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ENJ 9465 2

Cecil Taylor & Instabile Orchestra
The Owner Of The River Bank

1.-7. The Owner Of The River Bank (60:27) – Composed by Cecil Taylor
Traccia 1
Traccia 3
Traccia 6

Cecil Taylor piano & voice

Italian Instabile Orchestra:
Carlo Actis Dato
bass clarinet & voice
Luca Calabrese
trumpet & voice
Daniele Cavallanti
tenor sax & voice
Eugenio Colombo
flute, sopranino sax, voice
Paolo Damiani
cello & voice
Renato Geremia
violin & voice
Giovanni Maier
double bass & voice
Alberto Mandarini
trumpet & voice
Martin Mayes
horn & voice
Guido Mazzon trumpet & voice
Vincenzo Mazzone
drums, tympani, voice
Umberto Petrin piano & voice
Lauro Rossi
trombone & voice
Giancarlo Schiaffini
trombone & voice
Mario Schiano
saxes, voice
Tiziano Tononi drums
, percussion & voice
Sebi Tramontana
trombone & voice
Gianluigi Trovesi
alto sax & voice

E' bello vedere un grande della storia del jazz, di quella fetta di jazz, che anni addietro inneggiava alla libertà non solo musicale, "camminare a braccetto" con i musicisti della nostra più rappresentativa orchestra in campo internazionale e creare un progetto sonoro celebrativo i dieci anni di fondazione dell'Instabile Orchestra e altresì nostalgico, per le forti emozioni, le intense idee e le drammatiche tensioni, di quel periodo storico (gli anni '60/'70) in cui il fermento culturale contestatore, l'impegno sociale e politico, la non convenzione alimentavano quella musica denominata "free".

Gli schemi sono abbattuti del tutto a vantaggio di una estemporaneità di idee; il dialogo avviene non più su convenzionali strutture armoniche bensì su stimoli intuitivi procurati dal pulsare ritmico frenetico e "feroce", in cui a vibrare non sono solo gli strumenti, convenzionali mezzi di trasmissione, ma gli stessi corpi, le stesse anime…

I fraseggi sono infuocati e ascendono la scala delle assolute libertà.

Le partiture non riportano il più delle volte la notazione comune, bensì segni grafici, numeri, lettere corrispondenti a precise intenzioni dell'autore.

E' quello che avviene in questo disco, di gran valore per il recupero storico di questo tipo di musica, nel momento in cui la nostra società musicale versa in uno stato di commercializzazione che tocca i più bassi livelli. E a condurre i giochi è proprio uno degli artefici della nascita e sviluppo del free jazz americano.

Cecil Percival Taylor, classe 1929, è stato tra i maggiori innovatori del free, sviluppando nel tempo un rapporto informale e molto percussivo col pianoforte, grazie alla sua tecnica esplosiva.

Circondato dai musicisti dell'avanguardia americana quali S.Lacy, A.Sheepp, S.Murray, S.Rivers oltre che da italiani come E.Rava, lo vediamo oggi ancora impegnato fedelmente in quella che la sua vocazione, in quella che è la sua continua ricerca in questo tipo di jazz.

L'Instabile Orchestra dimostra la sua naturale propensione verso progetti di tal genere, sostenuta da musicisti quali G.L.Trovesi, E.Colombo, M.Schiano, G.Schiaffini e altri, che in qualche maniera hanno subito il fascino di quella musica spogliata di convenzioni.

Il disco prevede circa sessanta minuti di musica ininterrotta, quadri sonori intimistici e momenti di improvvisazione collettiva che, come un morbo, contamina tutti.

Interessante e minuzioso nei particolari il diario di bordo raccontato da M.Lorrai e tradotto da M.Mayes, pregno di dettagli circa l'organizzazione musicale dell'opera di C.Taylor.

Il plauso, oltre che ai musicisti, va anche a Pino Minafra, tra gli ideatori del Thalos Festival (Ruvo di Puglia-BA), capace di dare vita a progetti di alto spessore culturale, proprio come questo.
Dino Plasmati per Jazzitalia 2 maggio '04

..::Note di copertina::..

Passione, profondità di pensiero, pathos, mistero per un viaggio fatto nelle profondità dell'UOMO. In un piccolo paese del sud, Ruvo di Puglia - e non a Berlino, Londra, Parigi - si festeggiava con una ragguardevole sfida, un'avventura umana, musicale, intellettuale, cominciata 10 anni prima in un'altro piccolo paese del sud, Noci. Per me questa storia e' stata molto più di un concerto particolare; é stato un tentare di rinsaldare e fortificare lo spirito dell'orchestra incontrando uno dei più grandi musicisti viventi. L'unione tra il "GRANDE SPIRITO di CECIL TAYLOR e L'ANIMA PIU' LIBERA della ITALIAN INSTABILE ORCHESTRA ha prodotto, con un UNICO GRIDO di AMORE, GIOIA e LIBERTA", il punto espressivo più alto "mai" raggiunto dall'orchestra. Nella mia storia personale si é chiuso un cerchio e un viaggio iniziato più di 20 anni prima.
Pino Minafra



Cecil Taylor & the Instabile – putting it all together at Ruvo September 2000
Una partitura in termini convenzionali non c'è. A Ruvo, il primo dei sei giorni di prove che precedono la sera del concerto Taylor si presenta all'Instabile con un foglio di carta da macchina utilizzato per il verso più lungo: riempito fittamente, senza lasciare margini, di simboli, parole, forme grafiche, tutto tracciato a matita. Uno schema generale della composizione ? Una sorta di sua rappresentazione sintetica, suggestiva ? Forse. Una cronaca, per quanto parziale, di una prima giornata di prove, può dare un'idea del modo di Taylor di lavorare con un'orchestra, modo che certo non segue criteri convenzionali, e che può lasciare spaesati anche musicisti molto navigati. Vicino al pianoforte un tavolo è coperto di grandi fogli bianchi. Taylor comincia a illustrare il senso musicale della prima striscia in alto, otto battute da intendersi probabilmente come "situazioni" più che come "battute" nel significato ordinario. Contrabbasso, violino e violoncello vengono mandati in una sala più piccola e affidati a Tobias Netta, l'assistente che Taylor ha scelto per l'occasione e fatto arrivare da Berlino. Alla sezione degli archi Taylor riserva da subito una particolare attenzione: non appena ci sarà una pausa nelle prove, ne approfitterà regolarmente per correre dagli archi a verificare come procede il lavoro e metterlo a punto. Taylor inizia a distribuire alle altre sezioni delle note da suonare. Per il momento le percussioni non sono coinvolte e tacciono. Dà indicazioni sull'espressione e va avanti battuta per battuta. Martin Mayes, che nel '98 a Berlino ha fatto parte della Cecil Taylor European Orchestra promossa dalla Fmp, fa da interprete, in tutti i sensi: traduce, ma cerca anche di interpretare a beneficio dell'orchestra le indicazioni spesso piuttosto ermetiche del pianista. Dopo qualche ora di prove, tenta un bilancio di quello che gli è parso di capire: essenzialmente, Taylor "lancia delle piccole frasi, sta al gruppo poi decidere come legarle"; e per lui "l'importante è il suono". Ad un certo punto i fiati provano a mettere insieme le prime diciannove battute. Taylor fa sapere che si può decidere autonomamente come suonare gli accordi, verticalmente, dal basso o dall'alto. Dalle file dell'orchestra c'è chi propone di non suonare le frasi di fila ma di lasciarle molto "open". Cominciano anche ad aggiungersi le percussioni, senza che Taylor abbia dato un'indicazione in questo senso. Taylor inizia ad inserirsi con dei glissandi. Quando gli pare che la cosa lo richieda, con molta cortesia va dai singoli a spiegare, parlando a bassa voce, l'approccio che ha in mente. Qualcuno suggerisce che Taylor potrebbe suonare assieme all'orchestra, perché così quello che vuole sarebbe senz'altro più chiaro. Ma Mayes spiega che anche a Berlino nell'88 il procedimento adottato da Taylor era di fare in modo che prima l'orchestra si sforzasse di capire da sola; e che, non suonando, Taylor così può ascoltare e valutare meglio. Taylor interrompe un'ulteriore esecuzione del materiale chiedendo di creare qualcosa di più caratterizzato dal cambiamento, e alle percussioni di non assicurare un tappeto continuo, di intervenire in maniera più spezzata. Quando la prima giornata di prove volge al termine, si comincia ad intuire che quello che poteva apparire uno schema di tutto l'insieme, forse invece è solo un passaggio dell'insieme: forse. Incurante dell'incertezza che spesso regna, e che per l'osservatore si può tradurre in qualcosa di lievemente surreale e umoristico, Taylor detta una melodia: forse costituisce un'altra sezione, ma in ogni caso in un primo momento non si capisce bene dove debba andare a collocarsi. La melodia poi va ad inserirsi e ad integrare la sequenza precedente. Poi un'altra melodia. Finita la prima giornata di prove, in separata sede Taylor, serafico, spiega che desidera uno sviluppo più lento della musica, perché nell'orchestra ci sono delle belle voci. Sono musicisti che "can play", commenta, utilizzando una asciutta espressione che gli è abituale quando deve esprimersi su musicisti di cui ha considerazione. A maggior ragione perché i componenti dell'Instabile "can play", e perché hanno tutti una storia legata in maniera più o meno specifica alla vicenda della free music (oltre a Meyes, anche Guido Mazzon era fra l'altro già stato coinvolto in un lavoro orchestrale di Taylor, la compagine euro-americana proposta nell'86 sempre dalla Fmp e sempre a Berlino), non c'è da stupirsi che Taylor applichi un metodo che utilizza anche – per esempio in workshop o in situazioni di carattere semi-didattico – quando ha a che fare con strumentisti di preparazione, esperienza e soggettività di gran lunga inferiori: un metodo che chiama fortemente in causa la responsabilità dei partecipanti e che puòmettere a disagio. Così non c'è da stupirsi neppure del fatto che anche fra i musicisti dell'Instabile, malgrado il loro background musicale e culturale d'avanguardia, serpeggi qualche perplessità – succede regolarmente nel corso delle elaborazioni orchestrali di Taylor, dove il disorientamento è di prammatica: perplessità che emergono la mattina della seconda giornata di prove, quando ci si può rendere conto che fino a quel momento l'orchestra ha "suonato" pochissimo, e Taylor esordisce distribuendo un'altra parte, da aggiungere – come ? – a quelle del giorno prima.
Effettivamente il modo di procedere di Taylor può apparire ad un primo sguardo farraginoso, irrazionale: perché invece non avere fin dall'inizio delle linee di note da eseguire, l'indicazione di un ritmo, provare ad interpretarle e lasciare decidere a Taylor che cosa gli va e cosa no, in una progressiva definizione di quello che gli interessa raggiungere ? L'andamento delle prove è a volte estenuante. E' una sfida difficile: come non reagire pensando che si sta perdendo del gran tempo ? Ma man mano che le prove procedono, è sempre più evidente che quello che a Taylor interessa raggiungere è proprio un risultato non predefinito, che cresce via via sulla base del feed back dei musicisti agli spunti offerti da lui, in una sorta di composizione estemporanea, a tappe. E poi, cosa significa "tempo" ? Forse questo uso del tempo, così poco produttivistico, ha proprio lo scopo di introdurre i musicisti in un'altra concezione del tempo, con riflessi non indifferenti sul modo di affrontare la musica. Da quarant'anni abbondanti Taylor ha abbandonato l'uso della notazione tradizionale. Alla ricerca di una interpretazione più naturale, di una maggiore appropriazione del materiale da parte dei musicisti, che porti a quella unity che gli sta tanto a cuore: e in questo, all'altezza del free jazz, si può vedere l'onda lunga dei vecchi head arrangements. Ma anche il frutto di una scelta di animazione di tipo non autoritario della musica. Che però, nella declinazione di Taylor, non va a scapito di una leadership, di una responsabilità che il pianista assume in pieno: col risultato di una originale soluzione che si colloca fra la funzione tradizionale di direzione e esperienze di interrelazione improvvisativa paritetica, che prescindono da un ruolo di comando. Per usare un ossimoro, quella di Taylor si prospetta come una specie di direzione anarchica, usando quest'ultimo termine nel suo significato più alto e nobile, e non certo come sinonimo di "caotico". In alcuni momenti delle prove è palese che Taylor preferirebbe un approccio ad alcuni aspetti della musica diverso da quello che effettivamente matura, ma evita di dare indicazioni rigide, perché il suo metodo è profondamente rispettoso dei musicisti, e nella sua concezione sono loro – il singolo, la sezione, o l'intera formazione – a dover decidere: in una prospettiva dunque di composizione condivisa, partecipata. Ma avendo l'opportunità di seguire continuativamente alcuni giorni di elaborazione da parte di Taylor di un lavoro orchestrale come questo, è difficile sfuggire alla sensazione che in questo metodo, al di là delle motivazioni musicali, si trovi anche una dimensione di tipo iniziatico. Un elemento, che, consapevole o meno, rinvia alla cultura africana e alle culture della diaspora nera in America alle quali Taylor è tanto legato e all'interno del riferimento alle quali si possono spiegare tanti aspetti della sua arte: per esempio appunto l'idea del tempo che ne emerge, o un certo afflato "religioso" del fare musica assieme. Un percorso di tipo iniziatico forse particolarmente congeniale all'Instabile proprio perché l'orchestra è tanto "iniziata" alla pratica della musica e abituata a trattarne i più vari accenti: nei giorni di Ruvo fresca reduce fra l'altro da un trionfale successo al festival del jazz di Chicago, l'Instabile avrebbe potuto eseguire al galoppo, in una impeccabile chiave "free", qualsiasi partitura le fosse stata sottoposta. Il processo sviluppato da Taylor, evitando con le sue apparenti stravaganze che emergesse una qualsiasi "deformazione professionale", un qualsiasi automatismo, l'ha costretta a fare qualcosa di più: a guardarsi dentro, a ripensare dai fondamenti il senso di un fare musica non convenzionale a cui l'esperienza di questa orchestra è ispirato, in un certo senso a ri-nascere e nel lievitare dal vivo gli elementi della partitura, a lasciar scaturire, come l'ascoltatore potrà avvertire, una musica la cui libertà e la cui carica non sono solo un fatto esteriore. L'incontro di Taylor con una compagine già esistente e non formata per l'occasione, un fatto più unico che raro come minimo in Europa, all'interno delle peraltro non numerosissime esperienze orchestrali del pianista, si è rinnovato un anno e mezzo dopo, nel marzo 2002, a Parigi per Banlieues Bleues (e nel momento in cui scriviamo è previsto un ulteriore incontro fra Taylor e l'Instabile nel settembre 2003 al festival sardo di Sant'Anna Arresi). L'impegno con cui Taylor ha preparato con l'Instabile la performance a Banlieues Bleues, a partire da spunti del tutto nuovi rispetto a Ruvo e con un risultato finale di forma molto differente, oltre a testimoniare del suo interesse per l'orchestra, ha mostrato anche – una volta stabilita a Ruvo una confidenza con i musicisti – la sua consapevolezza della ricca risorsa rappresentata da questa formazione e il suo desiderio di valorizzare voci, colori, individualità che mette a disposizione: e all'interno di un lavoro di allestimento della composizione più particolareggiato che a Ruvo (segno che Taylor non usa il suo metodo astrattamente ma cerca di farlo calzare a concreti insiemi di musicisti) sono affiorati anche suggerimenti di carattere squisitamente melodico, di grande lirismo, in cui era difficile non vedere un riconoscimento – estremamente significativo da parte di un musicista così rigoristicamente dedito ad una propria estetica – a quel proverbiale carattere dell'Instabile che si usa chiamare "italiano".
Marcello Lorrai







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Data pubblicazione: 16/05/2004

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