Il jazz oggi non appartiene più solo al folclore e all'arte americana
ma alla cultura del mondo. In origine però, il jazz è una musica afro-americana.
La musica nasce dalla combinazione di due culture, di cui una è la cultura sottomessa.
Il jazz è la massima espressione della musica e della cultura afro-americana. Il
jazzista-nero è un artista che crea una musica assolutamente non dissociabile dal
contesto storico-sociale nel quale vive. Il particolarissimo gruppo sociale dove
nasce il jazzista-nero è quello dei neri americani che trova la propria origine
negli anni della schiavitù.
Nel
1964 il discorso d'apertura del
Festival Jazz di Berlino [1]
venne fatto da Martin Luther King (Atlanta, Georgia 15 gennaio
1929 - Memphis, Tennessee 4 aprile 1968). Con le sue parole e la sua presenza
volle sottolineare come la lotta dei neri per i diritti civili camminasse parallela
a quella dei musicisti jazz per il riconoscimento della musica in quanto arte. La
musica, ancora prima che la letteratura e la poesia ne avessero avvertito l'esigenza,
ha espresso le sofferenze, le gioie e le speranze dei neri. Ma ci tenne a sottolineare
che nella lotta dei neri americani si poteva riscontrare una grande affinità con
la lotta universale dell'uomo moderno. Il jazz, quindi, visto come strumento rappresentativo
non di un popolo ma di un secolo, non uno strumento per dare voce alla voce del
nero americano, ma a una condizione della storia.
L'America, all'inizio del secolo scorso, si stava velocemente trasformando
da paese agricolo in una delle più grandi potenze industriali del mondo. Ma il Sud,
come tanti sud del mondo che conosciamo, era rimasto indietro e il nero che vi dimorava,
come sempre, soffriva più degli altri. Così il nord, come tanti nord del mondo che
conosciamo, diventava la terra promessa. I neri del sud si adoperarono quindi in
queste enormi migrazioni di massa, modificando ulteriormente il rapporto che avevano
istaurato con l'America, in un tentativo di riconsiderare il loro peso nella società
e di realizzare -se davvero era possibile- il sogno americano. Nel
1920 la percentuale dei neri al nord, aveva raggiunto
il 14,1% e i cinque sesti di questa popolazione abitavano nelle città. Ma il Nord
non riservò loro migliore accoglienza del Sud. I neri, insieme agli ebrei, in gran
parte originari dell'Europa orientale e agli italo americani, -di cui però nel
1914 se ne era arrestata l'immigrazione per
via della Prima Guerra Mondiale- i due gruppi etnici che con loro hanno condiviso
la sorte dell'emarginazione dei ghetti, dai confini reali a quelli psicologici erano
quelli che avevano le paghe più basse e i lavori più duri e degradanti. Per molti
neri vivere in città era una cosa molto strana, arrivavano da sperdute fattorie
-dove facevano i mezzadri- attraverso un viaggio se non altro psicologicamente non
dissimile da quello dei loro antenati giunti forzatamente nel Nuovo Mondo. Il problema
per loro era quello di doversi abituare ai conflitti e alle stranezze che queste
grandi città riservavano. La prima di queste stranezze era la velocità con cui le
cose si diffondevano, inoltre la mano della società paternalistica era più sottile
e questo permetteva al nero di improvvisarsi di più per potersi avvicinare ad essa.
Nelle varie trasformazioni che si attuavano nel loro nuovo modo di vivere il quotidiano,
si muovevano anche le trasformazioni di quella musica, patrimonio indissociabile
dalla vita del nero del nuovo mondo, dalle origini ad ora. Caricandosi dietro la
tradizione socio-musicale che gli apparteneva, ci si avviava anche in questo campo
ad una trasformazione dell'espressione musicale sentendola e forgiandola secondo
i nuovi stilemi della vita di città.
La
Prima Guerra mondiale, fu un fenomeno molto importante per quanto riguarda la partecipazione
del nero alla vita americana e servì anche a creare il nero "moderno", definibile
in un certo senso come "l'uomo che ha preso coscienza". Il nero si rese conto
che il mondo era molto più grande dell'America e che esisteva aldilà dell'oceano
un'altra società bianca, quella dell'Europa. E dalle profonde differenze su come
in questa società erano stati considerati e per i riconoscimenti di cui furono oggetto,
compresero che poteva esistere una società bianca che non li avrebbe resi cultura
subalterna. Da questo nacque un profondo risentimento per le gravi problematiche
razziali, alle quali erano sottoposti, e per le restrizioni che ne derivavano. Le
conseguenze della presa di coscienza e del nuovo atteggiamento furono una catena
di sanguinose rivolte razziali. Poi è arrivata la Depressione: il
1929 segna il più clamoroso disastro economico
della storia dell'America. Chiusero fabbriche, uffici e nel
1932 il numero dei disoccupati salì a quattordici
milioni. Naturalmente la popolazione nera fu la più colpita e, per tornare al tema
musica che marcia di pari passo con la vita del nero, segnaliamo che non solo la
maggior parte dei locali chiuse, ma che fallirono anche i discografici tra i quali
quelli dei race records e per quasi tre anni non vennero pubblicati dischi
di musicisti e cantanti neri. Poi la Seconda Guerra Mondiale che ebbe ripercussioni
simili a quelle della prima definendo sempre più chiaramente al nero la sua posizione
nella società. Se la Prima Guerra Mondiale propose ai neri una dimensione internazionale
e la Depressione fu la prima vera crisi economica di cui i neri fecero esperienza
diretta, producendo il nero "moderno", la Seconda Guerra Mondiale causò nella psicologia
del nero americano un cambiamento ancora più radicale. Essendo questa per gli Stati
Uniti una guerra decisiva, vi s'impiegarono tutte le risorse possibili. Tra queste
anche l'utilizzo dei neri in posizioni di ruolo importanti, cosa precedentemente
impensabile. I neri guadagnavano bene con la guerra, sia quelli che scendevano in
campo sia quelli che rimanevano in patria a lavorare per le industrie belliche.
Ma questo senso di partecipazione e responsabilità che derivava dall'aver cambiato
in parte la loro posizione economica, non si sposò in futuro con la constatazione
che le migliorate condizioni economiche non gli permettevano comunque di uscire
dalla collocazione restrittiva dei ghetti. Ricominciarono allora, le grandi rivolte
razziali che sono proseguite fino ai giorni nostri e che hanno via via visto scorrere
l'opera di tanti uomini, capitanati spesso da organizzazioni forti e da personaggi
dal calibro di Martin Luther King o Malcom X (Omaha,
Nebraska, 19 maggio 1925 - New York City, New York, 21 febbraio 1965). Con
posizioni diverse, hanno comunque concorso all'obiettivo comune di dare dignità
a questa popolazione che da quando è stata coattamente estirpata dalla propria terra
d'origine, ha dovuto faticare e lottare incessantemente per raggiungere la posizione
di uguaglianza che risiede nei diritti di tutti gli esseri umani.
Non bastò l'Emancipazione e l'emigrazione nelle città per far sì che i
neri venissero accettati dalla cultura dominante, ma ci vollero le lotte sanguinose
che hanno ne segnato la storia, senza per altro essere riuscite a superare completamente
le problematiche razziali che ancora sussistono nei territori della società americana
contemporanea. E la musica, che è passata dalle malinconie del blues delle campagne
al disincanto del blues di città, dalle rivoluzioni del jazz, tutte, dalle più aspre
alle più dolci, a quel metropolitano hip-hop contemporaneo che racconta i disagi
dei "ghetti" d'oggi, la musica ha camminato insieme al popolo, che per affetto all'inizio
del capitolo abbiamo chiamato "il popolo del jazz" in tutti i suoi momenti, facendoci
comprendere come ogni fase della musica nera nasca direttamente dal proprio ambiente
sociale e psicologico.
[1] Ecco il discorso di Martin Luther
King al Festival Jazz di Berlino del 1964: "Dall’oppressione Dio ha forgiato
molte cose. Egli ha dotato le sue creature della capacità di creare e da questa
capacità sono derivate le dolci canzoni di sofferenza e gioia che hanno permesso
all’uomo di superare molte difficili situazioni. Il Jazz parla di vita. Il Blues
parla delle difficoltà della vita, e se ti fermi a riflettere un momento ti rendi
conto che queste storie trattano delle più dure realtà della vita e le mettono in
musica così da poterne trarre nuova speranza e senso di trionfo. Poiché questa è
musica trionfante. Il Jazz moderno prosegue in questa tradizione, cantando le canzoni
di una più complessa esistenza urbana. Quando la vita stessa non ti offre ordine
o significato alcuno, il musicista crea un ordine e un significato dai suoni della
terra che sgorgano dal suo strumento. Non c’è da meravigliarsi che una così importante
parte della ricerca di una propria identità per gli afro-americani sia stata sostenuta
da musicisti jazz. Molto prima che moderni saggisti e studiosi scrivessero di “identità
razziale” come di un problema per un mondo multi-razziale, i musicisti erano tornati
alle loro radici per esprimere ciò che si agitava nella loro anima. Molta della
potenza del nostro movimento verso la libertà negli Stati Uniti è nato da questa
musica. Essa ci ha fortificato con i suoi ritmi potenti quando il coraggio cominciava
a venir meno. Ci ha calmato con le sue ricche armonie quando lo spirito cominciava
a darsi per vinto. É stato così fin dai giorni dei semplici spiritual neri. Ed ora
il Jazz si esporta in tutto il mondo. Poiché nella lotta particolare del nero in
America c’è qualcosa di affine alla lotta universale dell’uomo moderno. Tutti hanno
i “Blues” cioè momenti di sconforto. Tutti ricercano un significato nella propria
vita. Tutti hanno bisogno di amare ed essere amati. Tutti hanno bisogno di batter
le mani ed esser felici. Tutti desiderano la fede. E nella musica, e in particolare
in questa categoria detta Jazz, c’è un punto di partenza per tutte queste cose."
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Data pubblicazione: 19/11/2006
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