Se l'umoralità meteorologica di quest'estate è sembrata la costante di quasi tutti i festival musicali svoltisi nella penisola in tutta la sua lunghezza, a fronte di concerti che di ciò hanno molto risentito in termini di fruizione e godimento da parte del pubblico – non ultimo quello di Cassandra Wilson ad Umbria Jazz '05 –, ce n'è stato qualcuno – senza pretese di esaustività – che ne ha, invece, sorprendentemente beneficiato.
Uno, in particolare, quello del trio di Pietro Tonolo – titolare al sax tenore, Piero Leveratto al contrabbasso e Francesco Sotgiu alla batteria – nell'ambito del
Roccella Jazz Festival 2005. Il trio avrebbe infatti dovuto suonare su di un oscuro palchetto, scarno ed acusticamente improbabile, con scenografia resa in modo magnificente dai ruderi illuminati di un torrione sullo sfondo del lungomare di Marina di Gioiosa Jonica.
Ed in effetti, nonostante il tempo minacciosamente incerto, il primo brano viene eseguito: il contrabbasso di
Leveratto insiste sulla medesima nota per una introduzione modale su cui
Sotgiu sbuccia piatti e tamburi consentendo al sassofonista, sopra questo fondale, di stendere con ottave e doppie posizioni il tema di Esteem di Steve Lacy.
Poi la pioggia che, per quanto sottile e leggera, mette a rischio l'incolumità dell'amplificazione elettronica e quindi di tecnici e strumentisti, inducendo alla decisione di sospendere l'esibizione. Onnipresente, il direttore artistico e violoncellista Paolo Damiani decide di trasferire la location presso un locale bistrot, al cui esterno si trova una sorta di tettoia in muratura, sotto la quale parte dei presenti corre a riparasi. Luogo inconsueto e certamente inadatto, ma dopo un po' d'attesa, quando alla fine il mirabolante service tecnico monta batteria ed amplificazione – necessaria adesso alla sopraggiunta chitarra di Giancarlo Bianchetti –, la musica riprende avvalendosi di un'atmosfera più raccolta, creata dal capannello di ascoltatori che si stringe attorno al trio ora divenuto quartetto, ripartendo proprio da Il Sottoscala, composizione di Tonolo che mai avrebbe potuto essere più opportuna e meglio spesa.
Si sgancia momentaneamente
Bianchetti, per dar modo al trio di immergersi in Abendlied di
Leveratto, da cui emerge la vera essenza del trio pianoless, con il contrabbasso che copre l'impalcatura ritmo-armonica mentre la batteria sembra mettere l'accento più sulla scansione melodica a sostegno della voce solista del tenore e le sue coloriture dinamiche piuttosto che sul ritmo vero e proprio.
Il rientro di
Bianchetti fa perdere al trio la dimensione "a-spaziale" dovuta alla mancanza di sezione ritmica, consentendogli tuttavia di guadagnare un più vivace ed articolato scambio di impressioni musicali su Cadillac di Nino Rota: discontinuo il fraseggio del chitarrista, mantiene viva la tensione con le varie posizioni accordali, ragguardevole l'intesa fra batteria e sax, attentissimo il contrabbasso ad occupare eventuali interstizi rimasti vuoti con roventi ottavi. Apre il successivo brano un caleidoscopio di illustri riferimenti tratti dal repertorio bebop, magari appena accennati, alcuni frammentati o anche stravolti, ma tutti facilmente riconoscibili ai più – Salt Peanuts, Yardbird Suite, ed altre – inquadrati secondo la personale e libera visione di Tonolo. Stesso spirito ironico e fantasioso nell'assolo di
Leveratto, mentre Sotgiu tinteggia di crash e ride spingente le trame estemporanee del
leader per la monkiana Skippy. Particolare l'inizio del pezzo successivo, connotato in modo percussivo da batteria, contrabbasso e "slap-tongue" di Tonolo [tecnica che consiste nel far schioccare l'ancia con la lingua dopo aver risucchiato e rilasciato l'aria in bocca, sfruttando la risonanza del fusto dello strumento, n.d.r.], fra cui si calano curate armonie chitarristiche. Quindi, in tacet del gruppo si distingue il tenorista veneziano nel far risuonare possenti le note del suo sax ad avvitare linee melodiche attorno ad una ancora non ben definita struttura armonica. Poi una rinfrescata sui piatti di
Sotgiu, e si torna tutti a suonare: partendo da una citazione tratta da Pierino e il lupo il gruppo ne regala una splendida lettura in chiave jazzistica, molto apprezzata dal pubblico che la sottoscrive con sentiti applausi. Segue una morbida e sensuale Isfahan di Billy Strayhorn, standard che il gruppo espone con originalità, ed infine, sulle triadi di
Leveratto sopravanzato dall'elettrico intervento della chitarra, un samba allegro, Mamacita, a festeggiare l'ottima riuscita di un concerto il cui inizio sotto la pioggia aveva fatto temere il peggio.