Steve Kuhn, pianoforte - Eddie Gomez, contrabbasso - Billy Drummond,
batteria
A
mio modestissimo parere, condiviso però anche da altri fra i presenti, sarebbe stato
forse doveroso presentare questo concerto come "Eddie Gomez" trio.
Non vogliatemene.
Con tutto il rispetto che posso nutrire per il grande Steve Kuhn,
che dall'alto della sua età ed enorme esperienza professionale è senza dubbio uno
dei personaggi che racchiudono in sé una bella porzione della storia del jazz, la
mia impressione è stata che solo Eddie Gomez sia stato in grado di dirci
qualcosa di veramente personale ed unico.
Sicuramente si è trattato di un concerto elegante, garbato, molto misurato
e di buona fattura. Proprio quello che si vuole ascoltare per ripercorrere trenta
o più anni di repertorio caro a tutti i jazzofili, dagli anni
'30 in poi. Tutti standards,
tranne due brani dello stesso Kuhn (un blues dalla tipica struttura in 12
misure, Two by Two,
e Oceans
In The Sky).
Terza ed ultima eccezione al repertorio di standards, un brano composto da Gomez
e dedicato al padre.
Dò atto al leader della formazione che l'idea di proporre un concerto
praticamente di soli standards non sia certamente una scelta facile. Ma, perdonatemi
la sincerità, ho anche avuto il sospetto di una scelta astuta per accontentare un
certo tipo di pubblico un po' nostalgico e molto affezionato alla tradizione.
Steve
Kuhn in effetti è un mostro sacro del pianoforte, le sue collaborazioni sono
innumerevoli, iniziate all'età di 14 anni in ambito accademico, col baritono
Serge Chaloff, per proseguire nel mondo del jazz con Kenny Dorham, quindi
con il quartetto di Coltrane, prima dell'arrivo di
McCoy Tyner,
poi con
Stan Getz e Art Farmer. Fino alla nascita del trio a suo nome,
risalente agli anni '80.
Kuhn non ha nemmeno disdegnato la musica commerciale, nel corso della sua
lunga e fortunata carriera.
Ascoltare
ad un concerto in teatro brani che ci sono così familiari da sempre, può fare molto
piacere. Li seguiamo senza alcuna difficoltà, ne conosciamo le armonie, magari li
abbiamo suonati noi stessi svariate volte, pur con tutti i nostri limiti. Tuttavia,
pensare ad un concerto di standards con l'ambizione di far sortire dal cappello
qualche idea originale, è veramente una sfida.
Dei tre, il solo che ci ha saputo proporre qualcosa di inedito e coinvolgente
è stato proprio il grande Eddie Gomez, il quale anche nei brani più inflazionati,
ha saputo trasmetterci emozioni uniche, idee sempre originali nate dalla sua fantasia,
mentre si sentiva la sua voce cantare, sovrapposta alle note del contrabbasso.
Gomez ha dato il meglio di sé nel brano molto suggestivo di sua composizione
Love letter to my father.
Una dichiarazione di affetto profondo, come lui stesso ha spiegato, parlando in
italiano. Brano particolare, introdotto da note gravi suonate con l'arco, quasi
classicheggiante all'inizio, ma successivamente intriso di atmosfere latin. Kuhn,
facendogli il verso, ha dedicato il brano successivo,
Stella By
Starlight, alla
propria madre, forse per fare una battuta. Una parte del pubblico ha riso. Una versione
lenta, morbida e piacevole. Ma ancora una volta emotivamente poco coinvolgente e
priva di qualche scintilla creativa che forse tutti ci aspettavamo.
Nella maggior parte dei brani, infatti, il solo apporto innovativo è consistito
nel variare la velocità dei pezzi rispetto alle versioni più classiche che tutti
abbiamo memorizzato, oppure passare dai 3/4 ai 4/4 e per concludere, nuovamente
in 3/4, in un vecchio brano di Fats Waller,
The Jitterbug Waltz.
Ma
quanto a idee improvvisative o al desiderio di instaurare un rapporto emotivo col
pubblico, personalmente ho avvertito un certo vuoto.
Il concerto ci ha offerto un bel prodotto confezionato, pianismo abile,
grande tecnica ed anche lirismo, tutto molto gradevole, ma purtroppo già ascoltato.
Kuhn
ci ha fatto fatto ripercorrere tutti gli stili pianistici che si sono susseguiti
negli anni, a partire dai suoi primi ascolti da bambino (Fats Waller), attraverso
il blues, il pianismo degli anni
'40, fino ad arrivare al
raffinato jazz evansiano, lirico ed armonicamente molto complesso. In conclusione
del concerto vi è anche stato un tributo a Charlie Parker, con
Confirmation, brano nel
quale Kuhn ci ha offerto anche un pizzico di "spettacolo" un po' rétro, quando ha
simulato di non avere ulteriori tasti a disposizione e fingendo quindi di uscire
dalla tastiera del pianoforte con la mano destra…
Ma nonostante tutto questo, non siamo riusciti a scoprire quale fosse
la vera anima di Steve Kuhn.
Billy Drummond ha accompagnato
con gusto, garbo e misura, ma restando sempre in secondo piano. Solo una volta,
con un suo bell'assolo in
Oceans In
The Sky ha ottenuto
il giusto apprezzamento da parte del pubblico.
Il leggendario Gomez ha superato tutti, per creatività, sentimento,
ed umanità. Per questo avrei preferito che il concerto fosse stato presentato a
suo nome. Se lo sarebbe davvero meritato.