Release Date : 03/02/2004
Sony Legacy 2004
Selection # 512894
Dave Brubeck
piano
Paul Desmond
alto sax
Eugene Wright double
bass
Joe Morello drums
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Dave Brubeck
For All Time
Disc
1
1 Blue Rondo à la Turk
2 Strange Meadow Lark
3 Take Five
4 Three To Get Ready
5 Kathy's Waltz
6 Everybody's Jumpin'
7 Pick Up Sticks
Disc 2
1 It's A Raggy Waltz
2 Bluette
3 Charles Matthew Hallelujah
4 Far More Blue
5 Far More Drums
6 Maori Blues
7 Unsquare Dance
8 Bru's Boogie Woogie
9 Blue Shadows In The Street
10 Slow And Easy (a.k.a. Lawless Mike)
11 It's A Raggy Waltz
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Disc 3
1 Countdown
2 Eleven Four
3 Why Phillis Waltz
4 Someday My Prince Will Come
5 Castilian Blues
6 Castilian Drums
7 Fast Life
8 Waltz Limp
9 Three's A Crowd
10 Danse Duet
11 Back To Earth
12 Fatha
Disc 4
1 Iberia
2 Unisphere
3 Shim Wha
4 World's Fair
5 Cable Car
6 Theme From Elementals
7 Elementals |
Disc 5
1 Lost Waltz
2 Softly, William, Softly
3 Time In
4 Forty Days
5 Travellin' Blues
6 He Done Her Wrong
7 Lonesome
8 Cassandra
9 Rude Old Man
10 Who Said That?
11 Watusi Drums
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Superata la soglia degli ottant'anni, Dave Brubeck è ancora oggi uno dei più significativi compositori e interpreti nelle vicende del jazz contemporaneo, nonostante qualcuno lo abbia identificato (e deriso) solo come il pianista della buona borghesia bianca. Quando, il 18 novembre del 1954,
Time gli dedicò la copertina, la circostanza fu indicativa di un vastissimo grado di popolarità, che veramente pochi musicisti di questo genere erano riusciti ad ottenere. Fu una svolta epocale: per quell'America oltranzista (e specificamente razzista), il quartetto guidato da Brubeck aveva superato gli angusti confini in cui quel tipo di musica era solitamente relegato. Nel breve volgere di un quinquennio il suo pubblico si accrebbe enormemente: non era più lo zoccolo duro che si raccoglieva nel circuito notturno della "Bay Area" a San Francisco, ma un enorme numero di spettatori, di pertinenza non esclusivamente jazzistica che si ritrovavano con passione ai suoi concerti, seguendolo da una costa all'altra degli Stati Uniti. L'autore del servizio lo elogiava come "Un jazzman intellettuale, con un beat complesso e sperimentale", definizioni forse un po' troppo ardite ma che resero la sua aura ancora più lucente.
I suoi meriti invece furono molto più ampi: di evidente ispirazione classica e dotato di buon gusto, prediligeva i modelli europei, Bach e Haydn in primis, fino a Darius Milhaud, che gli impartì lezioni di composizione al Mill's college, permettendogli di familiarizzare in poco tempo con la fuga, il contrappunto e l'orchestrazione. Brubeck fu il precursore di un tipo di jazz anomalo, non troppo ricco di swing, ma tracimante di una sontuosa ed accattivante spigliatezza ritmica, che si insinuò profondamente nei campus delle più prestigiose università americane, felicemente prescelti come gli spazi ideali dei suoi affollatissimi concerti.
Influenzato da Schönberg come da Ellington, fin dall'inizio del suo percorso jazzistico manifestò la tendenza a suonare facendo semplicemente leva sugli accordi, alla stregua di Jimmy Jones, che per anni era stato l'accompagnatore preferito da Sarah Vaughan. All'improvvisazione, cardine principale della musica jazz, cercò di applicare la cosiddetta politonalità, suscitando pareri discordanti
scoprendo, dopo una serie di approfondimenti critici, che spesso i suoi interventi solistici venivano concepiti preventivamente, secondo una ben precisa struttura che lasciava assai poco spazio all'occasionalità. Fu il suo alter-ego, l'altosassofonista
Paul Desmond, a chiarire al meglio questo aspetto della personalità di Brubeck, in un intervista che fissava i particolari del loro primo incontro, avvenuto nel
1943: "Iniziammo a provare, ma dopo un quarto d'ora ero a pezzi: avevamo prescelto un blues in si bemolle, ma al primo chorus lui prese un sol maggiore. Dato che io non conoscevo nulla della politonalità, pensai in realtà che lui fosse solo un pazzo da legare, impressione assolutamente confermata dal suo aspetto: aveva i capelli arruffati e picchiava sui tasti del pianoforte come un sioux inferocito. Mi ci volle molta pazienza e un lungo ascolto prima che iniziassi a comprendere che cosa intendesse fare."
Chiaramente dopo la cover su "Time" (che diede lo spunto anche per un disco omonimo che nel box in oggetto non è compreso, anche se resta altamente godibile), il quartetto di Brubeck visse una fase di enorme fortuna, ma al contempo nacque una sorta di movimento trasversale, in cui confluirono un numero sempre più crescente di appassionati, musicisti (soprattutto quelli neri, assai risentiti nei confronti del successo commerciale di un gruppo bianco) e studiosi che presero le distanze dall'estetica di Brubeck in maniera sempre più netta, contestandogli soprattutto il suo utilizzo degli elementi classici. Questo cofanetto (senza libretto generale, diciamo che sono delle singole ristampe riunite in unica confezione), va a raccogliere il corpus discografico relazionato alla fortunata serie "Time", con ben tre titoli (" Countdown:
Time In Outer Space", "Time Changes" e "Time In"), dei cinque che lo compongono, disponibili in precedenza su cd solo in Giappone. Gli altri due sono ben noti agli appassionati non solo di Brubeck, per l'enorme risonanza che ancora adesso suscitano.
Nel 1954 Brubeck, firmò un nuovo contratto con la Columbia, e con l'arrivo del poderoso batterista
Joe Morello accanto all'ineccepibile cavata del contrabbassista Eugene Wright, andò a completare un gruppo capace di frantumare tutti i record di vendita allora conosciuti riguardo al jazz realizzando due anni dopo,
"Time out" un disco la cui musica fu ispirata dagli effetti cromatici della pittura di Joan Mirò, l'artista catalano del quale compare in copertina un dipinto. Le derivazioni europee abbinate però a una costruzione formale eminentemente jazzistica (In "Kathy's waltz", il valzer viene scomposto in 3/4 sulla base delle sincopi tipiche del ragtime), sono percepibili in quasi tutti i brani, ma il piatto è
in ogni caso molto ricco per il deliquio degli amanti della musica classica che ammiccano indulgenti alla furba regia di Brubeck, che più di una volta si mette dietro le quinte lasciando generosi spot per i partners. Dall'iniziale "Blue rondo a la turk", zeppo di riferimenti mozartiani e composto in uno stravagante tempo in 9/8, che poi con Desmond ritorna in un più tradizionale 4/4, fino a "Pick up sticks" che è invece in 6/4, tutto fila liscio alla perfezione, con una serie di raffinati ricami, che ben si inseriscono nel generale clima energico e trascinante.
Il puntiglioso drumming di Morello e i clusters di Brubeck vengono utilizzati per aumentare la tensione emotiva e preparare al meglio l'intervento di
Desmond. Ma la fortuna planetaria si deve a "Take five", una composizione dello stesso sassofonista in 5/4, con una ostinata figura tematica riservata al piano di Brubeck ripetuta "ad libitum", anche durante il vorticoso solo di Morello. Il gruppo raggiunse così una perfezione formale simile a quella del "Modern Jazz Quartet", e con una nuova copertina, questa volta dedicata a Desmond da "Playboy", il jazz continuò a guadagnare appassionati in tutto il mondo, in maniera del tutto imprevista, grazie alla fresca comunicativa che ancora oggi rimane in questi brani.
Nessuna novità rispetto alla singola ristampa già da qualche tempo in circolazione, così come nel complementare "Time Further Out" (1961), che annovera almeno un altro grande hit come "Unsquare Dance" e una falsa b-side del rango di "It's A Raggy Waltz" di cui viene offerta anche una vibrante rilettura dal vivo ripresa alla Carnegie Hall, già edita in varie forme. "Countdown: Time In Outer Space" (1961) presenta invece più di un motivo di interesse, a partire dalla fantastica galoppata di Paul Desmond in "Eleven Four" pezzo dalle sfuggenti figure ritmiche fino alla anticonvenzionale rilettura di "Someday My Prince Will Come", doppiata dall'anima latina di "Castillean Blues", un blues abbastanza conosciuto affrontato invece in un tempo a 5/4. L'album riappare con una bonus track abbastanza ordinaria e nuove note di copertina firmate dal leggendario produttore
Teo Macero.
"Time Changes" (1963) documenta l'esperienza del quartetto in una prima parte assolutamente consona alle coordinate abituali, e poi alle prese con un orchestra vera e propria nella ambiziosa "The Elementals", che rappresenta uno dei primi riusciti tentativi di combinare le infinite possibilità di un organico allargato con la sensibilità di un quartetto, capace di indirizzarne la forza verso una coinvolgente espressione jazzistica. Quello che colpisce è proprio il gusto della sperimentazione adottato da Brubeck per nulla adagiato sugli allori nonostante l'incredibile successo che gli era piovuto addosso: in poche parole si tratta di un fondamentale "altro angolo" per riuscire ad inquadrare quel suo periodo d'oro.
Lungamente atteso è anche "Time In", realizzato nel 1965 giusto in occasione del quindicesimo anniversario della formazione; ne conclude l'epopea, dando un'altra lampante dimostrazione di come allora si potesse swingare in tempi diversi dal canonico 4/4. I temi sono tutti originali con una verve appena al di sotto delle pagine migliori.
A sottolinearlo, i tre brani aggiuntivi rispetto al programma originario e rimessi a nuovo con un suono a dir poco spettacolare e un bel saggio sempre firmato da Macero, che sigilla così quella collaborazione destinata a chiudersi poco dopo. Nel 1967 infatti il gruppo si sciolse e
Desmond si avviò alla carriera solista tornando solo sporadicamente a collaborare con
Brubeck, il quale l'anno dopo formò un nuovo quartetto con Gerry Mulligan. Tutti coloro che apprezzeranno la musica racchiusa in questo box, proposto in piena giustizia dalla Sony in medio-prezzo, farebbero bene a cercare il cofanetto che raccoglie le altrettanto seminali registrazioni di
Paul Desmond per la Rca dal 1961 al 1965: ulteriori gemme che meritano di essere
(ri)scoperte anche da chi, proprio per quanto ascoltato in questi solchi, decise- per sua fortuna- di accostarsi al jazz.
Vittorio Pio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 19/07/2004
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