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del fim
Questa valle è triste e grigia:
su essa pesa una nebbia fredda;
l'orizzonte è rugoso
come fronte di vecchio;
gazzella, uccello imprestatemi il volo…
(Paul Verlaine, Poesie)
Bird il grande sax che spicca il volo.
Bird una maschera tragica, un corpo pesante, goffo, una camminata da pollo.
Insanabile contrasto tra anima e corpo, tra una fisicità distrutta da una vita sregolata
e una mente pura nutrita dai sensi, letto su cui regna candidamente il colpo di
genio. Il corpo come linguaggio riempie lo spazio e lo schermo.
Da subito comprendiamo che il film ha una scrittura di stampo hollywoodiano,
ma questa volta le cose sono diverse, ci siamo completamente allontanati dai metodi
della biografia raccontata dalla tradizione americana dove il romanticume, la smielataggine
e la mancata obbiettività imperavano sovrani.
Rispetto alla tradizione del cinema biografia,
Bird è un autentico capolavoro, dove il ritmo,
continuamente mutato nei frequenti cambiamenti spazio-temporali sembra seguire quel
ritmo interno che ha scosso la vita del vero Charlie Parker e che ha scosso
inevitabilmente la storia del jazz.
«There are no second acts in American lives.»
«Non ci sono secondi atti nella vita deli americani.»
Francis Scott Fitzgerald
E' la frase che appare sullo schermo nero in apertura. Non un suono, non
una nota all'inizio del film sul più grande sassofonista di tutti i tempi, ma semplicemente
un'epigrafe. Poi, i titoli di testa cominciano ad alternarsi alle inquadrature della
prima scena: una casa di campagna, rumori agresti di sottofondo, galline che razzolano
nel cortile poi il semplice suono di in flauto. Nella stessa sequenza appare di
spalle, dal lato sinistro dello schermo, un asino sormontato da un bambino, un piccolo
suonatore di flauto, accompagnato da un altro bambino un po' più grande che gli
cammina a fianco. E' una campagna povera e i due piccoli sono dei neri. Ancora titoli
di testa che scorrono sullo sfondo nero e, piano piano, il suono del piccolo strumento
va a fondersi con quello di un sassofono che introduce, con il cambio scena, le
nuove inquadrature: un ragazzo di circa quindici anni, nero e corpulento soffia
poeticamente nel suo sax camminando sul ballatoio di una povera casa di legno, seguito
dalla m.d.p. (macchina da presa) che si muove insieme a lui, offrendoci una panoramica
che gira intorno alla casa. Ancora nero per gli ultimi titoli di testa e poi
Bird finalmente dal vivo, in concerto in un momento del suo massimo splendore.
Ed ecco in poche battute mute, il racconto di tre momenti della vita di Charlie
Parker. Eastwood ci offre il protagonista per tre volte e in tre momenti
diversi, solo con l'immagine e il suono. Non una parola ancora, ma solo immagini
che ritraggono un essere umano che soffia in uno strumento, lo abbraccia e crea
musica. Non una parola, ma solo suoni che escono fluidamente dalle immagini. Poi
un'inquadratura ci rivela il volto dell'attore che impersona Dizzy Gillespie,
il musicista che insieme a Charlie Parker e al pianista Thelonious Monk,
ha inventato il bebop [1]. E'
un volto comunicativo, quello che ci appare sullo schermo, esattamente come quello
del grande trombettista.[2] L'uomo che ha
appena smesso di suonare per lasciare spazio al "solo" dell'amico, guardandolo sorride
soddisfatto. Bird è veloce come un Dio, possiede forza e slancio vitale,
degno degli dei del pantheon. Sta facendo qualcosa che va oltre, non più solo musica,
ma sta superando i confini ed entrando nei territori dell'arte. Sta facendo bebop.
Sono loro che hanno inventato questo, sono loro che hanno creato il bebop. C'è un
pubblico misto in sala, inizialmente vengono inquadrati dei neri, ma subito dopo
la m.d.p. ci accompagna per il locale mostrandoci anche un pubblico di bianchi.
I tempi del Cotton Club, il mitico locale di Harlem, dove tra la fine degli
anni Venti e gli inizi degli anni Trenta, si esibivano solo artisti di colore ma
per un pubblico esclusivamente bianco, sembrano lontani. Era un posto quello, ma
non solo quello, dove l'accesso ai neri era assolutamente vietato.
Ora
Eastwood ci ha portato negli anni Cinquanta e le inquadrature del film, mostrandoci
una sala con un pubblico misto, ci fanno pensare che qualcosa, in questa America,
è cambiata. E' così? Apparentemente si, di fatto no. La verità è che il nero aveva
già da un po' cominciato a prendere coscienza di sé stesso, della reale condizione
del suo stato sociale e della sua sottomissione razziale. Non che prima non se ne
rendesse conto, ma mai come in quegli ultimi anni il fenomeno della presa di coscienza
si era fatto largo con tanta chiarezza. Le guerre e il successivo crollo del mito
dell'integrazione, delusero le aspettative dell'intera comunità nera. I giovani
in particolare, divennero cinici e sentirono sempre più forte la necessità di isolarsi
dalla comunità bianca e isolandosi, cercarono di distinguersi il più possibile.
In qualche modo il bebop, la musica che Charlie Parker e la ristretta
cricca d'avanguardisti che come lui ha sentito l'esigenza di esprimere, rappresenta
ciò. Questo modo di suonare, così diverso dalla tradizione jazzistica, così nuovo
da rendersi a volte incomprensibile, addirittura agli altri jazzisti neri, quelli
più legati alla tradizione, non è stato solo l'aberrazione di un gruppo di musicisti
scriteriati, la follia passeggera di una combriccola di musicisti attuando il mutamento
e cancellando definitivamente dal jazz tossicomani e di disadattati, com'era stato
più volte definito all'inizio, anche dal noto critico musicale Huges Panassiè.
Il bebop non è stato un qualcosa che ha solamente rivoluzionato la musica,
un notevole progresso sul jazz precedente, ma ha creato un'effettiva rottura con
la musica stereotipata e industrializzata che era ormai il cosiddetto swing,
così come lo suonavano le orchestre più popolari d'America e cioè soprattutto quelle
bianche. Questi musicisti attuando il mutamento e cancellando definitivamente dal
jazz l'etichetta di "espressione popolare", lo trasformano in arte.
E Dizzy, ritratto dalla macchina da presa, sorride, forse sorride
anche per tutto questo? «Fratello Dizzy», come forse sarebbe chiamato dalla
sua gente, perché per la sua gente sono tutti fratelli e sorelle, sorride davanti
al magnifico solo di Charlie. Ha sorriso spesso quest'uomo, nella vita e nel film,
ha sorriso spesso al suo amico Parker, un sorriso anche venato di dolore,
come quando e preoccupato lo fa riflettere sul pericolo che corre di cadere nel
baratro. Nel dialogo alla spiaggia verso la fine del film, Eastwood ci mostra
i due uomini di spalle, intimamente vicini e fortemente diversi nel loro rapporto
con la vita e l'arte. Estremo e poetico certamente, ma corretto nei modi e nei comportamenti
l'uno, quanto eccessivo, buco nero che assorbe e vanifica tutta la materia che gli
è intorno, l'altro, come vedremo per tutto l'arco del film. Dizzy sorride
all'inizio della storia quasi in antitesi al nero umore dell'amico, uno la maschera
tragica il Fool, l'altro il Clown, la commedia, le due facce di un'unica
medaglia, la medaglia che ha rivoluzionato il jazz. E alla domanda di Parker
su qual è il segreto del suo successo, Dizzy dirà:
Perché i bianchi non se l'aspettano da me, perché in fondo ci sguazzano
se il negro dimostra di essere una persona inaffidabile, perché è così che
loro credono che vada il mondo e perché non gli voglio dare la soddisfazione
di avere ragione. Io sono un riformatore, tu vuoi diventare un martire.
La gente i martiri se li ricorderà in eterno e continuerà a parlare di te…Il
mio segreto? E' che se mi ammazzano non sarò stato io a dargli una mano.
E
allora non solo rivoluzione sul piano musicale, come abbiamo già avuto modo di sottolineare,
ma sul piano della negritudine e Eastwood ce lo trasmette in questa scena.
E quando Dizzy segna la differente posizione di riformatore e martire, ci
viene da osservare come il martire Parker tracciato dal regista, è un martire
che non aspira alla santità, che non si autodistrugge per seguire un progetto di
futura memoria. Eastwood così ha colto profondamente la natura oscura della
personalità parkerina. Una personalità fatta di una musica tanto alta, quanto rappresentativa
della solitudine dell'essere umano inserito nel contesto urbano, leggendone così
una modernità contenutistica.
Ma torniamo ai primi momenti del film. L'ambiente è scuro, fumoso, si
delineano già i colori e le atmosfere cupe che caratterizzeranno tutta la pellicola.
Improvvisamente, in dissolvenza, il piatto di una batteria, vola su uno sfondo azzurro
cupo - la prima inquadratura di una serie di ripetizioni definita da Franco Minganti
«il nodo cruciale quanto sintomo esistenziale del film»
[3] - e di nuovo repentinamente una porta
che si apre e quasi a fare da specchio all'immagine che ci è apparsa nell'inquadratura
precedente, un cappello lanciato da qualcuno che, volando, approda nella camera
di un appartamento. Finalmente una voce umana e le prime parole del film. Da questo
momento le parole saranno tante, i dialoghi si scioglieranno profondi, ben scritti,
densi di significato per tutto l'arco della pellicola andando a fondersi completamente
con la musica e le immagini. Ed eccole le prime battute del protagonista che, strascicate
e cantilenanti, si rivolgeranno ad una figura ancora nascosta nell'ombra: «Ah!
Sei sveglia!». Piove fuori e sembra piovere anche dentro casa per quanto l'atmosfera
è densa e scura. Piano piano, la m.d.p. ci schiarisce "l'ombra", è quella di
Chan, sua moglie. Chan è una donna bianca. Charlie è un uomo nero.
Siamo negli anni Cinquanta e siamo di fronte ad una donna bianca che ha sposato
un uomo nero. Lui ora è ubriaco, goffo e affettuoso, ride ma con dolore.
La
m.d.p. si alterna tra il controluce dell'inquadratura di lui e quella di lei, illuminata
ma sempre avvolta dalla penombra, un volto bianco, bello ma segnato dal dolore.
Poche frasi escono dalla sua bocca, da quella di lui invece, parole su parole. Lui
è grasso, sfatto, sembra stia cercando di provocare la lite, lei al contrario cerca
di mantenere la calma. Il pianto di un bambino che si è svegliato nell'altra camera
li distrae, la m.d.p li segue nello spostamento per la casa. Ci troviamo nella camera
di loro figlio che continua a piangere. Il dialogo che procede denuncia immediatamente
che la coppia ha subito la perdita della bambina. Riprende la lite, i due si allontanano
dalla camera e ognuno con il proprio dolore va a rifugiarsi separatamente in un
altro ambiente della casa. Parker nella sua canottiera bianca, che contrasta
nettamente con il nero della sua pelle, in un'inquadratura che ce lo ritrae distrutto,
ci rimanda dallo specchio il suo volto devastato. La sequenza si conclude con il
drammatico gesto, da parte di lui, di un tentato suicidio attraverso l'ingestione
di tintura di iodio.
E' come un anellino con la coda questo film. E' come un anello con la
pietra che penzola, un anello prezioso da cui si sta staccando definitivamente il
diamante, un po' come Bird, un grosso anello prezioso a cui la vita sembra
sempre sul punto di staccarsi, di perdere il suo diamante. Il film inizia praticamente
con questa scena che racconta il dolore della perdita della bambina, ovvero pochi
mesi prima della morte di Parker stesso, quando la sua salute, sia mentale
che fisica, è ormai al limite e prosegue quasi cronologicamente, anche se saltando
qua e là, per tornare a questa fase del film, ma nel momento intermedio, quello
cioè tra il tentato suicidio e l'ospedale psichiatrico dove la moglie lo ha fatto
ricoverare a causa del drammatico gesto. E' un movimento ad anello che sembra concludersi
la dove era iniziato, ma non è così, Eastwood fa di più, prosegue il cammino
della vita e del film.
Si
alterneranno in un montaggio veloce ma mai frenetico le vicende dolorose del protagonista,
procedendo a rapidi flashback che racconteranno soprattutto gli esordi e
il successo, per poi tornare ad una narrazione in tempo reale concentrata tra il
1950 e il 1955,
anno che vedrà la sua morte alla sola età di 34 anni. Una vita scandita dalla tragedia.
Una tragedia autoprovocata dalle droghe e dalla vita sregolata, diranno alcuni o
dall'inevitabile drammatica realtà nella quale erano stati costretti a nascere e
crescere questi grandi artisti, diranno altri. Ma Eastwood non ci dà la soluzione.
Mostrandoci la complessità caratteriale e psicologica del protagonista, resta, sembrerebbe
volutamente, vago ed oscuro, lasciandoci dischiuse forse un paio di possibilità
analiticamente interpretative: da un lato la negritudine come l'abbiamo gia affrontata
prima, dall'altro, riconducibile forse alle teorie freudiane sull'inconscio dell'artista,
la possibilità d'intendere l'infantilismo di Parker con una sensibilità allo
stesso tempo tenera ed esasperata, tipica del fenomeno dell'"incompreso", ma non
spiegando mai fino in fondo né la vita, né il pensiero di Parker. Il film
di Eastwood non è solo un film sul jazz, ma è forse un film che senza appunto
dare risposte, tenta d'indagare sul duplice volto dell'artista: da un lato quel
desiderio di rispetto del vivere sociale che lo avrebbe potuto rendere un grande
professionista, padre meraviglioso e marito dedito e fedele, dall'altro la sua diversità,
la sua eccentricità incontrollabile che lo allontana dagli altri, dal tutto, facendolo
vivere -o forse solo sopravvivere- in un suo universo isolato dove la musica e il
suo sound gli danno la possibilità di esprimersi con perfezione, in toto
-anche se la perfezione comincia a vacillare negli ultimi periodi di questa vita
tormentata. Non solo Parker diserta le sedute di registrazione o recide contratti
vantaggiosi, ma anche la sua arte comincia a risentirne quando il suo corpo comincia
a perdere la forza d'andare avanti. Significativa la scena, a questo proposito,
del lancio del suo sassofono che va ad infrangersi contro il vetro che separa la
cabina di regia dalla sala d'incisione di uno studio di registrazione nel quale
sta lavorando: gli altri si congratulano con lui per l'esecuzione del pezzo, quel
magnifico pezzo intitolato Lover man, ma lui s'imbestialisce perché non si
riconosce in quell'espressività, che per altro gli appartiene profondamente, in
quanto frutto di un io drogato a tal punto, da non essere riconosciuto da egli stesso.
Fondamentale
la figura femminile protagonista del film, Chan, la bella Chan, la bianca
Chan che lo farà innamorare di sè e a sua volta si innamorerà di lui, del grande
Bird, che piace tanto alle donne e che promette a tutte di sposarle. Ma con
lei no, non sarà così. E' anche questo il film di Eastwood, è anche il tentativo
delicato di indagare attraverso il rapporto di coppia il duplice volto dell'artista
maledetto, forse solo di quest'artista maledetto, anche se la storia e la letteratura
ci hanno spesso mostrato delle profonde analogie tra personaggi di questa risma.
Anche Chan però è una diversa -anche lei ad un certo punto si definisce un'atipica:
«Ero atipica a quei tempi, io sono per metà ebrea e adoro Duke Ellington»-
se per diverso s'intende quel qualcuno che concepisce le regole sociali in un modo
non compreso dal resto del mondo. E' una ballerina: «mio padre produceva Show
per i night-club di Broadway» dirà ad un certo punto: «ho fatto il mio debutto
in società al Cotton Club e sono sempre stata in mezzo ai musicisti» insomma,
una ragazza americana non tipicamente rappresentativa della società borghese bianca
di quel periodo. Ama il jazz, ne conosce le sfumature e dai musicisti è amata, rispettata
e protetta. Non è difficile pensare che possa innamorarsi del nero Bird,
uomo affascinante, straordinario musicista. E' una donna libera nei costumi, ma
non per questo sciocca al punto da lasciarsi andare con un uomo che, nonostante
così straordinariamente dotato, sia anche così poco affidabile. Anche se non è di
affidabilità che si parla, ma forse di quel qualcos'altro che lui neanche percepisce.
Parker è un nobile selvaggio, infantile e naturale. Eastwood ci regala
un'altra scena che rende l'idea, quella di lui che andrà a cercarla sotto casa con
una serenata e un cavallo bianco, per trasformarla simbolicamente nella principessa
della sua vita. Ma è un'intelligenza brillante quella della donna, che quando cadrà
nella rete del mastodontico Bird, saprà cavarsela, comprendendo profondamente
-nonostante tutti i dolori che lui provocherà a lei e a sé stesso- quale patrimonio
emotivo, artistico e creativo ci sono nella mente e nel cuore di quest'uomo, che
nel frattempo è diventato suo marito. E' una strana partita all'inizio la loro relazione,
nel momento in cui lui credendola addormentata e pensandosi non ascoltato, le dichiara
il suo amore, lei gli dà un doloroso smacco, si alza e gli dice di essere incinta,
ma non di lui, di un altro. Ma la strada della vita è lunga e il destino li fa rincontrare
e qui si accoglieranno uno nelle braccia dell'altro, lui la sposerà e le darà altri
due figli.
E
così Chan, la bianca Chan, proseguirà il cammino della sua vita con questo
grosso uomo nero, un magnifico disastro ambulante, diventando il volto positivo
della sua vita e del film. Incarnerà la donna che ha più supportato, tutelato, difeso
e incoraggiato nel suo doloroso e autolesionistico cammino, il grande artista. Colpisce
particolarmente, infatti, nel film la scena in cui Parker dopo il tentato suicidio,
viene fatto ricoverare dalla moglie in un ospedale psichiatrico. Dopo una serie
di inquadrature che ce lo ritraggono nella corsia mentre sta violentemente litigando
con un altro paziente, ci troviamo nell'ufficio della direzione dell'ospedale dove
Chan viene ricevuta per un colloquio sul paziente Charlie Parker.
Una voce over, che è quella della stessa attrice, racconta le vicende del marito.
Colpisce il tono del linguaggio, la sua voce bassa che dà l'idea di una voce narrante
totalmente distaccata dal resto del film. Invece è completamente dentro il film.
E' dentro al film e di fronte alla difficilissima decisione di far effettuare al
marito un elettro-shock. Con maestria Eastwood ci propone una serie di flash
back, ce li propone come i pensieri che passano nella mente della donna, che presentano,
in un veloce passaggio cronologico, i traumi significativi che possono aver leso
l'anima del marito.
Ci
raccontano la consapevolezza di essere diventato un tossicomane alla giovane età
di quindici anni, confermatagli violentemente da un medico amico, che per fargli
comprendere la gravità della cosa, gli mostra all'obitorio il corpo senza vita di
un eroinomane. Ci raccontano il trauma di una delle sue prime audizioni, dove cominciando
ad esibire la novità del suo modo di suonare, quest'uomo che è stato un tutt'uno
col suo sax-contralto e la sua musica, verrà umiliato, in quanto non compreso, da
un batterista che gli lancerà il piatto della batteria "invitandolo" ad interrompere
l'esecuzione. Questo come avevamo precedentemente accennato, rimane un nodo cruciale
per Eastwood, un sintomo della condizione esistenziale che il regista sceglie
come immagine-tormentone dell'intero film. Ma ad un certo punto, in un'inquadratura
quasi identica, Eastwood non ci farà più vedere il piatto in volo, ma la
boccetta di tintura di iodio, con la quale Bird ha tentato di suicidarsi
al colmo del dolore dopo la morte della bambina. Se il lancio del piatto, dopo averlo
traumatizzato, diventa metafora del senso di morte che si caricherà dietro per tutta
la vita, la boccetta di tintura, nella testa di Bird, vuole rappresentare
il superamento di questo senso di morte, attraverso la morte stessa. Immagine-tormentone
perfetta, del suo personale percorso interiore. Il nodo si scioglierà solo con la
conclusione della vita del protagonista, quando il piatto mostratoci ripetutamente
in volo, il volo metaforico di Bird, finalmente atterrerà, liberandolo. Il
tormento del volo si placherà solo con la morte. Volare è vivere. Vivere è soffrire.
Planerò solo con la morte, atterrando finalmente.
Ma in questa serie di flash-back, espressi come ricordi della donna di
fronte alla grande decisione di far fare o no un elettro-shock al marito, c'è ne
sono anche altri, quelli che raccontano la grandezza di Parker, il suo splendore,
la sua forza, come quello che inquadra uno dei musicisti che in passato lo avevano
umiliato e che tempo dopo, riascoltandolo in un locale, va a gettare in mare da
un ponte il suo sassofono dorato, a simboleggiare il suo di fallimento. Non solo
non sarebbe mai stato in grado di suonare come lui, ma non è neanche stato in grado
di guardare oltre e comprendere che il ragazzo che aveva deriso sarebbe diventato
uno dei più grandi sassofonisti di tutti i tempi. E' interessante la trasformazione
che provocherà l'episodio in questo personaggio. Verso la fine del film, quando
non solo la pellicola sta per volgere al termine, ma anche la vita del protagonista,
una scena simbolica ritrarrà il sassofonista fallito completamente trasformato.
Non solo tradisce quel jazz che dopo Parker aveva smesso di essere intrattenimento,
musica popolare e tutto quello che ormai conosciamo, ma anche sé stesso. Passando
alla nuova musica commerciale, cambierà pelle, vestendo con lustrini e paillettes
non solo sé ma anche il suo sassofono, riproponendo nuovamente tutto quello contro
cui questa generazione d'artisti aveva lottato. Il film ci mostra corsi e ricorsi
storici, non solo musicali, ma della storia umana, quello che avviene dopo tende
a cancellare quello che c'è stato prima, ma non sempre i risultati successivi sono
così alti come quelli raggiunti dai rari Bird.
Ma ancora il volto della donna con impressa negli occhi l'espressione
che s'interroga sulla decisione da prendere. Subito dopo una domanda al medico:
« Lei cosa pensa che dovrei fare?» e lui le risponde: «Niente, basta una
firma.». Eastwood ci farà navigare ancora nei ricordi attraverso i flashback,
per farci riapprodare al primo piano di lei che dirà: «Qui stiamo parlando di
un essere molto particolare creativamente. Le sue risorse dipendono dalla sua abilità
nell'improvvisare e comporre musica. Vede qui non si tratta soltanto di destrezza,
sono qualità che vengono dal profondo.» E lì capiamo che non solo la donna non
permetterà l'elettro-shock, ma che se lo terrà così per tutto il tempo che sarà
possibile.
Ed a proposito di tempo, una riflessione ci viene da fare sul jazz di
Parker così dolorosamente in anticipo sui suoi contemporanei. La nozione
di tempo così nuova per il fraseggio e per la sezione ritmica, con i temi velocissimi
che spesso staccavano i boppers, i bruschi arresti, i salti d'ottava, gli improvvisi
a capo, che caratterizzarono il nuovo jazz e anche la vita di Parker, è stata
colta in pieno da Eastwood nel descriverne filmicamente la personalità. L'ha
colta anche scegliendo quest'ottima sceneggiatura, che per anni, case di produzione
e importanti attori hanno rifiutato finché lui non l'ha eletta per il suo jazz-film.
Una sceneggiatura che con i suoi continui andirivieni spazio-temporali, con il suo
ritmo, la sua ironia, lo studio attento del dolore esistenziale, la rilettura di
un'epoca, rispetta una serie di elementi che ne fanno un jazz-film fondamentale.
Un'operazione
particolare è stata fatta in questo film che in parte ha diviso la critica musicale.
Eastwood insieme ai suoi consiglieri -stiamo parlando in particolare di
Lennie Niehaus che ha organizzato la materia e diretto i musicisti- ha in
un certo senso rielaborato il suono di Parker. Dopo aver estrapolato i famosi
assolo di sax-alto dai relativi brani e dopo averli puliti ben bene, li ha affidati
ad un gruppo di moderni jazzisti che hanno reinciso l'accompagnamento ritmico e
strumentale con tutti gli aiuti della moderna tecnologia, senza però travisare l'estetica
di Parker, anzi agendo con rispetto e fedeltà alle partiture originali. Il soundtrack
è perfetto ma una parte della critica musicale l'ha contestato, definendo l'operazione
un rimaneggiamento di opere d'arte. Ma del resto non possiamo dimenticare che qui
siamo in quel particolare territorio che si chiama cinema, in un ambito cioè in
cui il fondersi delle arti sta alla base di questa preziosa espressione artistica
che crea il film. In un territorio fatto dall'insieme di tante arti, parlare di
rimaneggiamento può sembrare superfluo. Esprimendoci in un tentativo dove vari mezzi
possono essere combinati in un'unica opera d'arte, un'operazione di questo tipo
può essere osservata in quest'altra ottica, ma è giusto rispettare un'opinione legittima
che preferisce un jazz non contaminato da altre tecnologie.
Tornando ai contenuti del film, un altro momento importante è quello espresso
dall'alternarsi di sequenze su più piani, che approderà alla scena del telegramma.
Anche il modo di filmare sembra jazzistico, per raggiungere il tema base si passa
da immagini con sonorità e colori diversissimi. Da una parte la moglie che scappa
in ospedale portando la bambina morente tra le braccia, dall'altra la scena di lui
semi-ubriaco in un locale che bacia un'altra donna, poi lui alla spiaggia con
Dizzy, cercando la riposta al senso della sua vita. Un montaggio alternato ci
mostrerà la scena della notizia della morte della bambina. La m.d.p. si sofferma
a lungo su un p.p. di Parker con immobile sullo sfondo la donna che poc'anzi
aveva tra le braccia, consumando in questo modo una scena struggente. Una serie
di telegrammi, che invierà alla moglie, si susseguiranno a catena per tutto l'arco
della nottata. Sullo sfondo la donna silenziosa, sarà testimone della sua disperazione.
Il testo dei primi telegrammi, delicatamente formale, si andrà via via sciogliendo
in una breve disperata richiesta d'aiuto, che si placherà solo dopo che l'uomo si
sarà iniettato una dose di eroina.
Un
tempo Bird, era soprannominato, forse per la sua goffa camminata, Yardbird,
uccello da cortile, il pollo della cucina nera del Sud, con tutto quello che c'era
nella sua origine poveristica. Un tempo lo chiamavano Yardbird, ma poi acquistò
il magico dono del volo e divenne Bird, il grande uccello, veloce come un dio. Ma
siamo giunti alla fine del film e alla fine della sua vita. Questo spirito del disordine
completamente auto-leso, totalmente schiavo dei desideri e delle sofferenze che
la vita gli ha procurato, non riesce quasi più a spiccare il volo. Eastwood
in una scena dove l'immagine è dentro l'immagine, sceglie di farci accomiatare da
lui. Quando di Bird non è rimasta quasi più che l'ombra, lo troviamo a casa
dell'amica Nica "la baronessa del jazz" personaggio che abbiamo già
incontrato nella vita di grandi jazzisti di quel periodo, da cui si è andato a rifugiare.
Davanti ad uno schermo televisivo, sta forse inconsapevolmente consumando gli ultimi
istanti della sua vita. Un ruolo importante ha avuto il cinema nella vita di
Parker, lui lo amava particolarmente, ci andava piuttosto spesso -c'è nel film
anche un rimando a Valentino nella scena di Parker e la moglie a cavallo-
e Eastwood ha voluto fargli concludere la vita davanti ad uno schermo dove
un numero comico fatto da due musicisti, farà scoppiare dalle risate il povero
Bird. Sul corpo ormai minato, un attacco cardiaco sarà fatale. Sulla risata
prorompente, si concluderà la vita di un genio. E' bizzarro come davanti ad una
comica, perderà la vita uno degli uomini dall'esistenza più tragica della storia
del jazz. Ci viene da pensare ad un parallelismo grottesco con il noto film sulla
storia di Mary Poppins, dove uno dei personaggi morì proprio così, "dalle risate".
Solo che quella era una favola e i contorni drammatici erano tanto addolciti da
non essere quasi percepibili. Qui no, non è così e il grottesco lo si raggiunge
quando il medico di turno dovendo stabilire approssimativamente l'età dell'uomo
morto, a qualcuno dall'altra parte del filo comunica che questo, presumibilmente,
aveva sessantacinque anni. Ma Bird, l'uomo che alla musica e al suo sassofono
Alto ha dato la velocità degli dei, quel giorno che morì dentro una risata ne aveva
solo trentaquattro.
Sotto una pioggia sottile e il suo sound meraviglioso, un lungo corteo
funebre, lo accompagnerà nel suo ultimo viaggio. Delicatamente sull'immagine autunnale,
scorrono i titoli di coda.
[1] Termine onomatopeico che ha definito non una scuola ma
il nuovo jazz nato tra gli anni Quaranta e i Cinquanta. Caratterizzato da un ritmo
spezzato e più complesso, esprime il nuovo atteggiamento culturale dei neri americani
tendente a recuperare i valori della loro musica, sottraendosi ai deformati clichés
della produzione commerciale dell'epoca swing. Vedi al paragrafo successivo.
[2] Il libro di Michele Mannucci -Dizzy Gillespie. L'uomo che fece la rivoluzione
sorridendo Roma, Nuovi Equilibri,1993- delinea già dal titolo il carattere del personaggio,
definendolo inoltre poeta delicato e umorista irresistibile.
[3] Julio Cortàzar, Il persecutore, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1989, p.
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Data pubblicazione: 27/12/2006
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