G.: Con quale batterista, di ieri o di oggi,
vorresti confrontarti.
P.I.: Con i batteristi di oggi, praticamente ho
avuto modo di mettermi a confronto un pò con tutti. Di ieri, senza esitazione,
Elvin Jones. Non tanto sul piano musicale, quanto spirituale. Parlare di vita,
capire perché un musicista diventa tale. Le sue esperienze vissute. Quello che
sei. La sommatoria delle tue esperienze. Questo è quello che influisce nella
musica. Ad esempio mi piace molto vedere nei DVD - certamente ascoltare la
musica - soprattutto sentire i racconti del loro periodo, ti aiutano a capire
l'atmosfera vissuta da loro.
F.G.: A questo proposito, sei d'accordo con me
che un periodo costruttivo e denso di idee come quello che va dal 1945 al 1960,
sia irripetibile?
P.I.: Io ritengo ci sia un problema di fondo
legato alla commercializzazione. E' troppo connesso al profitto. Non che allora
non lo fosse, ma certamente ora è centuplicato. Non c'è la volontà di tirare
fuori, ad esempio, un Frank Sinatra vero. E' preferibile lanciare l'artista
ammiccante, carino e che soprattutto porta "i soldi a casa". Deve corrispondere
a quelle caratteristiche che servono per poter vendere i dischi. Non essendoci
dietro alle spalle uno spessore musicale, diventa difficile che possano lasciare
un segno, purtroppo!
F.G.: Come è nata l'idea della Band Corvini e
Iodice Jazz Ensamble.
P.I.: Facciamo un passo indietro. Ricordi la
cassetta che mi fece il mio Maestro Antonio Golino? Vi erano incise delle
registrazioni di Max Roach, Elvin Jones, Roy Hines, Buddy Rich, tutta una serie
di batteristi. Alla fine della cassetta c'era un pezzo per Big Band di Buddy
Rich. Questo brano mi ha segnato in maniera indelebile. Mi è entrato in testa
come un tarlo. Mi ha fatto appassionare alle grandi orchestre. A casa avrò
qualcosa come 400/500 dischi di Big Band. Appena mi si presentava l'opportunità,
cercavo di suonare nelle grandi formazioni. Quando sono arrivato a Roma,
girando, ho visto che di B.B. ve ne erano molte. Frequentando questo ambiente mi
è capitato di conoscere Mario Corvini – eravamo tutti e due molto giovani
avevamo circa 12 anni di meno – anche lui appassionato di Big Band. Gli ho
proposto l'idea di mettere insieme una grande orchestra. Abbiamo coinvolto in
questa idea altri musicisti. Abbiamo preso alcune vecchie partiture che avevo
acquistato in America, le abbiamo adattate ispirandoci prevalentemente un certo
tipo di musica, quella della Thad Jones & Mel Lewis Orchestra,
della quale siamo appassionati sia io che Mario. Riteniamo, Thad Jones, uno dei
più grandi arrangiatori per grandi orchestra. Siamo quindi partiti con questo
progetto, che va ormai avanti dal 1993, devo dire con soddisfazione. Per
festeggiare i nostri undici anni insieme abbiamo deciso di intitolare il nostro
ultimo disco appunto " Eleven".
F.G.: Correggimi se sbaglio, non hai mai inciso
nulla come leader? Se si perché questa scelta.
P.I.: No ad esclusione della B.B, come leader
anzi co-leader, non ho mai inciso nulla. Per un motivo assai semplice, ritengo
di non avere ancora nulla di buono da proporre. Non che non mi senta pronto per
quanto riguarda il mio strumento. Devo avere qualcosa da dire. Ho dei pezzi che
più o meno potrebbero piacermi, ma non mi convincono. E' anche per questo che
sto studiando arrangiamento e pianoforte. Il mio obiettivo, il mio sogno, è
quello che la gente ascoltandoti possa dire: "lo riconosco". Credo sia la meta
per tutti i musicisti. Quando ascolti Elvin riconosci il suo stile. Vuol dire
che aveva una idea. Questa è la cosa importante, avere una invenzione. Il tempo
poi stabilirà se è valida oppure no. Questo sarebbe il mio ideale.
F.G.:
Mi sembra anche che tu non abbia una
formazione stabile. Questo perché vuoi sentirti libero di suonare quello che più
ti soddisfa.
P.I.: Ho diversi progetti in cui suono, tra cui:
il quintetto, il quartetto con Cinzia Tedesco. E' difficile in Italia, portare
avanti un solo proponimento, devi assolutamente muoverti su diversi fronti. Devi
necessariamente lavorare come sideman a 360°.
F.G.: Quante ore al giorno dedichi al tuo
strumento?
P.I.: Quando ho tempo suono sempre volentieri. Se
ho un'intera giornata suono. Nei periodi in cui lavoro meno mi capita di
studiare anche otto/dieci ore al giorno. Appena ho un attimo la spendo
esercitandomi, in continuazione, è la mia passione. Scoprire altre cose,
crescere, capire, mi affascina.
F.G.: Quale ritieni la città più "calda",
jazzisticamente parlando.
P.I.: Roma, assolutamente. Ritengo sia la città
dove accadono le cose migliori. E' un punto cardine, da dove partono molte idee.
C'è molto, hai modo di migliorare confrontandoti. Secondo me Roma è uno dei
posti dove c'è più fermento musicale. Esistono molti locali rispetto a qualche
anno fa. C'è una attenzione in più verso il Jazz. Questo aiuta l'orecchio a
maturare.
F.G.: Mi parli del rapporto che hai con tuo
fratello Pino, soprattutto quando suonate
insieme. Dei due chi è il più "assennato".
P.I.: Se sei assennato non puoi fare il
musicista!! Il rapporto con Pino è ottimo. Esiste una stima reciproca, unita al
rispetto ed alla voglia di migliorarsi aiutandosi. Certo abbiamo anche noi i
nostri momenti d'incomprensione, dettati dalla differenza d'età (3 anni e tre
mesi), da visioni diverse. Sempre e comunque una eccellente collaborazione!
F.G.: Qual è la cosa che più ti emoziona nella
musica.
P.I.: Non saprei dirti, è una commistura di
sensazioni. Esistono molte variabili, la situazione, l'atmosfera, il luogo. Ci
sono cose che mi emozionano in un determinato contesto, in un'altra situazione
potrebbero non suscitare in me alcuna sensazione. E' difficile stabilirlo, non
credo esista una regola ben precisa, fortunatamente! L'emozione non è
codificabile.
F.G.: Vista la tua esperienza, ed il tuo
"orecchio musicale", mi indicheresti alcuni giovani musicisti da tenere
d'occhio.
P.I.: Direi senza dubbio Daniele Tittarelli, un
ottimo alto sassofonista. Mi piace molto Paolo Recchia, un altro altista che
secondo me merita. Poi direi Enrico Bracco un chitarrista, forse non più
giovanissimo, ma se ne parla poco e poco se ne conosce. Ritengo sia un peccato,
è un ottimo musicista, una persona da tenere presente. Ho sentito parlare molto
bene di Cafiso, ma non l'ho ancora sentito, mi riservo di colmare presto questa
lacuna. Del resto – non per presunzione – ma mi fido solo del mio orecchio. Mi è
capitato spesso di sentire qualcuno dire: "quello lì è bravo l'ha scelto
anche Wynton Marsalis", va bene! Ma a me piace anche ascoltare qualcuno che ha
qualcosa di nuovo da proporre. Ad esempio Daniele Tittarelli è uno di questi.
F.G.: Dai lanciamo un appello: con chi vorresti
suonare, qualcuno con cui non hai mai suonato (sarà dura!!).
P.I.: Ho suonato con tantissimi bravi musicisti sia italiani che
stranieri, il primo che mi viene in mente è John Scofield. Mi piace molto
la sua idea del ritmo, il suo modo di inserirsi nell'armonia. Può darsi che non sia adatto io per lui! E' uno con il quale mi piacerebbe
molto suonare...mi sarebbe piaciuto sostituire alla batteria Bill
Stewart nel disco che Scofield ha registrato con
Pat Metheny
e Steve Swallow. Ritengo molto stimolantequella idea melodico-ritmica.
F.G.: Grazie mille Pietro.
P.I.: Grazie a te, e scusa il ritardo!!!
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Data pubblicazione: 17/12/2004
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