Thelonious Monk
Criss-Cross, Solo Monk,
It's Monk's Time, Underground
08/19/2003 - LEGACY -
#063537
Criss-Cross
1 Hackensack
2 Tea For Two
3 Criss Cross
4 Eronel
5 Rhythm-A-Ning
6 Don't Blame Me (Retake 1)
7 Think Of One
8 Crepuscule With Nellie
9 Pannonica (Take 2)
10 Coming On The Hudson (Take 3)
11 Tea For Two (Take 9)
12 Eronel (Take 3)
Thelonious Monk -
Piano
Charlie Rouse -
Sax (Tenor)
Frankie Dunlop - Drums
John Ore - Bass
08/19/2003 - LEGACY - #063533
Solo Monk
1 Dinah (Take 2)
2 I Surrender, Dear
3 Sweet And Lovely (Take 2)
4 North Of The Sunset
5 Ruby, My Dear (Take 3)
6 I'm Confessin' (That I Love You)
7 I Hadn't Anyone Till You
8 Everything Happens To Me (Take 3)
9 Monk's Point
10 I Should Care
11 Ask Me Now (Take 2)
12 These Foolish Things (Remind Me Of You)
13 Introspection
14 Darn That Dream
15 Dinah (Take 1)
16 Sweet And Lovely (Take 1)
17 Ruby, My Dear (Take 1)
18 I'm Confessin' (That I Love You) (Take 1)
19 I Hadn't Anyone Till You (Take 2)
20 Everything Happens To Me (Re-Take 1)
21 Ask Me Now (Take 1)
Thelonious Monk
piano
08/19/2003 - LEGACY
- #063532
It's Monk's Time
1 Lulu's Back In Town
2 Memories Of You
3 Stuffy Turkey
4 Brake's Sake
5 Nice Work If You Can Get It (Take 3)
6 Shuffle Boil (Retake)
7 Epistrophy (Take 1)
8 Nice Work If You Can Get It (Take 2)
9 Shuffle Boil (Take 5)
Thelonious Monk -
Piano
Charlie Rouse -
Sax (Tenor)
Ben Riley -
drums
Butch Warren - bass
08/19/2003 - LEGACY - #063535
14, 21, dic 1967 - 14 feb e 14 dic 1968
Underground
1 Thelonious (Take 1)
2 Ugly Beauty (Take 5)
3 Raise Four
4 Boo Boo's Birthday (Take 11)
5 Easy Street
6 Green Chimneys
7 In Walked Bud
8 Ugly Beauty (Take 4)
9 Boo Boo's Birthday (Take 2)
10 Thelonious (Take 3)
Thelonious Monk
piano
Larry Gales bass
Charlie Rouse tenor
saxophone
Ben Riley drums |
Thelonious Monk è una di quelle figure enigmatiche di certo non rare nel mondo del jazz, in cui l'assoluta imprecisione dei dati biografici sembra in qualche modo accompagnare la rarefatta e obliqua atmosfera creata dalle sua tecnica irregolare e dal suo singolare mondo poetico.
Ci sono voluti degli anni per sapere esattamente dove e quando fosse nato e anche la sua scomparsa è rimasta avvolta per diverso tempo in una sorta di inquietante silenzio.
Se può essere facile giudicare il talento e il contributo di un artista nello scorrere del tempo, che sempre ristabilisce le giuste proporzioni, fino alla metà degli anni
'50
fu solo una ristrettissima cerchia di appassionati e musicisti che ne riuscì a valutare in pieno la statura. Il riconoscimento vero avvenne soltanto con l'esplosione del
free-jazz, i cui paladini non esitarono a riconoscere nella sua musica i geni originari della rivoluzione di cui furono portatori "sani".
Unico genio ma diversi passaggi per le sue registrazioni: in queste quattro ristampe ci sono diversi motivi di interesse a rischiarare un periodo che invece è stato spesso ricordato in maniera contrastata. In quegli anni la sua fama raggiunse vertici mai toccati in precedenza:
«E' assodato - ricorda
Arrigo Polillo - che l'intenso periodo di creatività durante il quale Monk sfornò tutte le sue migliori composizioni si concluse proprio quando il pubblico si accorse del suo talento. Da quel momento ciò che per lui era stato un divertente gioco divenne mestiere e l' "esecuzione" prese il posto dell' "invenzione"». Siamo nel 1961 e insieme al nuovo contratto discografico, la primavera di quell'anno porta il suo quartetto che comprendeva
Charlie Rouse, Frankie Dunlop e John Ore, per la prima volta in Italia (per l'esattezza a Milano, Bologna e Roma), riscuotendo un consenso unanime anche se non c'era nulla di nuovo rispetto alla già vertiginosa portata innovativa degli esordi.
Per il battesimo su Columbia il repertorio scelto è costituito quasi integralmente da composizioni originali già registrate in precedenza: la maggior parte finirà su "Monk's Dream", la sessione finale costituirà invece la base di "Criss Cross", il suo secondo lavoro.
Quello che cambia rispetto al passato, è lo swing leggero che pervade tutta la session (verificare il rapido e veloce ritmo che pervade "Crepuscule With Nellie" e "Tea For Two"), in luogo dell'abituale dissonanza delle versioni precedenti. Per molti queste registrazioni saranno le migliori in assoluto del periodo: come consolidata tradizione il programma dell'epoca viene riportato per intero con l'aggiunta di tre bonus che in realtà sono "solo" delle alternate takes, di cui una ("Coming On The Hudson"), risulta totalmente inedita.
Nel pomeriggio di due anni dopo e poco prima di una straordinaria esibizione con il suo quartetto presso l'It Club
di Los Angeles, Monk entra in studio per quella che rappresenterà la quarta prova solista della sua carriera (le prime tre furono per la
Riverside, le ultime due per la Black Lion più avanti n.d.r.). Con un brillante repertorio costituito soprattutto da standards inframezzati a sue composizioni tra cui la rara "North Of The Sunset", in cui la sua mano sinistra fa davvero cose egregie, Monk si trova in uno stato di grazia assoluto. Nell'edizione in oggetto i brani da 12 passano addirittura a 21 con la medesima coerenza ed ispirazione: se è vero che anche qui non c'è una grande variazione di tonalità, la bellezza di "I Should Care" o delle due versioni della sua "Ruby My Dear" finiscono con il temere pochi altri confronti con quanto di simile ascoltato in precedenza. Fra quelli citati probabilmente è questo l'album in solo da ricercare con assoluta priorità.
Nel frattempo anche la prestigiosa rivista "Time" si accorge di lui e gli dedica la copertina: a dire il vero però il servizio si concentra molto di più sulle presunte stranezze del suo carattere piuttosto che sul suo genio innovatore, una buona notizia è la restituzione grazie anche alle buone conoscenze della Baronessa
Nica Rothschild (la famosa "Pannonica"), dell'indispensabile "cabaret card" che appunto gli permise di tornare a lavorare nei club. Qualche tempo prima (siamo agli inizi del 1964) Monk aveva cambiato sezione ritmica, aggiungendo al solido contrabbassista
Butch Warren il fenomenale batterista Ben Riley il cui impatto si rivelerà subito decisivo nel seguente "It's Monk Time", registrato in sei settimane e qui allargato fino a 9 brani di cui uno mai sentito prima ("Shuffle Boil"). Di particolare interesse è anche la versione integrale di "Epistrophy" finalmente non compressa dalla durata del microsolco.
Dicevamo di Riley, batterista non solo in grado di ascoltare, ma anche di anticipare le mutevoli direzioni di un fuoriclasse immarcabile come questo suo leader che anche qui non perde l'occasione per ribadire l'ammirazione per lo stile pianistico di Duke Ellington, sia pure nella maggiore astrattezza che i suoi interventi possedevano quando non si trovava a suonare da solo. "Memories Of You" è semplicemente magistrale: prima una lunga galoppata in solitario sui tasti bianchi e neri seguendo un personale codice di regolamentazione ritmica, poi ecco che il tema che si apre su un tempo leggermente più veloce, in cui anche gli altri tre lo seguono in un approfondita esplorazione del tema che si giova anche dei pregevoli assoli di
Rouse, fin dagli inizi eccellente partner, oltre alle acute scomposizioni dello stesso
Riley.
Con "Underground" invece si chiude il cerchio: siamo nel 1967 e queste saranno le ultime registrazioni per organico ristretto con il suo quartetto regolare, alternate anche a una seduta in trio in cui si aggiungerà Jon Hendricks in un nostalgico omaggio a
Bud Powell, che in realtà andrà a toccare anche altri eroi del bop quali
Dizzy Gillespie, Oscar Pettiford e Don Byas. Prima di parlare della musica è opportuno anche segnalare che la bizzarra copertina che ritrae Monk nel suo loft newyorkese all'epoca risultò di così tale impatto da distrarre persino i suoi discografici (una sorpresa relativa a dire il vero), rispetto al contenuto del disco. Eppure la sostanza c'è. Sono 4 le nuove composizioni tra cui almeno una ("Ugly Beauty"), è da ritenersi come uno dei suoi capolavori assoluti in forma di ballata, sullo stesso solco di altre gemme come "Round Midnight" o "Ruby My Dear". Anche un pezzo come "Green Chimneys" è immediatamente riconducibile al suo estro, anche se su binari totalmente differenti.
Monk
è stato un pensatore di incredibile profondità, ma il suo stile a "rilascio ritardato" di tanto in tanto cedeva il posto a dei groove di irresistibile malìa, circostanza ancora più strabiliante se consideriamo che non fu di certo un virtuoso dello strumento. C'è anche il blues di "Raise Four" che strizza l'occhio al "Now's the Time" di Charlie Parker nella sua figura ostinata su sei note. Poi la già menzionata estemporanea presenza di
Hendricks, invitato in studio semplicemente per cantare qualcosa e che invece consegna alla leggenda le liriche di "In Walked Bud". Ma è tutto l'album che gira a dovere, sarà purtroppo l'ultimo in cui la predominanza dei brani è appannaggio di materiale originale. Dei dischi presi in oggetto questo è anche quello di maggiore interesse nella sua ricostruzione filologica: i brani sono 10 e i minuti 71, delle tre versioni alternate due sono totalmente inedite in più l'ordine originale dei soli, che era stato misteriosamente travolto nella versione in vinile (così come nella prima tiratura in cd), viene ora riproposto nella sua veste integrale con il tradizionale ottimo lavoro di remastering da parte dei tecnici Sony. Peccato solo che nel libretto non ci siano delle altre foto prese dalla seduta che portò poi alla realizzazione della copertina, ma per questa volta possiamo ritenerci più che soddisfatti, anzi praticamente beati.
Vittorio Pio |
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Data pubblicazione: 09/11/2003
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